
In una Edimburgo notturna e piena di voci, un uomo insegue il filo di una musica ascoltata per caso, e mai più ritrovata. Quella musica porta alla coscienza l'azione che deve compiere, e che lo attrae e atterrisce al tempo stesso. Il protagonista deve uccidere, questa è la sua azione: dovrà individuare il luogo e la vittima, come fossero una necessità, una chiamata... Questa è la trama dell'"Orecchio assoluto", il primo dei sei racconti che compongono il nuovo libro di Del Giudice, esempio di quel tipo di affabulazione fatta di conoscenza e mistero, passione e intuizione.
Il romanzo scritto in modo asciutto e delicato, apre larghi squarci sulla condizione contadina nel sud d’Italia durante la seconda guerra mondiale, dove superstizioni (il titolo allude alla credenza che la Pasqua bassa porti sfortuna) e religiosità si intrecciano nella rievocazione storica e al tempo stesso nella nostalgia di un tempo che fu. Pinuccio, figlio di Peppino e di Caterina, soldato sbandato dopo l'otto Settembre è a pochi chilometri da casa quando viene falciato da una raffica di mitra da un battaglione di tedeschi. Peppino intuisce il fatto da quanto gli racconta un soldato che è riuscito a salvarsi e va verso il mare, a dieci chilometri da casa, a cercare il figlio: lo trova riverso su un mucchio di sassi. A poca distanza dalle acque del mare Adriatico. Con la morte del figlio comincia l'agonia del padre e la tragedia di una famiglia contadina unita dalla povertà e dalla solidarietà. Sopra a tutto aleggia minacciosa la credenza popolare che la “Pasqua bassa” sia foriera di sciagure.
AUTORE
Antonio Del Giudice, 60 anni, è pugliese di Andria. Ha lavorato per quasi 40 anni nei giornali con incarichi vari, da cronista a notista a direttore. Ha vissuto a Bari, a Roma, a Milano, a Palermo, a Mantova e a Pescara. Sposato con Lucilla. Ha due figli, Marta e Pietro. Da due anni è tornato a vivere a Roma, dove si occupa di comunicazione. Questo è il suo primo romanzo, elaborato da appunti di storie vere, accumulate nel cassetto in più di mezzo secolo. Oltre agli innumerevoli articoli ha pubblicato: un libro intervista con Alex Zanotelli nel 1987 La morte promessa. Armi, droga e fame nel Terzo Mondo; e una selezione dei suoi editoriali apparsi per 10 anni sul Centro, quotidiano d'Abruzzo,dal titolo Buona domenica.
Mentre narra la propria spedizione antartica, Daniele Del Giudice ripercorre i taccuini di quelle coraggiose spedizioni altrimenti sconosciute ai più, con naufragi, navi imprigionate mesi e mesi tra i ghiacci, equipaggi indomiti, marinai sull'orlo della disperazione o annientati dalla follia: sono gli ultimi veri racconti d'avventura, che hanno fissato il mito e la memoria di questa Terra Incognita. Con un lavoro di intarsio, al confine tra vita e letteratura, l'autore ricostruisce una "iperspedizione" che collega fra loro episodi di viaggi storicamente realizzati, ripercorrendoli sui sentieri del mondo e su quelli della scrittura. Giocando sulla diversità delle prospettive e delle voci, ci offre un "orizzonte mobile" nello spazio e nel tempo ma stabile e duraturo nei sentimenti che suscita. Un viaggio fuori dal tempo, dentro un paesaggio ipnotico e indifferente all'uomo, di sublime bellezza: dal giallo ocra delle pampas ai ghiacciai che colano in acqua, tra cime rocciose, nevi eterne e precipizi. Davanti agli occhi, un orizzonte di ghiaccio e luce, sempre sfuggevole. Sono luoghi, storie, giorni, anni, ere geologiche che resistono alla prospettiva lineare del semplice raccontare. Una millenaria geometria naturale che ogni cosa stratifica, ogni memoria cristallizza. Un mondo simultaneo di cui questo libro è il canto.
