
Un giornalista scrittore che vive da anni all'estero torna per capire l'Italia che TV e giornali non sanno raccontare. L'attraversa da nord a sud e, tra reportage e memoria personale, traccia undici ritratti esemplari: la Nazionale Italiana Maschere. Oltre al caso che dà il titolo all'opera, la vicenda di un'avvocatessa disposta a tutto pur di fare una comparsa in televisione, gli incredibili fatti di "cronaca" partoriti dall'immaginazione di Romagnoli rappresentano altrettanti vizi nazionali, eterni perché propri della natura italica, oppure di fresca attualità perché emergenti dagli sviluppi della storia contemporanea: eroi di una farsa che l'autore nobilita in commedia, con il sospetto che possa un giorno sfociare in tragedia.
Cosa faresti se, nel tempo breve di una giornata o di un attimo, dovessi scegliere fra due alternative, ognuna critica, ognuna destinata a ridefinire l'idea di te stesso, a cambiare il destino tuo e altrui? Una scelta irresolubile eppure necessaria, come quella che si trovano costretti a prendere Laura e Raffaele, una coppia che desidera adottare un figlio e si ritrova a decidere in poche ore - una lunga, interminabile notte - se diventare genitori di una bambina gravemente malata. O come capita a Adriano, che un mattino si sveglia e scopre da un video sul cellulare che il figlio ha preso in prestito la sua auto e con essa ha investito una persona, uccidendola senza nemmeno fermarsi a prestare soccorso. Adriano, che da quando ha perso la moglie e il lavoro, è incapace di decidere qualsiasi cosa, esce di casa per cercare fuori da sé, un passo dopo l'altro, una risposta: denunciare il figlio o costituirsi al suo posto per salvarlo? Invece solo un istante è concesso a Giovanni, il tassista Urano 4, per prendere la risoluzione più importante... Seguendo quale ragionamento o intuizione, quale idea del mondo e di sé, Laura, Raffaele, Adriano, Giovanni e gli altri personaggi di questo romanzo - che il lettore scoprirà essere tutti sottilmente legati fra loro - potranno fare la loro scelta? Come arriveranno al catartico finale che li richiama in scena tutti insieme per scegliere ancora, giacché la vita è un percorso segnato da bivi etici? Nel divario fra essere autentici ed essere giusti temono di perdersi, perché ci sono nell'esistenza di ciascuno "deviazioni improvvise, circostanze inattese, scelte improbabili" davanti alle quali è impossibile quanto necessario farsi trovare pronti. Gabriele Romagnoli sonda con la consueta scrittura lucida e paziente la coscienza dei suoi personaggi, esponendola al lettore senza melodramma, senza esibita compassione, e proprio per questo con le loro storie ci interroga, risveglia domande complesse e sollecita i dilemmi morali che ci rendono umani. Cosa faresti se, ti ritrovi a chiederti...
Non ingombrare, non essere ingombranti: è l'unica prospettiva che si possa contare fra quelle positive, efficaci, forse anche moralmente e politicamente buone. Gabriele Romagnoli ha avuto modo di pensarci in Corea, mentre era virtualmente morto, chiuso in una cassa di legno, per un bizzarro rito-esperimento. Nel silenzio claustrofobico di quella bara, con addosso solo una vestaglia senza tasche (perché, come si dice a Napoli, "l'ultimo vestito è senza tasche"), arrivano le storie, le riflessioni, i pensieri ossessivi che hanno a che fare con la moderazione. Il bagaglio a mano, per esempio. Un bagaglio che chiede l'indispensabile, e dunque, chiedendo di scegliere, mette in moto una critica del possibile. Un bagaglio che impone di selezionare un vestito multiuso, un accessorio funzionale, persino un colore non invadente. Il bagaglio del grande viaggiatore diventa metafora di un modello di esistenza che vede nel "perdere" una forma di ricchezza, che sollecita l'affrancamento dai bisogni, che non teme la privazione del "senza". Anche di fronte alle più torve minacce del mondo, la leggerezza di sapersi slegato dalla dipendenza tutta occidentale della "pesantezza" del corpo, e da ciò che a essa si accompagna, diventa un'ipotesi di salvezza. Viaggiare leggeri. Essere leggeri. Vivere leggeri. Gabriele Romagnoli centra uno dei temi decisivi della società contemporanea e della sopravvivenza globale e scrive una delle sue opere più saporite, il racconto di una rinascita, di un risveglio.
