
Mari si è appena laureata ed è tornata a vivere nel suo paese natale, dove ha deciso di aprire un piccolo negozio di granite. Quell'estate le madre ha deciso di ospitare la figlia di una sua cara amica che sta attraversando un periodo molto difficile a causa dell'improvvisa morte della nonna. Nonostante Mari non sia entusiasta all'idea, finirà per stringere un forte rapporto d'amicizia con la ragazza.
Mari si è appena laureata ed è tornata a vivere nel suo paese natale, dove ha deciso di aprire un piccolo chiosco di granite. Quest'estate sua madre ospita Hajime, la figlia di una cara amica, che sta attraversando un periodo molto difficile a causa della morte della nonna. Mari non è affatto entusiasta: è indaffarata col chiosco appena avviato e pensa di non avere tempo per fare compagnia a una ragazza così piena di problemi. Oltre a brutte cicatrici che le ricoprono il corpo, dopo la morte della nonna Hajime si rifiuta di mangiare e di uscire di casa. Ciononostante le due ragazze a poco a poco diventano amiche e Hajime inizia ad aiutare Mari nel lavoro. Il resto del tempo lo trascorrono tra nuotate in mare, passeggiate sulla spiaggia e lunghe chiacchierate, sempre sullo sfondo di un incantevole paesaggio marino. E il mare sembra essere il vero protagonista del romanzo, con i suoi misteri e le creature che si celano negli abissi, una presenza costante e rassicurante nella vita di Mari, e un balsamo per l'anima ferita di Hajime. Sul finire dell'estate, quando l'acqua diventa di giorno in giorno più fredda e il vento sulla spiaggia solleva i granelli di sabbia nella tiepida luce di settembre, Hajime parte per fare ritorno a casa. Mari è molto triste, ma il ricordo della loro amicizia l'aiuterà a superare anche la solitudine dei lunghi mesi invernali. Forse non è riuscita a risolvere del tutto i problemi dell'amica, ma sicuramente l'ha aiutata a guardare al futuro con maggiore fiducia.
Anna, dopo essersi sposata «per amore» e contro la volontà della propria famiglia, ha iniziato una relazione con un giovane studente di teologia. A spingerla tra le braccia di Tomas è una passione inattesa ma travolgente, che la riscuote dal torpore dell'abitudine e dalla gabbia del matrimonio. In queste sei conversazioni – sei incontri: con un vecchio amico e confidente come padre Jacob, con suo marito, con il pastore Henrik, con sua madre e con Tomas – Anna mette a nudo la propria anima. La magistrale e appassionante progressione narrativa di Conversazioni private ci fa conoscere gli amori e i tormenti di questa donna ora forte, ora vulnerabile, la sua sensualità ma soprattutto la sua lotta per affermare la propria volontà e le proprie scelte, e insieme per comprendere se stessa. Anche se, come dimostra Bergman in un romanzo sempre intenso e coinvolgente, quella per i propri sentimenti è una lotta che ha bisogno tanto della verità quanto della menzogna, non solo nei confronti degli altri.
A Praga, nel 1920, Gustav Janouch, allora diciassettenne aspirante poeta e letterato, venne presentato dal padre a Franz Kafka. I due lavoravano nella stessa Compagnia di Assicurazioni, e subito il più giovane prese l'abitudine di far visita a Kafka nel suo ufficio e di accompagnarlo a casa. Nacquero così queste "Conversazioni" che costituiscono una testimonianza sul grande scrittore praghese. In questo contesto Kafka non è visto come una figura letteraria ma come un uomo affascinante e misterioso, costretto a convivere con le incomprensioni di un ambiente e con la malattia che di lì a poco lo avrebbe condotto alla morte.