Si raccoglie qui tutto ciò che per Del Giudice fa mania. Intendendo per mania una parola doppia, una parola male-bene: nel mondo greco mania indica infatti non soltanto il demone che sconvolge la mente, ma anche una particolare forma di concentrazione, una forma estrema del conoscere e del coincidere con il proprio destino. È mania la mezzanotte, ventiquattresima ora del giorno, istante ultimo e anche primo, valico del giorno passato e incipit del nuovo, ora ventiquattro e ora zero; è mania il proprio lavoro, scrivere e narrare, in cui secondo Del Giudice sarebbe meglio possedere un doppio passo, essere ambidestri, con una mano tracciare delle mappe, costruire dei progetti e con l'altra operare perché questi progetti vengano invalidati dalla narrazione, perché ciò che vale nel racconto è proprio tutto quanto eccede e vanifica il progetto. Sono mania la luce, le macchine, le città, lo spazio, le fortezze reali e quelle immaginarie, le carte geografiche, il cinema e la fotografia. I protagonisti dei libri più famosi di Daniele Del Giudice. Si ritrovano in queste pagine le riflessioni sul tempo e quelle sul volo ("Come quando l'aereo si stacca da terra, una sospensione nebulosa e via, la scrittura spinge su, dentro i carrelli"). Si parla, con estrema e acuta intelligenza, del leggere, degli autori e dei libri più amati, del tradurre, delle storie e dei personaggi, del trovarsi davanti al foglio bianco e del "levare ad ogni frase la terra sotto i piedi".
"Dawla" in arabo significa Stato ed è uno dei modi in cui gli affiliati dello Stato islamico chiamano la propria organizzazione. Gabriele Del Grande è andato a incontrarli in un avventuroso viaggio partito nel Kurdistan iracheno e terminato con il suo arresto in Turchia. Questo libro è il racconto delle loro storie intrecciate alla storia più grande dell'ascesa e della caduta dello Stato islamico. Un racconto che parte nel 2005 nei sotterranei del carcere di massima sicurezza di Saydnaya, in Siria, e che passa per la rivoluzione fallita del 2011, la guerra per procura contro al-Asad, il ritorno del Califfato e gli attentati che hanno sconvolto l'Europa. Del Grande mette in scena una galleria di personaggi le cui vicende si snodano in un intreccio di storytelling e geopolitica. Un manifestante siriano spinto da un'autentica sete di giustizia a prendere le armi e che, davanti alla corruzione dell'Esercito Libero, sceglie di arruolarsi nel Dawla, dove farà carriera come agente dei servizi segreti interni ed emiro della polizia morale, hisba. Un hacker giordano in fissa con l'esoterismo giunto in Siria seguendo le profezie sulla fine del mondo e finito nel braccio dei condannati a morte in una prigione segreta del Dawla. E un avventuriero iracheno ingaggiato da un ex colonnello dell'Anbar che grazie alla propria intraprendenza si addentrerà nel livello più oscuro dei servizi segreti del Dawla, quello responsabile della pianificazione degli attentati in Europa. Questo libro ci racconta storie forti, piene di colpi di scena, avventure, sentimenti, rabbia, amore, vita, morte, punti di vista opposti sulla guerra e sul mondo. Il volume nasce da un progetto di crowdfunding che ha avuto un appoggio appassionato e generoso da parte dei sostenitori di Del Grande, qui impegnato ad affrontare lo scomodo punto di vista dei carnefici. "Non per giustificare, non per umanizzare. Ma unicamente per raccontare e, attraverso una storia, cercare una risposta, ammesso che ve ne sia una, a quell'antica domanda sulla banalità del male che da sempre riecheggia nelle nostre teste dopo ogni guerra".
