
Oelze era un industriale di Brema, molto colto e molto devoto a Benn, che non aveva però occasione di incontrare. Benn lo scelse, in anni dolorosi e difficili, fra il 1932 e il 1956, come cassetta di sicurezza dei suoi pensieri, dei suoi umori e delle sue emozioni più nascoste. Le lettere che gli scriveva diventarono così una sorta di ininterrotto, rovente monologo, dove Benn sperimentava con la prosa, con i versi e con le immagini quello che andava cristallizzandosi nelle pagine memorabili di Osteria Wolf, Il romanzo del fenotipo, Il tolemaico. Ma qui tutto si mostra allo stato nascente, avvolto nei fumi dell'estro, dell'improvvisazione, della furia. Insieme magmatiche e acuminate, queste lettere trascinano nel loro flusso schegge preziose, che compongono senza volerlo un'opera rimasta meguagliata nella letteratura tedesca del Novecento.
L’amicizia fra Benjamin e Scholem spicca, nel Novecento, come una tra le più affascinanti e vitali. E quando nel 1980 Scholem pubblica questo carteggio, che copre gli ultimi otto anni della vita di Benjamin, vuole rendere giustizia a un rapporto complesso e non privo di contrasti, ma improntato a una profonda fedeltà. Grande studioso della Qabbalah e della mistica ebraica, Scholem è, nel 1932, già da tempo in Palestina e ormai a un passo dalla cattedra; la vita di Benjamin, cabbalista in incognito e profondo innovatore del pensiero, attraversa invece la sua fase più tormentata: ospite di volta in volta a Ibiza, Parigi, Sanremo e in Danimarca, è costantemente alla ricerca di una base di sussistenza. Tra i due, fortemente segnati dalla formazione nella Berlino di inizio secolo e subito attratti dalle ricerche l’uno dell’altro, si sviluppa un confronto incessante che investe l’attualità politica, i libri letti, le comuni conoscenze (da Buber a Bloch, da Brecht ai francofortesi), e che trova il suo fulcro nei densissimi scambi a proposito di Kafka. Un dialogo a distanza – se si esclude il breve incontro parigino dell’inverno del 1938 – e non di rado drammatico, intessuto com’è anche di malintesi, puntute allusioni, eloquenti silenzi, ma che resta una prova convincente delle parole con cui Benjamin definì il suo rapporto con Scholem: «fra Gerhard e me le cose stanno così: ci siamo persuasi a vicenda».
Parigi, Marsiglia, Weimar, Napoli, San Gimignano, Mosca. Negli anni venti Benjamin scrive per giornali e riviste una serie di articoli-reportage sulle città dove gli capita di soggiornare. Libro postumo, assemblato da Peter Szondi nel 1955, viene qui riproposto in un'edizione amplita di tre nuovi scritti. "Alla base delle descrizioni delle città straniere di Benjamin non troviamo motivi meno personali di quelli che ispirarono "Infanzia berlinese". Ma ciò non significa che egli non abbia saputo vedere quei luoghi nella loro realtà. Ché un paese straniero riesce a operare la magica trasformazione del visitatore in fanciullo solo se gli si mostra così pittoresco e così esotico come una volta era apparsa al bambino la propria città. Simile al fanciullo che sta con occhi attoniti nel labirinto inestricabile, Benjamin nei paesi stranieri si consegna con tutto il suo stupore e tutta la sua avidità alle impressioni che lo investono. A ciò deve il lettore quelle immagini che non potrebbero essere più ricche, più colorite, più precise. Il linguaggio metaforico aiuta Benjamin - analogamente alla struttura da lui preferita: l'articolazione in brevi periodi - a dipingere le immagini di città come miniature. Nella loro sintesi di lontananza e vicinanza, nella loro incantata realtà, esse assomigliano a quei globi di vetro in cui la neve cade su un paesaggio, che furono fra gli oggetti preferiti da Benjamin". (Dalla postfazione di Peter Szondi).
Questo libro presenta la ricostruzione - resa possibile dai manoscritti benjaminiani ritrovati da Giorgio Agamben nel 1981 nella Biblioteca nazionale di Parigi - del libro su Baudelaire cui Benjamin aveva lavorato negli ultimi due anni della sua vita, quando, interrompendo la stesura dei "Passages di Parigi", decide di trasformare in un'opera autonoma quello che all'inizio si presentava come un capitolo del libro. Attraverso un paziente lavoro di edizione e di montaggio, che alterna testi inediti ad altri già noti (che trovano solo ora la loro collocazione e il loro senso nell'opera complessiva), il libro permette di seguire la genesi e lo sviluppo, nelle varie fasi della sua stesura, del work in progress che costituisce la summa della tarda produzione benjaminiana. Mentre del libro su Parigi noi abbiamo poco più che lo schedario, "Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell'età del capitalismo avanzato" offre un'immagine articolata e coerente, anche se frammentaria, del laboratorio benjaminiano e del suo metodo compositivo. Sfatando la leggenda di un autore esoterico, il libro ci presenta, nel suo stesso farsi, il modello di una scrittura materialista, in cui non soltanto la teoria illumina i processi materiali della creazione, ma anche questi ultimi gettano una nuova luce sulla teoria.
