
In quella piovosa sera d'ottobre, nella cittadina di provincia, tutto sembrava tranquillo. Dopo aver cenato con la figlia Hector Loursat si era chiuso nel suo studio, come al solito, e si era sprofondato nella lettura. Erano ormai 18 anni che viveva in questo modo, senza vedere nessuno, senza uscire di casa. Il brillante rampollo dei Loursat de Saint-Marc, era diventato un orso, un inutile ubriacone. Ma quella sera, uno sparo nel buio, un'ombra che si dilegua, uno sconosciuto che muore nella sua casa. Qualcosa costringerà Loursat a uscire dalla sua solitudine, a scrollarsi di dosso la paglia della sua tana per assumere la difesa del giovane amante di sua figlia, insomma a "calarsi nuovamente nella vita", almeno per un po'.
L'ha avuta finalmente la sua nave, il capitano Lannec, dopo anni passati a comandare quelle degli altri armatori! E nonostante le proteste della suocera e le lacrime della moglie l'ha chiamata "Fulmine dal cielo", a evocare la sua imprecazione preferita. Ma dei soldi della suocera, della sua malleveria, ha pur avuto bisogno per poterla comprare. Ed è per questo che sua moglie Mathilde, ha preteso di fare il primo viaggio insieme a lui, anche se tutto le sembra sporco, anche se soffre il mal di mare, anche se perfino a bordo non le riesce di abbandonare le sue maniere affettate. E un po' alla volta Lannec comincia a sentirsi inquieto, tanto più che prima di partire ha ricevuto un biglietto, anonimo e minaccioso.
Che ci fa Maigret dietro il bancone di un bistrot di periferia? E perchè mai c'è un agente di polizia che serve ai tavoli? E' una lunga storia. Tutto è cominciato in una fulgida giornata di febbraio: uno sconosciuto ha chiamato Maigret dicendo di essere braccato e in pericolo di vita. Il solito burlone? Un esaltato? Ma lo sconosciuto ha continuato a chiamare, a invocare aiuto, tracciando con i suoi spostamenti una mappa dall'angoscia, un diagramma del terrore. E quella stessa notte il corpo dell'uomo, barbaramente accoltellato, è stato ritrovato in place de la Concorde. Da allora il commissario non ha più pace. Quel morto gli appartiene, è suo e ne vuole rintracciare la storia e vendicarne la morte, come fosse un amico.
L'Arizona è già il decimo stato e Tucson è solo l'ultima delle innumerevoli città piccole e grandi che il commissario Maigret attraversa, in compagnia dell'ufficiale dell'FBI incaricato di fargli da balia, nel corso del suo viaggio di studi americano. Questo viaggio gli consentirà di apprendere parecchie cose: dal funzionamento dei grammofoni meccanici a quello della giustizia americana; da come si viaggia sulle strade del deserto a come si conduce un interrogatorio. Apprenderà anche che se gli americani sono gentili con tutti e sorridono a tutti, poi la sera affogano in una bottiglia di wisky, e che a volte in una società civile e organizzata come quella americana, un delitto serve a ripristinare l'ordine costituito...
"Il sottoscritto, Lucien Gobillot, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali..." No, non è così che bisognava cominciare: così si cominciano i testamenti. Già. Ma allora, perché scrivere quella specie di memoriale? Per chi? "In caso di disgrazia. Nell'eventualità che le cose finissero male". E come altro sarebbe potuta finire quella storia? Era cominciata un anno prima, quando Yvette, quella puttanella insieme cinica e fragile, furba e innocente, era andata a chiedergli di assumere la sua difesa, la sua e quella dell'amica con la quale aveva tentato di rapinare un orefice riuscendo solo a mandarne la moglie all'ospedale...
Se ne sarebbe ricordato in seguito di quell'attimo, e non sempre con piacere. Per anni, in certe ridenti mattine di primavera, i colleghi dei Quai des Orfèvres avrebbero conservato l'abitudine di rivolgersi a lui con un misto di serietà e di ironia: "Senti Maigret" "Che c'è?" "C'è Félicie!". E allora lui la rivedeva, sottile, con i suoi vestiti chiassosi, i grandi occhi color nontiscordardimé, il naso impertinente, e il cappello poi, quel terrificante cappellino rosso piazzato in cima alla testa con una lunga penna verde cangiante infilzata come una freccia. "C'è Félicie!". Il commissario sbuffava. Lo sapevano tutti che Maigret si metteva a sbuffare come un orso quando qualcuno gli ricordava Félicie.
