
Parigi, 1784. Pochi anni prima della Rivoluzione. Camille è un giovane avvocato smaliziato e dalle idee stravaganti, un enfant terrible attorno al quale si affollano pettegolezzi di ogni genere; Georges-Jacques, anche lui avvocato, è un colosso dal viso sfregiato accanto al quale gli altri uomini appaiono piccoli, deboli, sottomessi; Maximilien è un giovane procuratore sempre dalla parte degli oppressi. Gli amici li chiamano per nome, ma nei tribunali sono conosciuti come Desmoulins, Danton e Robespierre. Nati in provincia da famiglie che li avrebbero voluti sistemati con un matrimonio combinato e una vita convenzionale, ma decisi a non accontentarsi, i tre sono riusciti a completare gli studi e arrivare a Parigi, dove proprio in quegli anni "tutte le persone giuste si stanno radunando", dice Camille. Centro del mondo per eccellenza, infatti, la Parigi del 1784 è sì il luogo dove si decidono le sorti dell'intera Francia, ma anche una città in cui i poveri muoiono di fame e i cadaveri giacciono ammucchiati agli angoli di strada. Una città tesa fra l'austerità dell'ancien regime e l'idea di un mondo nuovo e più giusto come quello che i giovani discutono nei caffè e nei circoli. E in questo clima, mentre il malcontento inizia a fermentare in tumulti e improvvisi scoppi di violenza, saranno proprio Robespierre, Danton e Desmoulins a incarnare le speranze di un'intera generazione e a legare il loro destino di eroi tragici alla Rivoluzione.
14 luglio 1789. Una folla inferocita espugna la Bastiglia, fortezza simbolo dell'assolutismo monarchico. I muri vengono abbattuti, le guardie trucidate, e lungo la strada per il municipio - dove lo stanno portando in corteo per essere giudicato - il governatore della prigione finisce linciato. La sua testa, staccata dal corpo con un coltello da macellaio, viene infilzata su una picca e, più tardi, presa a calci sotto la Lanterna di place de Grève. Nessuno ancora può saperlo, ma sarà solo la prima delle tante teste che cadranno negli anni a venire, quando nelle piazze e nelle vie di Parigi i piedi affonderanno nel sangue e alla Lanterna finiranno appesi corpi a decine. Dietro la presa della Bastiglia ci sono un pugno di uomini straordinari: Camille Desmoulins, giovane scrittore ammirato dagli uomini per i suoi velenosi pamphlet e dalle donne per la sua vita spregiudicata; Georges-Jacques Danton, audace leader dei cordiglieri, temuto tanto per la sua brillante oratoria quanto per il viso sfregiato; Maximilien Robespierre, procuratore sempre dalla parte degli ultimi. Non sono gli unici, in quegli anni, ad aver immaginato - nella foschia della stanchezza e dell'alcol delle notti passate nei caffè - un mondo più libero e giusto, ma soltanto loro hanno il carisma e la forza di imporre alla storia la propria volontà.
Si rifugiò in camera, chiuse le imposte e si sdraiò sul letto nella penombra. Con lo sguardo al soffitto, poteva rievocare in ogni dettaglio il volto di Nikiforos, i suoi occhi, il suo sorriso. A un tratto provò un dolore indicibile. Aveva la sensazione che fosse accaduto qualcosa d'importante, che nel suo universo qualcosa fosse mutato. niente sarebbe stato più come prima.
Pensieri improvvisi, folgoranti aforismi, squarci di racconti mai più elaborati sono raccolti in questo "Quaderno d'appunti", pubblicato postumo e limpidamente tradotto da un'altra grandissima scrittrice, Elsa Morante. La breve vita di Katherine Mansfield vi si illumina di tonalità nuove, in particolare per i suoi ultimi anni, quando la sua ricerca di una verità oltre la letteratura la porta a mettersi in discussione, a confrontarsi drammaticamente con la vita. Il paragone con la sua grande contemporanea, Virginia Woolf, è obbligato: "Strane le sorti di queste due grandi scrittrici," scrive Emilio Cecchi. "E la sorte più buia, indecifrabile, non è quella della Woolf, piena d'immagini e di sogni, benché minacciata e visitata dalla demenza; ma della Mansfield, tesa e vibrante come acciaio, nella spietata ricerca della realtà, della verità, che la induceva a cieca crudeltà verso se stessa." Uno sguardo nell'intimità di una delle maggiori autrici di narrativa breve del Novecento, troppo presto strappata alla sua arte.
Pubblicato postumo nel 1923, a pochi mesi dalla morte dell'autrice, "Il nido delle colombe" è la raccolta con cui John Middleton Murry intraprende l'opera di canonizzazione della moglie, accostando a racconti già pubblicati su rivista, altri inediti o incompiuti.