Nate nel 1984 dagli incontri radiofonici con il giornalista e poeta argentino Osvaldo Ferrari, queste Conversazioni vertono sui più diversi argomenti culturali e, dietro l'apparente divagare, offrono una testimonianza degli interessi e dell'intelligenza di uno dei protagonisti del Novecento. Un autoritratto di Borges più arguto, capace di un discorrere piano ma all'occasione vibrato, legato in tutta la sua trama dal filo dello humor; nelle sue parole brilla uno stile ironico, non di rado caustico, paradossale, talora provocatorio, sempre anticonformista e nemico dei luoghi comuni.
Come nasce la poesia? Di quale misterioso lavoro è l'esito? E qual è il suo compito? Chiunque si sia posto, almeno una volta, domande del genere potrà finalmente trovare in queste interviste - che coprono l'intero arco della vita di Brodskij in esilio, dall'inizio degli anni Settanta fino a poche settimane prima della morte improvvisa, avvenuta a New York nel 1996 - risposte di un'audace limpidezza. Scoprirà così che la poesia è "uno straordinario acceleratore mentale", "lo scopo antropologico, o genetico" della nostra specie, e che non vi è strumento migliore per "mostrare alla gente la visione reale della scala delle cose". Scoprirà, poi, che quelli che ha sempre ritenuto imperscrutabili artifici tecnici - gli schemi metrici ad esempio sono in realtà "formule magiche", "magneti spirituali", capaci di incidere profondamente sulla poesia, al punto che un contenuto moderno espresso secondo una forma fissa (un sonetto, per intenderci) può sconvolgere quanto "una macchina che sfreccia contromano in autostrada". Per di più Brodskij sa illuminare anche il lavoro dei poeti che amava - Auden, Frost, Kavafis, Mandel'stam, Achmatova, Cvetaeva, Milosz, Herbert, per limitarci ai contemporanei - con una lucidità mai disgiunta da una vibrante partecipazione: "Non mi capita spesso di leggere qualcosa che mi dia una gioia così intensa come quella che mi dà Auden. È vera gioia, e con gioia non intendo un semplice piacere, perché la gioia è qualcosa di molto oscuro".
Nel 1933 Osip Mandel'stam, poeta in disgrazia, «emigrato interno» in procinto di diventare carne da lager, «arde di Dante», e studia l'italiano servendosi della Divina Commedia. In Crimea durante la primavera scrive "Conversazione su Dante", ma quando tenta di pubblicarlo incontra una serie di rifiuti. Di certo il saggio non ha nulla a che vedere con il realismo socialista, né corrisponde al canone degli studi danteschi. Affrancando il «sommo poeta» italiano da secoli di retorica scolastica, Mandel'stam ragiona su ciò che presiede alla nascita della sua poesia: in primo luogo, la metamorfosi. Tutto, nella Commedia, è in movimento, e per il vero lettore, «esecutore creativo», leggere Dante significa rifiutarsi di restare incatenati a un presente che a sua volta è saldamente ancorato al passato: «Pronunciando la parola "sole" compiamo un lunghissimo viaggio al quale siamo talmente abituati che ormai viaggiamo dormendo. La poesia... ci sveglia di soprassalto a metà parola - parola che ci sembra molto più lunga di quanto credessimo -, e in quel momento ricordiamo che parlare è sempre essere in cammino». Unico poiché sembra comprendere tutti i linguaggi, quello di Dante evoca il mondo con irripetibile potenza, e la Conversazione di Mandel'stam, tripudio di luminose intuizioni, costrutti arditi e metafore inusitate (biologiche, musicali, meteorologiche, tessili), in una prosa continuamente attraversata da squarci di poesia, scorge e mette in luce i tratti più moderni, addirittura sperimentali, del suo poetare.