«Era, di tutti i momenti nell'esistenza di un albero di Natale, il più inquieto, quello in cui sacrificava all'oscurità aghi e rami, per non essere nient'altro che una mera costellazione, inavvicinabile eppure vicina, nella finestra appannata di un appartamento sul retro».
Pochi romanzi sono amati quanto "Alice nel Paese delle Meraviglie". Ma chi era veramente l'eroina del romanzo di Lewis Carroll? Alice Pleasance Liddell invita a compiere un viaggio nella sua memoria e nel corso della sua lunga esistenza, segnata da un libro - e da un dagherrotipo, nel quale era ritratta da bambina - che l'ha consegnata all'immaginario della propria epoca e degli anni a seguire. Racconta la sua affascinante storia, la vita trasgressiva e avventurosa a cavallo fra la fine dell'Ottocento e i primi trent'anni del Novecento, e la verità celata dietro il misterioso rapporto con il reverendo Charles Dodgson, alias Lewis Carroll: anche se permane l'ombra dell'ambiguità, la loro sarà una vera storia d'amore, sia pure di quelle che esistono soltanto nelle fiabe. "Sono stata Alice" è la biografia affascinante e maliziosa di Alice Liddell, l'io narrante del romanzo, nella quale s'intrecciano realtà e finzione, in un continuo gioco di specchi tra l'Alice letteraria di Carroll e quella "reale" immaginata dall'autrice; e insieme, è un affresco vivido dell'epoca vittoriana, dei suoi rigori, delle sue contraddizioni.
In bilico tra realtà storica e immaginazione poetica, un romanzo che rievoca i tempi della Conquista. Un agonizzante Filippo II prega nel suo letto di morte, accompagnato dagli spettri della Controriforma. A bordo di una nave spagnola diretta ai Caraibi, nel secondo viaggio di Colombo, un soldato attraversa mille peripezie tra gli indios di una terra ricca e accogliente. In mezzo a tanta umanità, la crudeltà dei conquistatori, ossessionati come il loro sovrano, dall'idea di Dio e dell'oro. I Caraibi sono qualcosa di più di un arcipelago, sono un mondo che non ha né principio né fine, dove il commercio, il sesso e le culture si fondono insieme. Una metafora sull'uomo moderno, che ancora oggi ricerca se stesso.
L'autore della "Venticinquesima ora" torna a narrare la gioventù urbana in questa raccolta di racconti. Nelle otto storie che la compongono ci imbattiamo in un bizzarro rappresentante di un'etichetta discografica che cerca in tutti i modi di ingaggiare una rock star, in un soldato diviso tra i suoi violenti commilitoni e un'attraente anziana donna, in una star del football sul viale del tramonto che ha la sua ultima chance in amore...
Con la sua Corvette, caricata a dovere di "roba" dagli uomini di Uncle Blue, Monty scorazza per New York, accolto come una rock star nelle scuole bene di Manhattan, negli infimi locali dei gangster russi di Downtown e negli attici lussuosi dei brokers e degli attori pieni di grana. Ora, però, ha chiuso per sempre. Entro 24 ore salirà sul bus per Oti-sville e domani mattina cederà il suo nome in cambio di un numero... 24 ore soltanto, una sola misera notte da passare ancora con i suoi amici: Frank Slattery, un tipo svitato che lavora a Wall Street e sa tutto di tasso d'inflazione, rilevazioni statistiche, condizioni meteorologiche e oscillazioni di mercato; e Jakob Elinsky, un insegnante di inglese che passa il tempo a fantasticare sulle sue giovani allieve. Un'ultima notte per fare casino, un'ultima notte di libertà, a meno che da Uncle Blue... La 25ª ora ci svela il lato oscuro della New York di o ggi, tra i club privati di Downtown e i freddi locali di Wall Street, dove si aggirano non soltanto brokers e uomini d'affari, ma gangster senza scrupoli e giovani senza illusioni.
È l'inverno del 1941 a Leningrado. La città è sotto l'assedio delle truppe tedesche e i suoi abitanti non hanno mai patito tanta fame.
