
Qualche mese dopo la Notte dei Cristalli, Adolf Hitler autorizzò gli Ebrei che ne avessero fatto richiesta a lasciare la Germania. Ad Amburgo la Saint-Louis, una nave battente bandiera nazista, partì con a bordo 937 passeggeri, di cui 550 femmine e bambini. Erano tutti ebrei tedeschi, tutti muniti di visto e con destinazione La Havana. Speravano di soggiornare a Cuba, prima di ricevere il permesso d'entrata negli Stati Uniti. Ma né il governo cubano, o statunitense, o canadese e neppure quelli dei diversi paesi dell'America latina accolsero i profughi e la Saint-Louis visse una tragedia qui ricostruita grazie alle testimonianze dei sopravvissuti e a documenti d'archivio.
È il maggio del 1816 e a Londra i ministri degli Esteri britannico e francese stanno per firmare un accordo che segnerà inesorabilmente le sorti di una parte del mondo cruciale dal punto di vista politico ed economico: il Medio Oriente. L'Impero Ottomano infatti ha i giorni contati e la sua caduta sta per lasciare un vuoto di potere dall'Egitto all'Iraq al Libano alla Palestina. Inglesi e francesi si spartiscono le future zone di influenza in un patto segreto tra le loro diplomazie, noto alla storia come "trattato Sykes-Picot". Ma, chiede Jean-Francois Levent, un giovane diplomatico francese presente alla firma degli accordi, e gli arabi? "Gli arabi non esistono, sono solo un miserabile aggregato di tribù, piccole fazioni gelose le une delle altre e incapaci di coesione", è la sprezzante risposta del ministro inglese. Parole che provocherebbero incredulità e indignazione se le udisse Hussein Shahid, produttore di agrumi in Palestina, o Farid Lufti, coltivatore di cotone al Cairo, o Nidal El-Safì, colto patriarca di un'influente famiglia di Baghdad. Queste tre famiglie arabe, così come i Tarbush di Haifa, o come la famiglia ebrea dei Marcus, fuggita dai pogrom della Polonia per stabilirsi in Palestina, conducono la loro esistenza in una maniera ben diversa da quella immaginata dai ministri occidentali. Seguono rispettosamente tradizioni millenarie, ma allo stesso tempo sono culturalmente aperte, capaci di convivere in sintonia e amicizia con arabi di diverse origini e con gli ebrei.
Firenze, giugno 1441: nei pressi della locanda dell'Orso, un ragazzo che conversa con Lorenzo Ghiberti, celebre scultore e pittore, si accascia al suolo con una daga piantata tra le scapole. Poco lontano, un uomo fugge in direzione dell'Arno.
Anversa e Tournai, durante lo stesso anno: due giovani apprendisti di Van Eyck, il grande artista delle Fiandre cui si deve l'invenzione della pittura a olio, vengono trovati cadaveri con la gola tagliata e della Terra di Verona in bocca.
Bruges, ancora nel 1441: Jan, il giovane figlio adottivo di Van Eyck, di ritorno a casa verso sera, si imbatte nel corpo di un uomo con gli occhi strappati, la gola squarciata e una polvere verdastra che gli cola dalle labbra...
«Si sta avvicinando. Anversa e Tournai, oggi Bruges»: è l'amaro commento di Van Eyck.
A che cosa alludono realmente queste parole? Perché l'assassino dovrebbe avvicinarsi alla città del riverito pittore?
Tra le brume delle Fiandre e il cielo luminoso della Toscana, si snoda un thriller carico di suspense e di avventura, oltre che un impeccabile romanzo storico che ci riporta all'epoca d'oro della pittura.
Un bicchiere di sherry, la lettura di un sonetto di John Keats e Clarissa Gray, celebre autrice di romanzi polizieschi, china il capo sui morbidi cuscini del suo letto, felice di addormentarsi nella sua quieta casa di Arran, l'isola sulla costa occidentale della Scozia dove vive da più di vent'anni. Il tempo di chiudere gli occhi, però, che subito il rumore di una porta sbattuta la ridesta dal sonno. Col cuore che batte, Clarissa s'infila la vestaglia, scende gli scalini che portano al primo piano e scopre, vicino alla porta d'ingresso, un uomo quasi calvo, col volto smunto, disteso per terra. Ha la gola tagliata e il sangue sgorga a fiotti intermittenti formando una chiazza amaranto sul tappeto...