Santiago Zavala, giovane giornalista della «Cronica» che tutti chiamano Zavalita, torna a casa dal lavoro e trova la moglie in lacrime: le hanno strappato di mano il cagnolino Batuque. Zavala lo va a riprendere al canile, e il destino gli fa ritrovare, tra i dipendenti di quel luogo che sembra piuttosto un macello, Ambrosio, per molti anni autista di famiglia. Insieme vanno a bere una birra a «La Catedral», sordido locale di periferia, a dal loro dialogo viene fuori il romanzo di una città, e dei suoi deliri: storie di vinti e di illusi, di militari a caccia di potere, di politici, giornalisti, prostitute, delle loro sconfitte, ma anche di rari momenti di quiete. Destini personali che insieme restituiscono un'immagine globale della società di Lima, ma anche peruviana, e latinoamericana, negli anni cinquanta e sessanta. Pubblicato nel 1969, Conversazione nella «Catedral» è un romanzo dalla costruzione articolata e travolgente, in cui le inquadrature sono «montate» in successione martellante, come in un film d'azione: vero e proprio affresco storico, un tentativo prossimo alla perfezione di creare un «romanzo totale». E su tutto, implacabile come un legame vischioso e concreto, la grigia nebbia che avvolge Lima e le sue creature.
Il "romanzo politico" di uno dei più importanti autori nel panorama letterario latinoamericano: un'avvincente e drammatica meditazione sullo stato di frustrazione in cui si dibatte un'intera società.
São viene da lontano. Da un'isola al largo della costa africana, da una forza antica, dalla saggezza delle pietre e degli uccelli. Sogna di studiare medicina, di emigrare in Europa e riscattarsi dalla miseria nera. Approda a Lisbona, e le sembra un luogo di salvezza. Cerca una casa, un lavoro: la dignità di stare al mondo. È convinta che nulla la possa fermare. La minaccia in effetti è del tutto inaspettata. Proviene dal terreno insidioso dell'amore. Insidia la sua integrità di donna e di madre, la sottopone a prove tremende, costringendola a ricominciare da capo. Ma lei ha la forza degli alberi che si radicano profondamente nella terra e resistono a tutti i venti. E lotterà come un'amazzone per difendere il suo piccolo André. Questa è la storia di São, ma anche la storia di Natercia, Benvinda, Liliana. Una catena di donne, con le loro fatiche e il loro coraggio. Con i loro piaceri. Le loro strade si incrociano con quella di una donna europea, colta, benestante, che vive nella paura, che perde, per paura, l'uomo che ama. E scopre il mondo per la prima volta quando lo guarda con gli occhi e con il cuore di São. Perché di tutte le persone che ha conosciuto al mondo, São è quella che ammira di più. Un romanzo di amicizie, guerre e alleanze; un romanzo d'amore e d'avventura. Una storia vera.
La cellula originaria del comico ebraico si trova plausibilmente nello "shtetl". E in uno di questi villaggi dell'Europa Orientale, in Ucraina, passò la sua infanzia Sholem Aleykhem, uno dei primi maestri di quel genere poi sviluppatosi sino a oggi tra molte diramazioni. "Un consiglio avveduto" è il primo dei tre racconti radunati in questo volume. È difficile non essere squassati dal riso mentre si segue il tormentoso e logorroico personaggio che cerca di farsi dare un "consiglio avveduto" per uscire da una situazione che è già irreparabile, giustappunto per la travolgente e lamentosa tediosità di colui che parla.
Mehring è un afrikaner di mezza età, che ha acquistato una fattoria nei pressi di Johannesburg per trascorrervi il tempo libero dagli affari. Qui si verificano episodi di violenza, omicidi e aggressioni, disastri quali incendi o inondazioni, qui si tocca con mano la miseria dei poveri, ma per lui la sola cosa che conti è continuare indisturbato la vita del gentiluomo di campagna. La vita che reputa adatta a un autentico farmer, a un bianco soddisfatto di sé e della propria ricchezza, anche se in fondo si comporta da colonialista, che per senso di superiorità razziale e sociale non si preoccupa di chi stia peggio. Da buon conservatore ama le sicurezze derivanti dalla natura e dalla terra, come dal sistema dell'apartheid. È un individuo solitario, isolato fisicamente nel veld e chiuso mentalmente a ogni preoccupazione pubblica, un divorziato che si è alienato il figlio idealista, con un'amante sfuggente e con lavoratori su cui fa affidamento ma che restano per lui distanti, come il capomandriano Jacobus.

