
È inutile chiedersi cosa sia la felicità, o come fare a raggiungerla. Lo scrive un padre ai propri figli nella lettera che apre questo libro: la felicità, spiega, non è una questione d'istanti, ma una presenza costante, che corre parallela a noi. Il problema è saperla intravedere, imparando a non farci abbagliare. Il padre è Roberto Vecchioni. Sono per i suoi figli Francesca, Carolina, Arrigo e Edoardo - i racconti che compongono il volume. Dalle bizzarrie vissute insieme a loro, a episodi comici e drammatici della sua carriera di insegnante; dagli amori perduti o ritrovati fino a un ritratto vivo e passionale di suo padre Aldo, Vecchioni attinge alla propria biografia per costruire un vero e proprio manuale su come imbrigliare la felicità, senza farla scivolare via finché non diventa soltanto un ricordo. Ma ci sono anche le canzoni, scritte in un arco di quasi quarant'anni. Ci sono squarci letterari: un racconto dalle Mille e una notte, la storia di Paolo e Francesca, il mito di Orfeo ed Euridice, un frammento di Saffo. C'è l'amata Casa sul lago, testimone di tanti momenti, alcuni dei quali difficili e persino spaventosi. Roberto Vecchioni ci conduce in un viaggio personale lungo quello che chiama "il tempo verticale", uno spazio che tiene uniti tra loro passato, presente e futuro, dove nulla si perde. D'altronde "la felicità non è un angolo acuto della vita o un logaritmo incalcolabile o la quadratura del cerchio: la felicità è la geometria stessa".
Antonio è un liceale solitario e risentito, suo padre un matematico dal passato brillante; i rapporti fra i due non sono mai stati facili. Un pomeriggio di giugno dei primi anni Ottanta atterrano a Marsiglia, dove una serie di circostanze inattese li costringerà a trascorrere insieme due giorni e due notti senza sonno. È così che il ragazzo e l'uomo si conoscono davvero, per la prima volta; si specchiano l'uno nell'altro e si misurano con la figura della madre ed ex moglie, donna bellissima ed elusiva. La loro sarà una corsa turbinosa, a tratti allucinata a tratti allegra, fra quartieri malfamati, spettacolari paesaggi di mare, luoghi nascosti e popolati da creature notturne. Un viaggio avventuroso e struggente sull'orizzonte della vita.
L'estate della maturità. L'estate in cui puoi fare quello che ti pare. L'attendi, la sogni, la organizzi, e può succedere che all'ultimo momento salti tutto. Perché l'estate della maturità è anche quella in cui la vita sta per diventare tua e basta. Devi scegliere da solo e, per la prima volta, conosci la paura del futuro. Max frequenta l'ultimo anno di liceo in una cittadina della provincia veneta; è uno come tanti, bravo con i computer. Filippo, Anna, Beatrice e Andrea sono i suoi amici di sempre: con loro ha diviso ogni istante fin dall'asilo e con loro ha progettato di trascorrere i mesi che precedono l'inizio dell'università. Ma un semplice algoritmo, creato nella sua cameretta da figlio unico, gli stravolge in un attimo l'esistenza: invece che in giro per l'Europa a sentire concerti si ritrova a Roma a lavorare in un incubatore di start-up. In poche settimane il vecchio Max non c'è più. Il mondo in cui è cresciuto si sgretola sotto i suoi occhi mentre lui cerca disperatamente di conservarne frammenti. Cambiano le aspirazioni, le compagnie, si modificano i rapporti con i genitori; l'amore si presenta in maniera inaspettata. Tutto troppo rapido, tutto troppo presto. Forse è meglio rallentare. A patto di non fermarsi.
«Passiamo ore così, a fissarci e a non sapere che fare. Mi viene da dirle, Ma che vuoi da me. Io non ti merito. E lei mi guarda. Perché sa che in qualche modo la merito, anche se non sa come dirmelo». Alle tre di notte, mentre la città riposa, la madre e la figlia sono sul divano. Una ha due mesi e urla come un'ossessa, l'altra ha trent'anni e fissa la parete, coi piedi scalzi, cercando di ricordarsi com'era vivere quando di notte si dormiva. La scrittura materica e sensuale di Rossella Milone ritrae con esattezza la battaglia di emozioni che accompagna la nascita del primo figlio. Questo romanzo riesce in un'impresa impossibile: raccontare l'accidentato e recalcitrante processo che trasforma una coppia in una coppia di genitori. «Le madri e i padri posseggono millenni di esperienza alle spalle, ma nessuno in tutta l'evoluzione umana è mai diventato un genitore perfetto». Perché un figlio è prima di ogni altra cosa una rivoluzione cognitiva, e quando è troppo presto per parlare d'amore forse è proprio il momento giusto per farlo.