Una donna assassinata senza movente. Un gatto scomparso, forse avvelenato. Tornano per una nuova indagine il commissario Ardenga, prossimo alla pensione, e Jan De Vermeer, poliziotto di strada e fondatore della Compagnia delle Piante. In un antico palazzo nobiliare nel cuore di Modena si cela un universo che contiene una vasta collezione botanica, e nel cortile si trova un albero immenso di una specie sconosciuta. Nel frattempo, in tutta la città scompaiono molti gatti e muoiono altre persone, ciascuna uccisa con un colpo alla testa. In questo intrico - fatto di missive d'amore, parenti scomodi e orrori svelati - un unico indizio: i fiori viola. Del Vecchio, inventore del green thriller, torna con un nuovo romanzo incalzante in cui i protagonisti, oltre alla natura, hanno un mondo intero di animali da salvare a tutti i costi.
Che peso ha la bellezza nella vita? Siamo capaci di accettarci per quello che siamo? Si può essere amati per sé, o siamo amati per quello che colmiamo nell'altro? Queste domande giacciono nel profondo di noi stessi e non sempre abbiamo il coraggio di affrontarle prima che la realtà s'imponga con la sua risposta improrogabile. Sono gli stessi interrogativi dinanzi a cui si ritroverà improvvisamente Arthur, dopo che, una pigra sera di settembre, il destino busserà alla sua porta, cambiando per sempre la sua vita. Dopo la Jocelyne di "Le cose che non ho", un libro pieno di tenerezza e di commozione, che parla di identità, della vanità dell'apparire, della difficoltà e del coraggio necessari per costruire una relazione sincera con un altro essere umano. Un romanzo sui contorni dell'anima e la misura del cuore. E sul destino, che può sovvertire qualsiasi cosa.
Sulla spiaggia di Touquet i bambini piangono perché l'acqua del mare è troppo fredda, mentre le madri sonnecchiano al sole. Tutto attorno, sulle dune, dentro i bar, dietro gli alberi e sulla battigia, sbocciano storie d'amore. Quattro coppie, quattro passioni vissute visceralmente, quattro periodi diversi della nostra vita. L'adolescenza e i suoi amori platonici, quando ci si può ancora promettere qualunque cosa, quel regno fragile e perfetto che precede di un soffio la delusione e la perdita. Trent'anni, l'età in cui cominciamo a interrogarci su ciò che siamo diventati, degli sconosciuti a volte così diversi da ciò che sognavamo un tempo. Cinquant'anni, quando bisogna imparare di nuovo a prendersi cura di se stessi e di una coppia ormai stanca. La vecchiaia, e gli amori che ci ha lasciato una vita, quelli che sono per sempre. L'amore è un fuoco che va nutrito, per evitare che perda d'intensità e si spenga per sempre, perché la passione è tutto, ma bisogna essere disposti a lavorarci in ogni momento della vita.
«Io credo di aver iniziato a cercare un percorso di libertà grazie a quegli anni di costrizioni.»
Un giorno è stato chiesto a Pippo Delbono di parlare dell’amore. Sono nati così questi Racconti di giugno, dove Pippo ripercorre la sua esperienza, i suoi incontri e le sue lotte, tra la vita e la scena. Lo fa con pudore e con rabbia. Commuove e diverte, in una ricerca della libertà furiosa e felice, dove ci sono il corpo e Dio, il teatro e la morte, l’amicizia e la rivolta, la disciplina e la grazia, il dolore più atroce e la risata irrefrenabile.
Racconti di giugno è una favola vera, arricchita da numerose immagini che seguono il suo percorso umano e artistico. Vi si incontrano Arafat e la regina d’Olanda: ma gli eroi sono, tra gli altri, Pepe, che è fuggito dalla repressione dei generali argentini; Gianluca, il ragazzo down che voleva fare l’attore; Nelson, il barbone con lo zainetto come unico bene; e soprattutto Bobò, sordomuto e analfabeta, per quarantacinque anni rinchiuso nel manicomio di Aversa e diventato una star internazionale.
Quella che è un’esperienza personale, e dunque assolutamente unica e irripetibile, si arricchisce così dei mille colori della vita, trasmettendoci una lezione unica. Imprevedibile e sfaccettata come - appunto - la vita.