Per Lev, diciassette anni, naso grosso e capelli neri, e Kolja, giovane cosacco con la faccia impertinente, la fame, tuttavia, è ben poca cosa rispetto a quello che li aspetta. Lev ha rubato il coltello a un paracadutista tedesco morto assiderato e Kolja ha avuto la brillante idea di disertare. Reati gravissimi in tempo di guerra, per i quali la pena prevista è una sola: la fucilazione.
Dopo qualche giorno trascorso in un cupo carcere sulla Neva, i due si ritrovano al cospetto di un colonnello dal collo taurino e le stelle ben in vista sulle mostrine. Il colonnello dapprima li squadra, poi li invita a seguirlo fino ai margini del fiume. Sulla Neva ghiacciata una ragazza, capelli corvini legati in uno chignon morbido, pattina esibendosi in piroette strette e veloci. È sua figlia e sta per sposarsi. Un matrimonio vero, alla russa, con musica e danze e... un solo problema: la torta nuziale. Ci sono lo zucchero, il miele, la farina e tutti gli altri ingredienti, ma mancano le uova, una maledetta dozzina di uova introvabili in tutta Leningrado per gli eroici soldati dell'Armata Rossa, ma non forse per una volgare coppia di ladri...
«Lei è stata la dismisura in tutto, ma la vita è anche mancare qualcosa, non riuscire in qualcosa, non colmare la misura fino all'orlo». Annalena Tonelli, capelli al vento, sfreccia in bicicletta all'alba per le strade di Forlì: corre dai bisognosi, dagli ultimi. Lo farà per tutta la vita. Fino a fondare una missione in Africa, a rinunciare a tutto, fino a venire uccisa perché donna, bianca, senza un uomo a fianco, e senza paura. Annalena Benini la conosce da sempre questa storia, fa parte della sua famiglia. Ma adesso qualcosa è successo e quel nome identico al suo la insegue come una domanda, come un pungolo: può arrivare a capire tutto di quella donna così estrema, libera, coraggiosa? C'è un mistero che resta. Un viaggio personalissimo e profondo dentro il cuore della forza femminile, tra dedizione e potere, grandezza e senso del limite, talento e vocazione. Due donne con lo stesso nome, due vite lontanissime. Annalena Tonelli aspira all'assoluto, Annalena Benini davanti all'assoluto vacilla. Come tutti noi. Ma con sguardo disincantato, estremamente contemporaneo, si confronta con quella figura magnetica e schiva che incarna la fragilità e la potenza di tutte le donne, e che di continuo le dice: e tu? Da una polmonite anche un po' comica fino alla scelta più estrema: in entrambi i casi si tratta di scosse. Annalena Tonelli è una ragazza degli anni Sessanta col futuro in mano: bella, il pensiero affilato e veloce, la prima fra gli amici a ballare il twist, borse di studio a Boston e New York, poi la laurea in Giurisprudenza. Ma a diciannove anni ha già incontrato la sua vocazione, «perché non è possibile amare i poveri, senza desiderare di essere come loro». Così allena il suo corpo a dormire quattro ore per notte, a vivere di pochissimo, elimina per sempre la vanità dalla sua vita. Non vuole che nessuno si innamori di lei, perché lei arde già di amore per gli ultimi della Terra. E questo sentimento bruciante la spinge lontano da Forlì, a coltivare il fiore dell'umanità nei deserti più aridi. Illuminata dall'amore per Dio e dall'umanesimo di Simone Weil, Etty Hillesum, Virginia Woolf: esprime il massimo della libertà nel massimo dell'umiltà. Annalena Tonelli ha esercitato, con la vita e con gli scritti, un pensiero altissimo e dirompente, con il quale Annalena Benini si confronta e si scontra. Questo libro è un viaggio moderno e accidentato, ricco di domande e confessioni, nel tentativo di guardare, dal basso, con piena coscienza dei propri limiti, e non senza autoironia, la scala che sale fino all'assoluto. Arrivando alla scoperta entusiasmante e complessa che il pensiero più libero e coraggioso del Novecento è un pensiero femminile.
La sceneggiatura originale del film "La tigre e la neve": il senso della poesia e dell'amore al tempo della guerra, in una favola piena di emozioni. Nei dialoghi del loro film, Roberto Benigni e Vincenzo Cerami hanno incastonato decine di citazioni letterarie - da Montale a Pound, da Hikmet a Neruda - che in questo libro vengono svelate per la prima volta. Introduce la sceneggiatura uno scritto inedito di Benigni che è anche un invito leggero al lettore a entrare a sua volta nel gioco meraviglioso dei rimandi e delle allusioni poetiche.