In principio c'era don Abbondio con il suo "Il coraggio, uno non se lo può dare". Un grande personaggio illuminato nella sua neghittosa rinuncia a scegliere il bene. Gabriele Romagnoli percorre le strade del coraggio a partire dal senso caldo dell'esortazione che spesso abbiamo conosciuto nella vita: il coraggio che, da piccoli, ci sprona a camminare, pedalare, pattinare, quello che ci invita a non avere paura, o ad alzare la testa. Non si parla in questo libro del coraggio che fa di un uomo un guerriero armato o un cieco cercatore di morte (inferta o subita). Qui si parla del coraggio che la Francia del premio Carnegie dedicava "agli eroi della civiltà". Fra questi "eroi", un Antonio Sacco che nel 1936 compie il suo atto di coraggio e poi è dimenticato. Per Romagnoli, "Sacco A." diventa un'ossessione e solo in chiusura scopriamo con lui, anzi grazie a lui, le gesta di cui fu protagonista. Ma prima di arrivare a quel giorno del 1936, Romagnoli stila un suo personale catalogo di uomini coraggiosi, come Éric Abidal, il calciatore che vince la Champions League pochi mesi dopo la diagnosi di un tumore; il capitano Rowan, incaricato di portare un messaggio al capo dei ribelli nel mezzo della giungla cubana; il senatore Ross, che col suo voto salva la presidenza degli Stati Uniti; o perfino un personaggio letterario come Stoner, e il suo no che finisce con il segnare una vita e una carriera.
Il primo amore è un mito, l'inizio dell'avventura, la prima della più lunga serie di incertezze che ci accompagneranno lungo il cammino, dando a ogni tratto il loro nome. L'ultimo amore è una possibile salvezza: riaccende la gioia, riscatta la sofferenza, dà un senso perfino agli errori precedenti. Come è possibile individuare questo approdo, la fine del viaggio, la certezza di essere "in un luogo da cui non vorrò andarmene al risveglio"? Gabriele Romagnoli, che ci aveva raccontato la necessità di viaggiare leggeri, di non portare zavorre - e di non essere zavorre -, ora si cimenta con quel che apparentemente è il suo opposto: il desiderio di fermarsi, la sicurezza di non volere altro e di non voler essere altro. C'è tutto questo nell'ultimo amore: che sia una persona incontrata fuori tempo massimo o la riscoperta di quella che si è sempre avuta accanto, o ancora proprio chi c'era stato all'inizio, quando non si era pronti. Che sia l'ultimo Capodanno di Zygmunt Bauman e sua moglie Aleksandra, titanici nella loro accettazione della perdita, o un silenzioso viaggio notturno in ospedale a spiare la donna amata senza svegliarla, gli ultimi amori hanno questo in comune: la consapevolezza di aver trovato nell'altro la certezza di quel che si è. E il raggiungimento di questo traguardo è il più avventuroso di tutti, perché "smetti di aspettare non quando perdi la speranza, ma quando l'hai trovata. Quando non ti giri più a guardare chi scende nell'altra direzione sulla scala mobile. Quando non invochi più il domani perché domani è adesso".
