
La piccola Gabri vive in una quotidianità caotica e priva di affetto, girovagando per le strade di Parigi con la sorellina Michette e nutrendo un sotterraneo rancore per la madre Francine, animo volubile e civettuolo, completamente concentrato su di sé e i propri amanti. Quando, però, la sorte colpisce Gabri con un'inaspettata fortuna e, al tempo stesso, la più grande delle tragedie, la sua vita viene del tutto sconvolta: da bambina scostante e riservata, si trasforma in una ragazza affascinante e piena di vita. Poco alla volta, la giovane si prenderà le sue piccole rivincite sino ad arrivare alla partita finale con la nemica di sempre. Pubblicato a Parigi nel 1928, La nemica si configura come un'aspra caricatura dell'infanzia della scrittrice e del rapporto con la madre Fanny, un intreccio di vendetta e cupe passioni che si incontreranno in molti romanzi successivi, da Jézabel a Il vino della solitudine.
Irène Némirovsky (1903-1942)
Nata a Kiev nella famiglia di un ricco banchiere ebreo, trascorre un'infanzia agiata e solitaria a San Pietroburgo, prima di trasferirsi, con la Rivoluzione d'Ottobre, in Finlandia e, poi, in Francia A Parigi si laurea in lettere alla Sorbona e si dedica completamente alla scrittura, componendo tutte le sue opere in francese. Nel 1926 sposa l'ingegnere ebreo russo Michel Epstein, mentre al 1929 risale il suo primo romanzo di successo, David Golder. Benché la su attività di scrittrice fosse ampiamente apprezzata e riconosciuta, la Némirovsky non ottiene mai la cittadinanza francese e alla fine degli anni '30 si avvicina alla fede cattolica. Vittima delle leggi razziali insieme al marito, non riesce più a pubblicare se non sotto pseudonimo. Mentre si trova con la famiglia a Issy-l'Eveque, viene arrestata e deportata ad Auschwitz, dove viene uccisa il 17 agosto 1942; la stessa sorte spetta a Michel Epstein qualche mese dopo. Le figlie Denise ed Elisabeth riescono a salvarsi e a portare con sé una valigia piena di documenti e manoscritti della madre: solo decenni dopo Denise si ritrova tra le mani i primi due volumi di un capolavoro incompiuto, Suite francese.
Il ritratto di un mondo al tracollo e dell'intimo fallimento di un'intera generazione. Il mondo descritto ne "La preda" è la Francia degli anni '30, stretta nella morsa della Grande Depressione, e il compito di rappresentare una generazione di giovani spogliati di ogni ideale, di ogni sogno, di ogni aspirazione è affidato a Jean-Luc Daguerne che decide di sfuggire alla minaccia di un destino segnato. La sua famiglia è in rovina, la disoccupazione è alle stelle, la società scricchiola e fosche nubi si addensano all'orizzonte storico. L'unica salvezza è il potere, che resiste a ogni crisi. E Jean-Luc farà di tutto pur di ottener-lo. Sacrificherà gli affetti, soffocherà gli scrupoli, accetterà compromessi e tradimenti, manovrerà la vita propria e altrui come uno stratega seduto dietro una scacchiera. E perderà tutto nel breve spazio di un incontro. Tra le braccia di Marie le sue ombre si dissipano, rischiarate da una luce ardente, sconosciuta sino ad allora: la sorda ambizione cede il passo a un profondo senso di abbandono e sotto la scorza del cinismo riemergono passione e tenerezza. E a questo punto che, con un rovescio di prospettiva, vincitori e vinti, vittime e carnefici, prede e predatori invertono i loro ruoli, il male cambia volto e gli opposti destini si predispongono a un medesimo epilogo. Il talento lucido, affilato, vigoroso di Irene Némirovsky sa restituire le dolenti contraddizioni che abitano l'animo umano.
Per la prima volta escono in lingua italiana "Tutti i racconti" di Irene Némirovsky, di cui questo primo volume contiene le prose di esordio e dei primi anni della maturità (1921-1934). Si tratta di testi che nella loro intelaiatura rivelano la ricchezza e la complessità della scrittura di un'artista che non ha esitato a ricorrere a originali contaminazioni di codici tra il genere letterario propriamente detto, il diario, il cinema, il teatro ecc. Sotto l'apparente leggerezza dello stile narrativo prendono corpo le vicende di uomini e donne che si succedono nelle generazioni, incastonando, ciascuno a modo proprio, uno squarcio di verità, ora tenera e ironica, ora drammatica, così com'è la vita. La delicatezza del tratto e la minuzia dell'osservazione con cui pagina dopo pagina si snodano le storie dei vari protagonisti non devono farci dimenticare la lucidità di osservazione e la singolare forza espressiva di una possente scrittrice che viene meritatamente oggi annoverata fra i grandi interpreti del Novecento. La crudezza e il nichilismo che abitano i suoi anti-eroi diventano icona della disfatta e della morte che investono gli anni fra le due guerre. Eppure Némirovsky riesce a insinuare in questo male di vivere il soffio della vita. Come scrive Roberto Deidier nell'Introduzione, "sotto il velo della Storia la vita continua a battere. E pulsa proprio di quel mistero, di quell'élan per cui è ancora capace di trasformare la sofferenza in amore".