Pietro Fenoglio, un vecchio carabiniere che ha visto di tutto, e Giulio, un ventenne intelligentissimo, sensibile, disorientato, diventano amici nella più inattesa delle situazioni. I loro incontri si dipanano fra confidenze personali e il racconto di una formidabile esperienza investigativa, che a poco a poco si trasforma in riflessione sul metodo della conoscenza, sui concetti sfuggenti di verità e menzogna, sull'idea stessa del potere. "La versione di Fenoglio" è un manuale sull'arte dell'indagine nascosto in un romanzo avvincente, popolato da personaggi di straordinaria autenticità: voci da una penombra in cui si mescolano buoni e cattivi, miserabili e giusti.
A volte basta fare un passo, dire una parola, spostare appena lo sguardo per vedere il mondo, come una sorpresa, con occhi diversi. È quello che accade a un ragazzo di trent'anni quando inizia a ripensare alla propria vita: Marco è alla ricerca di una strada e si è sempre sentito estraneo a una famiglia, la sua, che riassume le contraddizioni del secolo scorso. Una famiglia in cui ognuno crede in qualcosa, sia un'idea, un partito, una chiesa. Lui, invece, si sente in lotta contro tutto: il soldato di un esercito invisibile. Ed è nel pieno di un'età cruciale, di cui nessuno parla - la guerra dei trent'anni, tempo di primi bilanci e culla di molti congedi. Qui comincia una storia dalle tante anime, piena di slanci di dolori di dubbi, e di ironia. Il racconto di un ragazzo che, cucendo insieme i pezzi del proprio passato, prova a capire chi è davvero. Marco ama la musica e i numeri. Fa tornare i suoi conti, sa ascoltare. La cosa fondamentale è stare a tempo. Anche nel dialogo con la sorella amatissima, con l'amico, con una fidanzata che come tutte le donne «gli mette ansia», coi nonni. Cerca un vero padre, scopre di non essere, come credeva, un alieno in questo mondo. Una storia che è la nostra, quella dei nostri figli che provano a darsi un futuro. Lo faranno. Nel gioco del mondo, si perde solo quando si rinuncia a giocare. Marco - le tasche piene di tutto quello che manca - va e ci porta con sé. È magnifico tirare il sasso e saltare con lui.
Dopo mesi trascorsi dietro una scrivania per aver ferito un passante nel corso di una retata, un ispettore viene inviato in un villaggio vicino alla frontiera di cui nemmeno conosceva l'esistenza. Ad attenderlo c'è un caso d'omicidio considerato già risolto. La vittima è una donna che conduceva un'esistenza appartata, e il presunto assassino è suo fratello, un giovane con disturbi mentali che abitava insieme a lei e che ora è scomparso. Facile, forse troppo. Magari è solo suggestione, magari dipende dal paesaggio, bello e violento, o magari è la presenza inquietante della clinica che sorge sul confine, nella «terra morta», un centro specializzato in interventi disperati, ma in quel luogo c'è qualcosa che non torna. Nella pensione che lo ospita l'investigatore fa conoscenza con alcuni personaggi quantomeno singolari, e a poco a poco davanti ai suoi occhi si apre uno scenario che nessuno avrebbe mai immaginato. Insospettabile anche per il potentissimo capo dell'agenzia governativa che gli ha affidato l'indagine: un funzionario spaventoso e ridicolo al tempo stesso, che dietro le spalle tutti chiamano «il Maiale».