Non ingombrare, non essere ingombranti: è l'unica prospettiva che si possa contare fra quelle positive, efficaci, forse anche moralmente e politicamente buone. Gabriele Romagnoli ha avuto modo di pensarci in Corea, mentre era virtualmente morto, chiuso in una cassa di legno, per un bizzarro rito-esperimento. Nel silenzio claustrofobico di quella bara, con addosso solo una vestaglia senza tasche (perché, come si dice a Napoli, "l'ultimo vestito è senza tasche"), arrivano le storie, le riflessioni, i pensieri ossessivi che hanno a che fare con la moderazione. Il bagaglio a mano, per esempio. Un bagaglio che chiede l'indispensabile, e dunque, chiedendo di scegliere, mette in moto una critica del possibile. Un bagaglio che impone di selezionare un vestito multiuso, un accessorio funzionale, persino un colore non invadente. Il bagaglio del grande viaggiatore diventa metafora di un modello di esistenza che vede nel "perdere" una forma di ricchezza, che sollecita l'affrancamento dai bisogni, che non teme la privazione del "senza". Anche di fronte alle più torve minacce del mondo, la leggerezza di sapersi slegato dalla dipendenza tutta occidentale della "pesantezza" del corpo, e da ciò che a essa si accompagna, diventa un'ipotesi di salvezza. Viaggiare leggeri. Essere leggeri. Vivere leggeri. Gabriele Romagnoli centra uno dei temi decisivi della società contemporanea e della sopravvivenza globale e scrive una delle sue opere più saporite, il racconto di una rinascita, di un risveglio.
Un romanzo avvincente, scritto con stile scorrevole, asciutto, essenziale, ma capace di esprimere e comunicare profondità di contenuto.
Si legge in un soffio e fa emozionare.
Siamo ad Ostuni, la «città bianca» della Puglia.
Giuseppe, figlio del più famoso barbiere del paese, affina il proprio sguardo adolescenziale sul mondo, proprio osservando i clienti del papà.
Il libro parla di sud, di letteratura americana, di cinema, di teatro… anche di Roberto Benigni…
Il romanzo infatti si conclude con un’apertura alla vita: una lettera che Giuseppe, divenuto uomo, scrive al proprio idolo. Un momento decisivo che consente al protagonista, per la prima volta, di «vivere dentro la vita» con coraggio e passione, liberandosi definitivamente da apatia, sterili furbizie e condizionamenti ambientali.
Questa è la storia di Teodoro, della sua famiglia e degli anni Sessanta. Di una ricerca interiore semplice, ricca di senso e leggerezza. Questa è la storia di una città, Brindisi, gloriosa e trascurata, del suo porto illustre, storico crocevia di traffici commerciali con l'Oriente e la Grecia. È la storia di un uomo. Un insegnante di educazione fisica orgoglioso di fare un mestiere che aiuti i ragazzi a volare tutti interi: cuore, mente, muscoli. Innamorato, da perdere il fiato, di sua moglie e della sua bambina prodigio. Emozioni, tradimenti, bassezze, dolcezze infinite, scintille di grandezza e picchiate. Pura vita da lui ripresa, riavvolta e proiettata, millimetro dopo millimetro, col suo strumento più preciso: il sentimento. Questa è la storia di un uomo invisibile, come lo sono tutte le persone speciali. Capaci di semine inattese, piccoli grandi gesti. I più difficili. Quelli che richiedono maggior fatica, i meno notati, ricordati. Nessuno lo vedeva, Teodoro. Nessuno si accorgeva della sua regia. Ma lui vedeva tutto. Tutti. Questa è la storia di chi, ogni giorno, celebra con dignità il miracolo della vita.