Con il titolo Siamo stati felici sono qui riuniti nove racconti, tutti incentrati su figure femminili, pubblicati dalla grande scrittrice – francese d’adozione – Irène Némirovsky, nata a Kiev nel 1903 e tragicamente scomparsa ad Auschwitz, dove era stata deportata, nel 1942.
Per la prima volta tradotti in italiano, questi racconti erano usciti su diverse riviste, negli anni tra il 1933 e il 1942, e dunque vanno a intersecarsi con la pubblicazione di grandi opere come L’affare Kutilov (1930), Il vino della solitudine (1935), Jezabel (1936), I cani e i lupi (1940), che avevano consacrato la scrittrice ebrea di origine ucraina come una delle maggiori narratrici di lingua francese della sua epoca. In tutti questi racconti, splendidi sono i ritratti delle donne protagoniste, che riflettono sugli episodi più intensi, a volte più drammatici, della propria esistenza; sempre legati a un amore incontrato e vissuto, oppure incontrato e perduto, che è stata la chiave di volta del loro destino. L’amore come passione, certo, ma con tutti i suoi ingredienti più contrastanti e antitetici: la gioia incontenibile, il piacere devastante, la sudditanza psicologica, la sofferenza estrema… E quasi sempre la felicità è al passato, nel ricordo, a volte enigmatico, a volte remoto, ma sempre ben presente, di un tempo in cui tutti noi ‘siamo stati felici’, per quel «sapore che soltanto l’amore può dare alla vita, un sapore di frutto, appetitoso, succulento, quasi aspro, un sapore di labbra giovani».
Nell'ambito dell'opera di Irene Némirovsky, i cui romanzi sono stati pubblicati principalmente da Adelphi, la Passigli Editori ha in programma l'edizione integrale dei racconti, che costituiscono una dimensione particolarmente felice della sua narrativa. Dopo la raccolta "Siamo stati felici", pubblicata in questa stessa collana, vengono dunque qui riuniti con il titolo "Giorno d'estate" alcuni altri racconti inediti o poco noti, a testimoniare ancora una volta la grande capacità di Irene Némirovsky di penetrare nelle pieghe più riposte dell'animo umano. E se "Giorno d'estate", "Domenica" e "Natività" si presentano come tre delicati studi sulle diverse età della vita, con "L'inizio e la fine" e con "Vincoli di sangue" vediamo nuovamente prorompere la passione fino al sacrificio più estremo, che sia l'assassinio dell'amata o sia la devastazione della propria stessa vita, immolata sull'altare di un amore impossibile. Cinque racconti di straordinaria intensità, che per lucidità di analisi psicologica già rivelano la scrittrice che di lì a breve avrebbe pubblicato i suoi grandi romanzi - da "Due" a "I doni della vita", da "I cani e i lupi" a "I fuochi dell'autunno" - fino alla riscoperta del suo capolavoro scampato alla deportazione ad Auschwitz, quella "Suite francese" che è stata uno dei maggiori successi internazionali di questi ultimi anni.
Dopo le raccolte "Siamo stati felici" e "Giorno d'estate" pubblicate in questa stessa collana, la Passigli Editori prosegue l'edizione integrale dei racconti della grande scrittrice francese di origine ucraina Irene Némirovsky. Questo terzo volume comprende nove racconti, tutti degli anni dal 1940 al 1942 con l'eccezione del primo, "Eco", che è del 1934, ma che a quelli si ricollega per una tematica fortemente improntata agli anni dell'infanzia e dell'adolescenza. Infatti, forse proprio il dilagare della Seconda guerra mondiale, con la nuova realtà tragica e brutale con cui le persone si trovano costrette a fare i conti, spinge la scrittrice ad una profonda rivisitazione del passato; non si tratta però di un consolatorio rifugio nel mito dell'infanzia, ma di una riflessione, in parte autobiografica e in parte fantastica, intorno ad un'età che non si lascia mai del tutto alle spalle e che spesso determina - anche negativamente, nella difficoltà dei rapporti tra genitori e figli, nelle aspettative deluse, nelle 'colpe' dei padri che i figli si trovano in qualche modo a dover espiare - l'ulteriore svolgimento della vita. Ma, come sempre nella narrativa di Irene Némirovsky, altri temi si intrecciano a questi: illusioni e delusioni d'amore, magie e sortilegi della memoria. E soprattutto, ancora una volta, questi racconti ci offrono una ricca, umanissima serie di indimenticabili personaggi maschili e femminili alle prese con i momenti cruciali delle loro esistenze...