Pensieri, folgoranti aforismi, abbozzi di racconti mai più elaborati sono raccolti in questo "Quaderno di appunti", pubblicato postumo, e limpidamente tradotto da Elsa Morante. La breve vita di Katherine Mansfield vi si illumina di tonalità nuove, in particolare per i suoi ultimi anni, quando la sua ricerca di una verità oltre la letteratura la porta a mettersi in discussione, a confrontarsi drammaticamente con la vita. Il paragone con la sua grande contemporanea, Virginia Woolf, è obbligato: "Strane le sorti di queste due grandi scrittrici" scrive Emilio Cecchi. "E la sorte più buia, indecifrabile, non è quella della Woolf, piena d'immagini e di sogni, benché minacciata e visitata dalla demenza; ma della Mansfield, tesa e vibrante come acciaio, nella spietata ricerca della realtà, della verità, che la induceva a cieca crudeltà verso se stessa".
Il primo turno è cominciato da poco quando la giovane Émilienne cade a terra fulminata dalla corrente elettrica. È l'ennesimo incidente sul lavoro nella filiale Daewoo di Pondange e l'esasperazione degli operai esplode in una rivolta. La tensione sale, i dirigenti abbandonano gli uffici, la fabbrica crolla tra le fiamme di un incendio. Gli inquirenti si affrettano ad arrestare Nourredine, il leader degli scioperanti, ma cosa si nasconde dietro la facciata del fatiscente stabilimento? Esiste un legame fra queste vicende e la sospetta cordata Daewoo-Matra, che sta cercando di mettere le mani sul colosso Thomson multimedia? Solo un segugio come Charles Montoya può scoprirlo, ex poliziotto alle prese con i fantasmi di un passato poco limpido. Sarà l'incontro con la sensuale Rolande a schiudergli le porte di inconfessabili intrighi e a introdurlo nell'amara realtà quotidiana degli operai di Pondange, inconsapevoli pedine di piani orditi in eleganti uffici di Bruxelles e in esclusivi ristoranti parigini. Con un thriller politico-finanziario, Dominique Manotti ricompone le trame sommerse di una vertiginosa partita per il potere, che fra scellerati ricatti, scomodi compromessi e sadici omicidi risucchia nei suoi ingranaggi vittime e carnefici.
L'Alice fece naufragio alla foce del Columbia River nel 1909. Era così bella e strana che qualcuno la fotografò. Piero ha 50 anni, è un giudice e vive in Sardegna. Sta per lasciare Lula innamorato di Candida. Ma si imbatte in Alice, nella sua foto, mentre si arrovella a cercare la password di un file privato di Lula. E la password è Alice. Il file è un diario. Dentro c'è una storia vecchia e incredibile, di Lula e del fratello Piero, morto prematuramente e considerato in famiglia quasi un santo. Piero vuole sapere. Vuole sapere della storia e dell'Alice. Perchè intestardirsi su un fatto del passato, ormai senza valore, può servire ad allontanare il futuro, oppure a farlo esplodere.
«L'ultimo colloquio al telefono dunque rovesciò le nostre vite: per accumulo, per eccesso, quasi che esse potessero cambiare solo traboccando. Zezi poi asserí, magari velleitariamente, che era stato come il sussulto piú luminoso d'una lampadina prima che si fulmini. A voler chiamare luce l'infelicità, o addirittura la violenza, e buio l'assestamento raggiunto fra noi».
Un racconto: l'insolito regalo di compleanno di un marito a una moglie che lo accusa di non amarla più. Quando scende la sera, e fa freddo fuori e dentro, alla luce blanda di una lampada un uomo «quasi vecchio» legge alla sua compagna una storia d'amore che ha appena finito di scrivere per lei, nel tentativo di ritrovare l'intesa d'un tempo.
Torna così un inverno lontano e insolitamente nevoso, quando un giovane magistrato all'inizio della sua carriera arriva dal continente su un'isola. Là, dentro una precaria camera d'affitto, gli tocca smaltire insieme alle carte processuali la noia della solitudine. Ma una sera la telefonata di una sconosciuta increspa la calma triste e piatta di quello scenario. Sembra un errore, uno scherzo, e invece è l'inizio di una relazione.