Una persona normale, dunque, eccezionale. Perché l'eccezionalità del protagonista di questo romanzo è nella sua ispirata sete di normalità. Un continuo abbeverarsi alla vita vissuta nella sua più solare semplicità. Nei piccoli miracoli quotidiani che una mamma, un po' contadina e un po' Madonna, gli trasmette ogni giorno. Un'infanzia poverissima e selvaggia, fatta di corse a piedi nudi nella terra rossa, tra i muretti a secco e gli odori di frutti della splendente campagna pugliese degli anni trenta, nella bianca Ostuni. Un ragazzo di campagna destinato ai campi scopre, all'improvviso, un fuoco sacro: il cinema. Un'arte, in quegli anni a Ostuni, sconosciuta anche ai signori e ai maestri. Una mamma che capisce. Capisce che quel figlio non è suo: è un predestinato. Quel bambino riflessivo, dallo sguardo penetrante, frutto di un amore assoluto fra una donna ancora bambina e un uomo speciale. Questo il magico contesto di straziante bellezza e d'indigenza che accompagna il protagonista nella sua crescita, nella scoperta del mondo, nella sua corsa senza fretta che lo porterà a diventare uomo nel senso più autentico del termine. Da lì partirà il suo viaggio. Da lì nascerà ogni immagine che, divenuto un grande regista cinematografico, riproporrà nei suoi film con originalità e, soprattutto, poesia. Sino alla gloria e all'acclamazione internazionale. Viaggi, successi, ville degne di una star, salotti intellettuali e feste hollywoodiane. Sino al coup de théâtre finale...
Il diario di Masha Rolnikaite, cominciato nel 1941, è stato scritto su fogli occasionali, poi a mente, poi sulla iuta strappata ai sacchi di cemento, quindi copiato su minuscoli striscioline nascoste in una bottiglia, e infine trasferito - nella primavera del 1945, di getto - sulla carta. All'inizio Masha è una ragazzina di tredici anni che assiste allo smantellamento della Vilna ebraica (la Gerusalemme d'Europa), e annota tutto, fino a quando la madre, troppo preoccupata delle possibili conseguenze, glielo vieta. Ma Masha sembra non poter smettere di osservare, e di raccontare. Pubblicato per la prima volta nel 1963 nella traduzione lituana procurata dalla stessa autrice, il diario apparve in versione integrale solo nel 2002 in lingua tedesca.
Questa è una ricognizione autobiografica ed è il racconto della città che l'ha ispirata. Si entra nella storia dagli anni Cinquanta: l'infanzia nei nuovi quartieri periferici, con le paterne "lezioni di cultura operaia", le materne divagazioni sulla magia del lavoro sartoriale, la famiglia comunista e quella cattolica, le ascendenze lombarde e quelle leccesi, le gite in tram, le gite in moto, la morte di John F. Kennedy e quella di papa Giovanni, Rocco e i suoi fratelli, l'oratorio, il cinema, i giochi, le amicizie adolescenziali e i primi amori fra scali merci e recinti incustoditi. E si procede con lo scatto della giovinezza, accanto l'amico maestro di vita e di visioni, sullo sfondo le grandi lotte operaie, la vitalità dei gruppi extraparlamentari, il sognante melting pot sociale di una generazione che voleva "occhi diversi". A questa formazione si mescola la percezione dell'oggi, il prosciugamento della città industriale, i progetti urbanistici per una Grande Milano, le trasformazioni dello skyline, il trionfo della capitale della moda e degli archistar.
Terra Santa, estate 1134. Lo cerca da sedici anni. Per trovarlo, ha sacrificato la sua giovinezza e il patrimonio della sua famiglia. Si è persino travestita da uomo ed è diventata un cavaliere templare, ma alla fine è stata ammessa in quella cripta. Dove l'attende un vecchio che, con mano tremante, le porge l'oggetto che per lei vale più di ogni altra cosa al mondo. Perché, grazie a esso, quel vecchio ha vissuto per 520 anni. Corno d'Africa, oggi. Bastano pochi minuti a un gruppo di pirati somali per assumere il controllo del lussuoso yacht. Il loro obiettivo, però, non è né impadronirsi dell'imbarcazione né derubare i passeggeri, bensì portare a terra uno dei turisti, una donna americana. Non appena apprende la notizia, il presidente degli Stati Uniti in persona chiede l'intervento della Sigma Force e in particolare di Gray Pierce, il loro migliore agente. Perché quella donna è Amanda Gant, sua figlia, e le persone che l'hanno rapita non sono delinquenti qualunque, ma fanno parte della Gilda, un'organizzazione sulle tracce di un segreto che la famiglia Gant custodisce da novecento anni. Un segreto di cui Amanda è l'ultima depositaria...