Con "Speranze e destini" concludiamo la pubblicazione dell'intero corpus dei racconti di Irene Némirovsky. Questo quarto volume - dopo "Siamo stati felici", "Giorno d'estate" e "Sortilegio" - raccoglie dieci bellissimi racconti apparsi tra il 1937 e il 1940: anni particolarmente fertili per la grande scrittrice, che in quello stesso arco di tempo pubblica alcuni dei suoi principali romanzi, da "La preda" a "I cani e i lupi". Tra questi racconti ce n'è uno in particolare al quale Irene Némirovsky era molto affezionata: "Aino", splendida narrazione incentrata sugli anni dell'esilio finlandese della scrittrice. Del resto, una delle chiavi per entrare in tutti questi racconti è proprio quella autobiografica: così in "Fraternità", così in "Nascita e rivoluzione" e in "Magia", solo per citarne alcuni. Ma come sempre nelle opere di Irene Némirovsky, il ricordo autobiografico si apre all'immaginazione, un po' come avviene per i suoi personaggi, spesso adolescenti che invadono la realtà con i propri sogni, le proprie attese, le proprie fantasie. Si è parlato, a proposito di Irene Némirovsky, di una scrittura quasi romantica, intrisa di forti sentimenti; si può forse non obiettare troppo a questa osservazione, ma solo se la si integra con la straordinaria capacità della scrittrice di riprodurre la realtà, fisica e psicologica, nella quale si muovono i personaggi.
La quattordicenne Antoinette decide di gettare nella Senna tutti gli inviti che la madre, volgare e arcigna parvenue, ha stilato per il ballo destinato a segnare il suo ingresso nella brillante società parigina. È una vendetta, che la ragazza consuma nei confronti della madre. In poche pagine, con una scrittura scarna ed essenziale, l'autrice riesce a raccontare un dramma dell'amore, del risentimento e dell'ambizione. Irène Némirovsky, nata a Kiev nel 1903, è morta ad Auschwitz nel 1942.
Nei mesi che precedettero il suo arresto e la deportazione ad Auschwitz, Irène Némirovsky compose febbrilmente i primi due romanzi di una grande "sinfonia in cinque movimenti" che doveva narrare, quasi in presa diretta, il destino di una nazione, la Francia, sotto l'occupazione nazista: Tempesta in giugno (che racconta la fuga in massa dei parigini alla vigilia dell'arrivo dei tedeschi) e Dolce (il cui nucleo centrale è la passione, tanto più bruciante quanto più soffocata, che lega una "sposa di guerra" a un ufficiale tedesco). Pubblicato a sessant'anni di distanza, Suite francese è il volume che li riunisce.
Irène Némirovsky non soltanto racconta la parabola del potentissimo banchiere ebreo il quale, malato, caduto in rovina e abbandonato da tutti, si lancia in un'estrema avventura che gli permetterà forse di ridiventare ricco, ma tratteggia senza indulgenza il mondo frivolo, scintillante e fasullo dei nuovi ricchi che svernano a Biarritz, il loro patetico snobismo, le loro case arredate con sfarzo pacchiano, i loro scalcagnati gigolo che ostentano blasoni più che offuscati. Per gusto della sfida, per noia e per amore di una figlia che forse non è neppure sua, il vecchio giocatore cinico e disincantato si metterà in viaggio ancora una volta - e sarà l'ultima.
È lei, Tat'jana Ivanovna, la vecchia nutrice, a preparare i bagagli di Jurij e di Kirill, i ragazzi che partono per la guerra; ed è lei a tracciare il segno della croce sopra la slitta che li porterà via nella notte gelata. Sarà ancora lei a rimanere di guardia alla grande tenuta dei Karin allorché la famiglia dovrà, come tanti, rifugiarsi a Odessa e ad accogliere Jurij quando tornerà, sfinito, braccato. Né si perderà d'animo, la vecchia nutrice, quando dovrà camminare tre mesi per raggiungere i padroni e consegnare loro i diamanti che ha cucito a uno a uno nell'orlo della gonna. Grazie a quelli potranno pagarsi il viaggio fino a Marsiglia, e proseguire poi per Parigi. Nel piccolo appartamento buio che hanno preso in affitto Tat'jana vede i Karin girare in tondo, dalla mattina alla sera, come fanno le mosche in autunno. Lei, che è stata testimone del loro splendore, che li ha visti crescere, che li ha curati e amati per due generazioni con fedeltà inesausta, li vedrà adesso vendere le posate, i pizzi, perfino le icone che hanno portato con sé. Sembra che nessuno di loro voglia ricordare ciò che è stato; solo lei, Tat'jana Ivanovna, ricorda: così una notte, quella della vigilia di Natale, mentre tutti sono fuori a festeggiare, si avvia da sola, avvolta nel suo scialle, verso la Senna.