Firenze, giugno 1441: nei pressi della locanda dell'Orso, Lorenzo Ghiberti, celebre scultore e pittore, si accascia al suolo con una daga piantata tra le scapole. Poco lontano, un uomo fugge in direzione dell'Arno. Anversa e Tournai, durante lo stesso anno: due giovani apprendisti di Van Eyck, il grande artista delle Fiandre cui si deve l'invenzione della pittura a olio, vengono trovati cadaveri con la gola tagliata e della Terra di Verona in bocca. Bruges, ancora nel 1441: Jan, il giovane figlio adottivo di Van Eyck, di ritorno a casa verso sera, si imbatte nel corpo di un uomo con gli occhi strappati, la gola squarciata e una polvere verdastra che gli cola dalle labbra... "Si sta avvicinando. Anversa e Tournai, oggi Bruges": è l'amaro commento di Van Eyck. A che cosa alludono realmente queste parole? Perché l'assassino dovrebbe avvicinarsi alla città del riverito pittore? Tra le brume delle Fiandre e il cielo luminoso della Toscana, si snoda un thriller carico di suspense e di avventura, oltre che un romanzo storico che ci riporta all'epoca d'oro della pittura.
Nel 1441 ad Anversa, Bruges e Firenze, tre giovani artisti sono misteriosamente assassinati. I cadaveri presentano mutilazioni simili, oltre a tracce di uno stesso veleno. Le vittime, inoltre, sono state tutti apprendisti del pittore Jan Van Eyck. La soluzione del mistero passa attraverso le vicende di un ragazzo di tredici anni, Jan, figlio adottivo di Van Eyck, cui il padre, prima di morire, ha raccomandato questa enigmatica massima: "Bisogna saper tacere, soprattutto quando si sa". Tra le brume delle Fiandre e il cielo luminoso della Toscana, in compagnia di personaggi come Donatello, Antonello da Messina, Brunelleschi, Fra Angelico, si snoda un thriller carico di suspense e di avventura.
Un bicchiere di sherry, la lettura di un sonetto di John Keats e Clarissa Gray, celebre autrice di romanzi polizieschi, china il capo sui morbidi cuscini del suo letto, felice di addormentarsi nella sua quieta casa di Arran, l'isola sulla costa occidentale della Scozia dove vive da più di vent'anni. Il tempo di chiudere gli occhi, però, che subito il rumore di una porta sbattuta la ridesta dal sonno. Col cuore che batte, Clarissa s'infila la vestaglia, scende gli scalini che portano al primo piano e scopre, vicino alla porta d'ingresso, un uomo quasi calvo, col volto smunto, disteso per terra. Ha la gola tagliata e il sangue sgorga a fiotti intermittenti formando una chiazza amaranto sul tappeto...
Sinopoli, dopo le prove del Parsifal, una sera esce dalla Fenice e nel silenzio misterioso di Venezia si perde nell'intrico delle calli. Si perde e vuole perdersi, come se l'onda della musica wagneriana lo avesse davvero stregato interrogandolo, al di là delle questioni puramente musicali o delle soluzioni interpretative, sulle ragioni della vita e della morte. Il racconto di questa avventura è il romanzo di questa notte veneziana ed è la storia di uno smarrimento e soprattutto del lento riconoscimento del senso e della direzione della città e della vita stessa.
Doveva avere sette anni, forse nove, non lo ricorda con esattezza Neige quando il suo patrigno ha cominciato ad abusare di lei. A parte il momento esatto in cui tutto ha avuto inizio (il trauma ha alterato per sempre la cronologia dei fatti), i ricordi sono perfettamente incisi nella mente e nel corpo della donna che Neige è diventata. La decisione a diciannove anni di rompere il silenzio, la denuncia, il processo pubblico, il carcere per lo stupratore, la vita nuova molto lontano dalla Francia. E quella donna si è interrogata a lungo se scrivere il libro che stringete tra le mani, perché trovava solo motivi per non farlo. Fino al giorno in cui il passato l'ha raggiunta e l'impossibilità di scrivere è diventata impossibilità di non scrivere. Questa che leggerete non è «soltanto» la storia di una bambina che è stata violentata per anni da un adulto; è la ricerca pervicace degli strumenti per dire di quell'altro luogo, il paese delle tenebre dove vivono tutti quelli come Neige; è il rifiuto netto della retorica delle vittime (nessuna resilienza, nessun oblio, nessun perdono); è la necessità di trovare semplici parole precise che dichiarino l'irreparabilità del danno; è l'urgenza di rendere testimonianza, sì, ma collettiva. Perché l'abuso si consuma in una dimensione separata di omertà e solitudine, una dimensione che è fisicamente la stessa in cui si svolge il resto della vita, ma che si sovrappone come un doppio di intollerabile nitore. Triste tigre è il viaggio in questa dimensione, è il dialogo necessario con i grandi della letteratura che questa dimensione l'hanno interrogata, e che hanno fornito all'autrice gli strumenti per tutto questo. Un libro, che usa la scrittura come un martello, attraversato da una domanda: colui che ha creato l'agnello ha creato anche la tigre?
Una lingua elegante, uno humor russo, la coscienza critica di una società sottoposta alla menzogna. I Pensieri improvvisi di Sinjavskij, a cavallo tra saggistica e opera letteraria, facili di lettura, ma di lenta assimilazione, sono pensieri dal profondo. Sono i grandi temi della vita e della morte, pensieri senza fine, profezia di future meditazioni.

