
"Cima delle nobildonne" ha segnato, nel 1985, il ritorno al romanzo di Stefano D'Arrigo dopo il tour de force di Horcynus Orca. È un cambiamento totale di scenari e atmosfere: non più il mito omerico, lo sfrenato sperimentalismo linguistico, ma un itinerario di conoscenza nei templi della medicina e una lingua secca e tagliente, limpida ma percorsa da profonde correnti simboliche. Il romanzo si svolge tra laboratori di ricerca e ospedali d'avanguardia, dove assistiamo alla vertiginosa operazione chirurgica per trasformare in vera donna il bellissimo ermafrodito adolescente amato dall'emiro di Kuneor. Tra gli interrogativi della scienza e le più sfrenate invenzioni fantastiche, un romanzo per parlare dei più universali dei temi: la vita e la morte.
Una donna giovane, Cristina, irrompe nella vita di due uomini maturi, Paolo e Bernardo. Paolo è architetto, Bernardo un pittore che vive fra New York e Roma e, presto, conoscerà il successo. L'amore per la "donna giovane" influisce prepotentemente anche se in maniera diversa, sui destini dei due uomini. Ma sarà Paolo a pagarne le più amare conseguenze. Rimasti soli in agosto, in una Roma bollente, si confronteranno fra loro scoprendo un'affinità profonda.
Due sorelle adolescenti sono divise dalla separazione dei genitori. La più piccola resta con la madre, l'altra finisce col padre a Parigi. Per attutire il colpo si scrivono. Scrivendosi si raccontano l'una all'altra. Ma raccontano anche, con innocente crudeltà, le nuove vite dei "grandi". Scherzano, ma la commedia sfiora il dramma. Due sorelle per parte di padre viaggiano sulla vecchia Jaguar ricevuta in eredità. La più giovane è studiosa e tranquilla, la più vecchia spericolata e oppressa da una vitalità debordante. Scherzano, ma la commedia si fa tragica. Due sorelle già donne sono separate dalla morte della più grande. Quella che resta, racconta l'infanzia, la giovinezza, la maturità e la malattia finale come tappe di un viaggio doloroso e bellissimo.
"Immaginate un libro in cui l'abitante di una casa bombardata si adatta a vivere nella buca dell'esplosione. Una famiglia presso cui per 30 anni si installa un guappo e non se ne va più. Un giocatore di carte incallito che avendo perso tutto è costretto dalla moglie a giocare solo con il figlio del portinaio. La fenomenologia del "pernacchio". Una zona temporaneamente autonoma in cui impazza la maschera Totò, che infatti ha interpretato il capolavoro di Marotta." (Giuseppe Genna)
Nella giungla metropolitana della Milano di oggi, dove gli affitti sono insostenibili e i giovani laureati condividono piccoli appartamenti in una sorta di eterna adolescenza, il ventisettenne Claudio, venuto in città dalla provincia emiliana, cerca disperatamente di stare a galla nell'ambiente ipercompetitivo della multinazionale in cui ha trovato lavoro (precario, "a progetto") come junior account nel settore marketing. Con lui abitano Rossella, che si arrabatta come babysitter e hostess nelle fiere, il timido Alessio, che ha rinunciato a una possibile carriera di giornalista per un "posto fisso" alle Poste, e Matteo, ricco e palestrato, che non arriverebbe a fine mese senza l'aiuto della famiglia.
Un magnifico romanzo che descrive la quota di corruzione e amarezza intorno alle quali trova coesione, paradossalmente, l'aristocratica famiglia degli Uzeda. Introduz. Di Nunzio Zago.
Non abbiamo tempo da dedicare ai malati, tanto più se vecchi o terminali e allora li indirizziamo verso ospedali, verso aziende simili a catene di "smontaggio" che " ...si prendono cura di loro e li accompagnano serenamente alla fine..." Vittorino Andreoli ha accettato con coraggio umano e letterario la sfida, immaginando una futuribile Città della morte concepita sul presupposto pseudorazionalista - e, in modo sinistro, attuale - della possibilità scientifica di separare la malattia dalla morte. E dà vita a un teatro che nel mettere in scena i momenti topici del rituale della fine, svela anche quelli della sua rimozione. Il romanzo che talora appare crudo, ci mette davanti alla nostra responsabilità di uomini che trascinati dai falsi miti inventati da fervida fantasia, sta finendo per dimenticare la sua reale natura animale. "L'uomo muore comunque: è una condizione del suo essere... Muore perché è uomo, non perché è malato".