"Bébé! Che idea chiamarlo Bébé!": sono passati dieci anni dal suo matrimonio e Francois Donge non è ancora riuscito ad abituarsi a quel ridicolo soprannome che tutti hanno sempre usato per sua moglie. E nessuno, e tanto meno lui, avrebbe potuto immaginare che una domenica d'estate, servendo il caffè nel magnifico giardino della loro villa in campagna, proprio quell'essere immateriale, di squsita eleganza, avrebbe versato nella tazzina del marito una dose mortale di arsenico. Bébé Donge in prigione! Inimmaginabile: eppure eccola avviarsi verso il carcere, tranquilla e disinvolta. E Francois avrà tutto il tempo, durante la degenza in ospedale e nel corso del processo, per interrogarsi su quel gesto apparentemente inesplicabile.
E' notte fonda a Pigalle, e l'insegna rossa del Paicratt's, dove approdano clienti che giocano lì la loro ultima carta, si riflette sul selciato come una chiazza di sangue. Poi anche quella si spegne. Una donna dal passo malfermo entra nel vicino commissariato di Rue de La Rochefoucauld. E' pesantemente truccata e sotto il finto visone indossa un abito di raso nero. Ha lo sguardo di una bambina ansiosa. E' una delle spogliarelliste del Picratt's. Dice di aver sentito due clienti che complottavano l'assassinio di una contessa piena di gioelli. Ma la mattina dopo ritratta. Poche ore dopo viene trovata strangolata nel suo appartamento. E quando anche una contessa morfinomane e decaduta viene assassinata, per Maigret è giunto il momento di indagare.
A più di vent'anni di distanza, un Maigret ormai pensionato intende con le sue memorie ristabilire la verità. E comincia proprio dal giorno in cui il personaggio aveva incontrato il suo autore; continua con il racconto della sua infanzia e adolescenza, del suo arrivo a Parigi, della sua decisione di entrare nella polizia, e dell'incontro con quella che diventerà sua moglie; e passa poi a fare un quadro "veritiero" della vita di un giovane poliziotto nella Parigi degli anni Venti. Le memorie si chiudono con la nomina di Maigret a ispettore.
"Scritto intorno agli anni Trenta da un genio, questo breve capolavoro è il romanzo della polizia, del controllo, dell'annullamento totale dell'uomo sotto la più potente, importante e demiurgica dittatura poliziesca che l'uomo moderno abbia mai conosciuto. Ha un predecessore altrettanto profetico: Franz Kafka... Simenon con pochi tratti, come un grande pittore appunto, costruisce scene, costumi e nomi e personaggi che paiono coperti dalla cipria bianca della pittura surrealista e metafisica. La sua semplice chiara prosa di umile scrittore di gialli è percorsa dal vento dei Balcani, evoca, con la sola parola Mar Nero, un mare nero, descrive gli uomini a due dimensioni: una di faccia e l'altra di profilo." (Goffredo Parise)
A metà degli anni Trenta, uno scandalo travolse l'immenso impero commerciale dei due fratelli Ferchaux, arrivati in Africa alla fine dell'Ottocento come passeggeri clandestini. Simenon prende spunto da questa vicenda di cronaca per realizzare il suo romanzo. Con quali mezzi era stata accumulata la fortuna dei Ferchaux? Quali complicità avevano avuto i fratelli nelle autorità coloniali? Che fine aveva fatto il primogenito, il vecchio Dieudonné? E' qui che ha inizio il libro ed è qui che Simenon fa entrare in scena un personaggio decisivo: il giovane Michel Maudet.
E' la seconda estate che Maigret passa nella sua casa di Meung-sur-Loire. E' in pensione e si annoia. Perché mai accetterebbe, altrimenti, di indagare per conto di una imperiosa e anziana signora che gli piomba in casa la cui nipote è misteriosamente annegata? Lei, che odia il genero e disprezza la figlia, vuole vederci chiaro. Ma la vera ragione è un'altra: Maigret vuole mettersi ancora alla prova. Corre seri rischi questa volta, perché è solo, perché l'ambiente che lo circonda non è il suo, perché la gente è altezzosa e avida. Tutto ciò riesce però a scatenare la furia di Maigret, il suo desiderio di portare alla luce quel che si cela dietro la facciata.