Si può scrivere la storia vera di una donna che non è mai esistita? La risposta è sì: lo hanno fatto le centodiciannove voci di donne realmente esistite che si alternano in questo romanzo in un montaggio sapiente, che trascina ed emoziona. Donne del Novecento italiano diverse per età, inclinazioni, livello d'istruzione, estrazione sociale, che hanno lasciato lettere, diari, memorie private. Scrivere, per loro, ha significato soprattutto portare in salvo se stesse. «Un corteo di donne che cercano, per una di loro, il posto in un universo maschile». Il primo romanzo della collana Unici è un libro sulle donne diverso da tutti gli altri. Il suo gesto rivoluzionario è questo: al posto di parlare dell'oggi resta avvinghiato alle radici, al Novecento, e fa parlare i documenti senza aggiungere un commento. Accosta delle voci vere e lascia fare a loro. La protagonista di "Nonostante tutte" si chiama Nina ma potrebbe chiamarsi con oltre cento nomi differenti. La sua storia è immaginaria, il suo racconto no: è affidato alle parole di chi ha lasciato una traccia di sé in una pagina fuggita all'oblio. È attraverso questi frammenti di voci, scelti dall'autore tra migliaia e poi assemblati come tessere di un mosaico, che la protagonista di questo romanzo prende vita. Come se quelle centodiciannove donne si passassero in una staffetta senza fine il testimone e la parola per raccontare un'unica storia con un brillio diverso. L'infanzia incantata e spaccata, il desiderio di una vita differente, il sesso, il lavoro, il matrimonio, la maternità, la malattia, l'amicizia, l'impegno civile, la vecchiaia... Esperienze individuali irriducibili, certo, eppure collettive. Per questo il romanzo dalla struttura originalissima a cui dà vita Filippo Maria Battaglia può dirsi anche un romanzo politico. L'emozione nasce da lì: nel vedere, nel sentire, ciò che è simile e ciò che invece resta legato a una vita, a quella vita. Nell'accostare le storie alla Storia, senza mai rinunciare alle zone d'ombra. Perché le parole possono essere anche cicatrici e «a questo - dice Nina - devono servirmi le mie, a ricordare».
28 dicembre 1908: il più devastante terremoto mai avvenuto in Europa rade al suolo Messina e Reggio Calabria. Nadia Terranova attinge alla storia dello Stretto, il luogo mitico della sua scrittura, per raccontarci di una ragazza e di un bambino cui una tragedia collettiva toglie tutto, eppure dona un'inattesa possibilità. Quella di erigere, sopra le macerie, un'esistenza magari sghemba, ma più somigliante all'idea di amore che hanno sempre immaginato. Perché mentre distrugge l'apocalisse rivela, e ci mostra nudo, umanissimo, il nostro bisogno di vita che continua a pulsare, ostinatamente. «C'è qualcosa di più forte del dolore, ed è l'abitudine». Lo sa bene l'undicenne Nicola, che passa ogni notte in cantina legato a un catafalco, e sogna di scappare da una madre vessatoria, la moglie del più grande produttore di bergamotto della Calabria. Dall'altra parte del mare, Barbara, arrivata in treno a Messina per assistere all'Aida, progetta, con tutta la ribellione dei suoi vent'anni, una fuga dal padre, che vuole farle sposare un uomo di cui non è innamorata. I loro desideri di libertà saranno esauditi, ma a un prezzo altissimo. La terra trema, e il mondo di Barbara e quello di Nicola si sbriciolano, letteralmente. Adesso che hanno perso tutto, entrambi rimpiangono la loro vecchia prigione. Adesso che sono soli, non possono che aggirarsi indifesi tra le rovine, in mezzo agli altri superstiti, finché il destino non li fa incontrare: per pochi istanti, ma così violenti che resteranno indelebili. In un modo primordiale, precosciente, i due saranno uniti per sempre.
«Le situazioni pericolose, tristi, luttuose mi facevano vibrare come se solo nel dramma la vita si mostrasse davvero: nuda, integra, commovente». Ciascuno di noi, anche solo per un istante, ha conosciuto l'irresistibile forza di attrazione dell'abisso. Daria Bignardi sa metterla a nudo con sincerità e luminosa ironia, rivelando le contraddizioni della sua e della nostra esistenza, in cui tutto può salvarci e dannarci insieme, da nostra madre a un libro letto per caso. Partendo dalle passioni letterarie che l'hanno formata, con la sua scrittura intelligente e profonda, lieve, Daria Bignardi si confessa in modo intimo - dalle bugie adolescenziali agli amori fatali, fino alle ricorrenti malinconie - narrando l'avventura temeraria e infaticabile di conoscere sé stessi attraverso le proprie zone d'ombra. E scrive un inno all'incontro, perché è questo che cerchiamo febbrilmente tra le pagine dei libri: la scoperta che gli altri sono come noi. Memoir di formazione, breviario di bellezza, spudorato atto di fede verso il potere delle parole, questo libro è un percorso sorprendente e imprevedibile fatto di domande, illuminazioni, segreti, che pungola e lenisce, fa sorridere e commuove. Un viaggio nel quale la vita si manifesta «furiosamente grande». «Dopo aver letto "Il demone meschino" di Sologub, a tredici anni, presi della polvere dal Piccolo Chimico, uno dei miei giochi preferiti di bambina, la misi dentro un foglietto di carta velina piegato in quattro e me lo infilai nel portafoglio, per giocare alla droga. Mio padre la trovò qualche anno dopo e la fece analizzare. Distratto com'era, assente com'era, anziano com'era - sono nata che aveva quasi cinquant'anni - a suo modo cercava di tenermi d'occhio. Mia madre era così ansiosa che il solo pensiero che potessi cacciarmi nei guai la devastava, perciò lo rimuoveva. Mi proibiva tutto, che è come non proibire niente. Per lei - e quindi anche per me - non c'era scelta: dovevo essere irreprensibile e prudente, se no lei - come minimo - ne sarebbe morta. Diventai l'opposto».