Kouniò Baràm, chiuso in una stanza, cerca di dimenticare l'orrore che lo circonda e che avvolge la sua esistenza. Nel quartiere ghetto in cui vive con altri immigrati, a Verona, assiste impotente alla spedizione punitiva di "bravi ragazzi" bianchi in sella a potenti motociclette in preda all'alcol e alla droga. Devastano indisturbati, stuprano, incendiano, uccidono, per noia o come giustizieri della notte. Ripensa e rivive il luogo magico che da Tireli, un villaggio dogon, lo ha portato ad approdare sulla terra dell'Occidente. Ha lasciato terre vastissime e silenziose, popolate dai suoi cari, fiumi maestosi, alberi giganteschi, donne e uomini che ti accolgono con un sorriso, per approdare a Marsiglia, e poi a Verona. E il contatto con l'uomo bianco e la sua civiltà diventa proposta di vita in un mondo fondato sulla violenza del potere, sull'ingiustizia, sul pregiudizio, sulla cieca sopraffazione. Ma non serve ribellarsi, e così Kouniò pensa di sottrarsi a questa proposta con un viaggio a ritroso, seppure fatto di solo desiderio, verso la terra dei suoi morti, vera terra promessa. Anche in questo romanzo, Andreoli, ci mostra con crudezza e partecipazione gli aspetti feroci e immani che contraddistinguono questa nostra società, troppo occupata a perseguire un folle e spietato delirio d'onnipotenza, ma ci dice anche che la via perduta la possiamo ritrovare fermandoci un momento e ripensando al passato da cui veniamo.
La morte per overdose di una minorenne, di cui la polizia non riesce a stabilire l'identità, si intreccia con la scomparsa di Massimo Verga, il libraio amico del commissario Ferrara, coinvolto in un caso di omicidio in Versilia. Il capo della mobile di Firenze deve districarsi tra le due indagini, che lo portano a misurarsi con due realtà altrettanto micidiali: il diffondersi della droga a Firenze e l'espandersi subdolo e irrefrenabile delle mafie su tutto il territorio toscano. In un crescendo di tensione e colpi di scena, Ferrara dovrà imporre le sue scelte a dispetto delle incomprensioni e delle manovre di oscuri burattinai che tentano in ogni modo di ostacolare le indagini.
Anno 1944: Giovanni Manes (Nino), prigioniero di guerra italiano, fugge dal campo dove è detenuto, negli Stati Uniti in Texas. La fidanzata Zita gli ha scritto una lettera: "Rinuncio alle nozze, sposo l'anziano matematico Barbaroux". Nino si mette in viaggio per tornare in Italia e impedire il matrimonio, ma finisce nelle mani di un tenente americano. Si dirigono insieme verso Est e a loro si unisce una malinconica prostituta giapponese. Alle loro spalle un inseguimento serrato, un enigmatico capitano e un romantico tenente. L'avventuroso viaggio attraverso gli States si concluderà a New York quando Nino scioglierà il mistero del tenente e della sua missione.
Giovanni Astengo, poco più di quarant'anni, lavora all'Archivio di Stato, dove cataloga le vite quotidiane eppure straordinarie racchiuse nei diari di persone come tante. Ha una moglie in carriera e due figli amatissimi: Lorenzo, ventenne entusiasta e generoso, e la dolce Stella, una bambina down. E c'è una ferita non rimarginata nel suo passato: una domenica mattina, quando lui aveva tredici anni, suo padre è scomparso per sempre, senza un perché. In un'alba d'agosto, un'alba "semplice, banale, senza guizzi né significati", Giovanni prova l'impulso di tornare nel casale di campagna della sua famiglia, il luogo della felicità perduta, abbandonato da decenni. Dentro c'è un telefono di bachelite. Quel vecchio oggetto dimenticato diventa lo strumento grazie al quale Giovanni riesce ad aprire un varco nella barriera del tempo per fare luce sul mistero che ha segnato la sua esistenza. Il primo romanzo di Walter Veltroni racconta la forza e lo strazio dei sentimenti; è un'imprevedibile indagine, un viaggio nella trama dei nostri giorni, intrecciata con le notizie che filtrano dai giornali e dalla televisione, e una dolorosa immersione nella storia insanguinata degli anni di piombo; è un'appassionata dichiarazione d'amore e di fede nel potere unico della letteratura e dell'invenzione fantastica: il potere di svelare il senso nascosto delle cose, e di regalarci un'impossibile consolazione.
Mettere insieme, un alunno dopo l'altro, una classe di adulti analfabeti: questo cerca di fare Ariosto Aliquò, detto Osto. Figlio di un tappezziere puparo che dopo uno sgarbo involontario a un boss mafioso si è visto incendiare il teatro, Osto emigra dalla Sicilia in una terra ancora più povera, il Polesine: cerca di rastrellare gli scolari necessari a guadagnare, in base a una vecchia legge, il diritto a quello stipendio ridotto che spetta ai "maestri magri". Lì conosce Ines, una giovane vedova di guerra. E lì, in un mondo sospeso tra la terra e l'acqua, nasce un amore forte, malinconico e allegro. Il libro è il primo romanzo del noto giornalista, inviato del "Corriere della Sera".