Chi lo chiama è Zezi, una diciassettenne buffa («una squaw bambina»), persino bella e a suo modo infelice: d'una «fragilità impudica ». Insiste a cercarlo, serenamente sfacciata, con la sua voce puerile ma di contralto; e presto il magistrato non riesce a fare a meno di quelle telefonate. S'imbatte allora in una realtà sconosciuta, che è già amore, anche se il nome gli verrà solo più tardi; una zona inesplorata di sé nella quale si perde, costretto a fare i conti con la propria vita, in bilico tra le rigidità della professione e le imprudenze frivole (le assennate follie?) della ragazza. Ma cosa cerca Zezi? Perché vanta amori di ogni genere e con indecenza soave si dà della puttana? Forse per recuperare qualcosa che ha perduto, che non ha mai avuto? Per mitomania? O soltanto per civetteria? Che si tratti di bisogno di protezione o di malizia, lei gli propone un fidanzamento, però condizionato. Così il giudice prende a frequentarne ogni giorno la villa, Villa Mimosa, imparando da un vecchio grammofono lo strazio dei tanghi argentini e la Pavane di Ravel; ma dopo non sta ai patti: come se d'improvviso si fossero scambiati innocenza e corruzione, in un gioco delle parti che è la dolorosa fine d'ogni gioco. Segue un anno di sospensione e silenzio, poi la storia si ripete: lo squillo di una telefonata sembra riaprire il ciclo. Ma l'emozione che ne deriva è una vertigine dissolta in un attimo, «come nei sogni di chi crede di stare su un precipizio e invece si ritrova sopra un qualsiasi gradino». Come se una nuova cognizione del dolore avesse d'un tratto cancellato quella strana passione, lasciando solo uno sconforto cocente degli altri e di sé.
Quella di Mannuzzu è una scrittura che s'impregna di dolore, malinconia, sbigottimento.
Un perimetro di tensioni e passioni, dove tutto procede per sottili trapassi, in una prosa fitta di dialoghi, stranita e colma di risonanze.
Sardegna 1978: mentre l'Italia intera è angosciata dalle notizie del sequestro Moro, a Sassari il giudice Valerio Garau, che sta bevendo un caffè insieme con la collega e amante Lauretta, cade riverso al suolo e muore fulminato da un grano di cianuro di potassio. Omicidio, suicidio o tragico errore? L'amante, l'ex moglie, qualcuno dei colleghi, il marito dell'amante, tutti avrebbero avuto buoni motivi per liberarsi di lui. E poi chi era davvero Valerio Garau? Un cinico, un seduttore, un bugiardo, un ragazzo malcresciuto, un ingenuo? Il giudice chiamato dal continente a far luce sull'impossibile caso si muove fra palazzi polverosi e villette in abbandono, fotografie ingiallite e reperti archeologici, furti di lettere e serrature violate, portando avanti un'istruttoria che risulta ogni giorno più enigmatica, dentro un ambiente giudiziario carico di gelosie, vigliaccherie, omertà. E, come ha scritto Natalia Ginzburg, alla fine il giudice lascerà l'isola "dove si è piegato a individuare il segreto d'un volto scomparso, avendo mescolato al destino di quel volto la propria infelicità". Da questo libro, che ha vinto il premio Viareggio nel 1989, è stato tratto il film "Un delitto impossibile" (2000), per la regia di Antonello Grimaldi, con Carlo Cecchi e Angela Molina.
"To snuff" in italiano significa "spegnere" e, in termini più crudi, "tirare le cuoia", "morire". E gli snuff movies sono film che, fuori da ogni fiction, documentano la morte: inflitta però fra i tormenti, lentamente, a un essere umano. Questo romanzo s'intitola "Snuff" perché racconta la morte: la racconta senza eufemismi ma con assoluto rispetto, adombrando la necessità di Dio. È quindi, a modo suo, un libro religioso. Piero, vecchio professore d'anatomia in pensione, ritiene che ormai si viva troppo e che troppi siano in ogni caso gli anni della sua vita. Dice quasi scherzando che la sua storia, gremita di lutti e di dolori, assomiglia sempre più a una tragedia elisabettiana, come forse la storia di ogni vecchio. In realtà, minacciato dalle malattie, carico di memorie che non sopporta più, si sente attratto dall'idea del suicidio. Tuttavia, forse per il suo credo cristiano, o forse per qualcos'altro di più vago e tenace, non riesce a decidersi. Il suo antico allievo Toni, detto Beau, ha dissipato i non pochi talenti di cui era dotato e adesso, alle soglie della vecchiaia, sta girando uno snuff movie anomalo, con immagini di morte non provocata da lui. Al centro del film vuole mettere il suicidio del suo maestro e amico Piero. Dunque lo sollecita: più o meno diplomaticamente, lo costituisce in mora. Il romanzo vive di questa tensione, prolungata fino alle ultime pagine. E vive dei ricordi che perseguitano Piero: la scomparsa della figlia durante un viaggio in India...