«A cosa pensa una donna quando, assordata dalle voci di tutti, capisce all'improvviso di aver soffocato la propria?» In pochi come Matteo Bussola sanno raccontare, con tanta delicatezza e profondità, le contraddizioni dei rapporti umani. In pochi sanno cogliere con tale pudore il nostro desiderio e la nostra paura di essere felici. Una donna sola che in tarda età scopre l'amore. Una figlia che lotta per riuscire a perdonare sua madre. Una ragazza che invece non vuole figli, perché non sopporterebbe il loro dolore. Una vedova che scrive al marito. Una sedicenne che si innamora della sua amica del cuore. Un'anziana che confida alla badante un terribile segreto. Le eroine di questo libro non hanno nulla di eroico, sono persone comuni, potrebbero essere le nostre vicine di casa, le nostre colleghe, nostra sorella, nostra figlia, potremmo essere noi. Fragili e forti, docili e crudeli, inquiete e felici, amano e odiano quasi sempre con tutte sé stesse, perché considerano l'amore l'occasione decisiva. Cadono, come tutti, eppure resistono, come il rosmarino quando sfida il gelo dell'inverno che tenta di abbatterlo, e rinasce in primavera nonostante le cicatrici. Un romanzo in cui si intrecciano storie ordinarie ed eccezionali, che ci toccano, ci interrogano, ci commuovono. «Ho deciso di scrivere di donne perché non sono una donna. Perché ho la sensazione di conoscerle sempre poco, anche se vivo con quattro di loro. E perché è piú utile scrivere di ciò che vuoi conoscere meglio, invece di ciò che credi di conoscere già» (Matteo Bussola).
In breve
Luigi Martinotti lavora in un fast food. Frigge patatine, ma in realtà la sua vocazione, vivissima malgrado l’interruzione degli studi universitari, è quella dello storico. È riuscito anche a elaborare una teoria storica… Un uomo. Una vocazione intellettuale. La storia di un fallimento che scivola in follia.
Il libro
Luigi Martinotti lavora in un fast food. Frigge patatine, ma in realtà la sua vocazione, vivissima malgrado l’interruzione degli studi universitari, è quella dello storico. Su un tavolo della Biblioteca comunale consuma tutte le ore di libertà, ricostruendo e interpretando eventi del passato. Ci sono momenti in cui riesce addirittura a distinguere, quasi fosse una visione, l’incontro fra Attila e papa Leone. È riuscito anche a elaborare una teoria storica, secondo la quale i mutamenti della società sono il prodotto di una terribile “insofferenza dell’insicurezza”, che spinge gli uomini, cambiando continuamente, a inchiodare il mondo in un presente immobile e rassicurante. Anche la quiete apparente di Luigi Martinotti obbedisce a questa legge. La sua sensibilità, sospesa tra aspirazioni intellettuali ed esposizione al fallimento, si lascia contaminare dall’imprevedibilità dei rapporti umani, ivi comprese l’intensa relazione sessuale con Antonella, cameriera del fast food, e la tenerezza per il figlio di lei. Solo l’amico Giuseppe – estroso insegnante affetto da una malattia genetica che lo getta in ricorrenti crisi depressive – riesce a tenere accesa la sua vocazione e a comunicargli una sorta di profonda serenità. Quando il fallimento come storico è definitivo, la sua mente vacilla, la realtà progressivamente si oscura, e non resta che passare alla follia. Vera? Presunta?