
Che cosa è vero? Che cosa è falso? Domande che in questa nuova indagine il commissario Melis si ripete con insistenza. Dopo aver assistito casualmente alla conversazione di una coppia di mezza età, si è ritrovato di fronte all'uomo, cadavere, in obitorio. Omicidio? E, se sì, che c'era di falso nell'ordinata vita di Walter Cenzatti, restauratore, per causare una morte così violenta? E ancora: è vero che Leone Maggi era un falsario, ma è proprio vero che è stato ucciso per questo? E, passando dal pubblico al privato, è vero che la sua compagna, Fiorenza, sta attraversando un brutto momento sul lavoro, ma non sarà che anche il loro rapporto è un po' stanco? E non è affatto falso, invece, dire che quella giovane restauratrice conosciuta durante l'inchiesta...
Febbraio 1978: nessuno può ancora saperlo, ma fra poche settimane il rapimento di Aldo Moro cambierà per sempre la storia d'Italia. Ma oggi è soltanto l'alba nebbiosa di un sabato qualunque, in un inverno come tanti altri. Fino a quando, nell'estrema periferia della Barona, a Milano, fra i casermoni popolari e la triste luce dei lampioni, su un autobus fermo a un capolinea che non è il suo, viene trovato il cadavere dell'autista, i pantaloni abbassati e la testa sfondata da una serie di violenti colpi alla nuca. Il giovane commissario Melis, incaricato delle indagini, resiste alla tentazione di archiviarlo come un banale caso di aggressione. E quando scopre che l'uomo lavorava a tempo perso per uno stimato libraio antiquario morto d'infarto pochi giorni prima, decide che questa coincidenza merita d'essere approfondita. Così, Melis si ritrova a indagare nel mondo a lui sconosciuto dei libri antichi e dell'antiquariato, passando fra ambienti sociali molto differenti e distanti fra loro. L'approfondita e accurata indagine sul delitto - anzi, no: sui delitti, perché l'omicida colpisce ancora, e con ferocia attraversa sguaiati quartieri popolari e felpati salotti borghesi, curiose botteghe artigiane e raffinati templi della bibliofilia per consegnare al lettore l'intenso e sfaccettato romanzo di una città: Milano. E un personaggio a tutto tondo ormai molto amato dai lettori: il commissario (poi vicequestore) Norberto Melis.
Chi ha ucciso - due colpi di pistola alla testa - lo sconosciuto trovato cadavere nei bagni dell'ippodromo, la sera di domenica 13 aprile 1980, a Milano? La vittima, già dagli abiti, appare appartenere a un mondo ben diverso da quello del senzatetto - il barbone, el barbùn, come si diceva in quegli anni - ucciso negli stessi giorni con spietata ferocia nel sottobosco umano di squallore e disperazione che vegeta ai margini della Stazione Centrale. E infatti, i primi passi dell'inchiesta, condotta con determinazione dal commissario Norberto Melis, portano tutti in una ben precisa direzione: i giorni confusi successivi all'8 settembre 1943, con le stragi, le devastazioni e le razzie di opere d'arte compiute dai nazisti nella lenta ritirata verso nord. E il senzatetto? Altra mano? Altra inchiesta? Ma è proprio tutto come sembra? O il passato, e la preziosa biblioteca magico-alchemica trafugata nei giorni lontani della seconda guerra mondiale, non sono che una pista apparente? In una Milano che porta ancora sulla pelle le cicatrici dei cupi anni di piombo, mentre la primavera sembra coincidere con una pioggia uggiosa, e l'assassino colpisce ancora, senza pietà, con l'aiuto di tutti i suoi uomini Melis riuscirà a dipanare il filo rosso sangue che lega tra loro queste morti.
Due anni imprecisati della prima decade del ventunesimo secolo. Una città, Paneròpoli, evidente alter ego di Milano (la città della panerà, del formaggio, come la chiamava non senza sprezzo Ugo Foscolo). Una folla di uomini e donne che vivono tante storie intrecciate d'amore, di potere, di sesso - in una rete che costituisce la trama stessa del romanzo, come della loro vita. Diverse generazioni, ma una su tutte, quella dei cinquantenni, per la quale è suonata "la campana dell'ultimo round"; diversi ceti sociali; genitori e figli; linguaggi diversi. Tanti fili con i colori del dramma, della satira, del sentimento romantico e del grottesco che disegnano pagina dopo pagina un arazzo fitto di figure e colori che trova senso e fine, proprio come la vita, soltanto nella sua improvvisa e imprevista conclusione. Un romanzo di trama e di personaggi, ricco di fatti e di ritratti. Un romanzo fittissimo di riferimenti culturali, tra i più vari e diversi, dal rock'n'roll alla poesia romantica, dai manga alla pittura rinascimentale. Un romanzo talvolta non facile e spiazzante sempre, sostenuto da un mirabile tour de force linguistico - che, comunque, non può lasciare indifferenti. Un romanzo che, lontano da ogni pensiero debole e linguaggio minimalista, sfida il lettore a misurarsi con quei valori "alti" - amore e morte, e l'arte, nelle loro varie declinazioni - che soli possono dare un senso alla vita
Maggio 1982: il commissario Melis, ormai vicequestore, ha accompagnato Fiorenza a un congresso internazionale di bibliologia che si tiene in un antico borgo del Centro Italia. Tutto sembra promettere noia e piccole gelosie fra accademici. La giornata inaugurale è però funestata dall'omicidio di uno studente, brutalmente ucciso in una delle aule. Così, mentre il convegno procede fra sospetti, tensioni e volontà di evitare una pessima pubblicità, dietro le, quinte apparentemente serene del borgo rinascimentale si snoda un'indagine che vede le autorità locali sfruttare la presenza, nel pubblico, di Melis e di un alto ufficiale dei carabinieri. Qual è il movente? Un piccolo commercio di droga, come farebbe supporre un secondo delitto? Oppure, come nessuno si augura, la causa della morte dello studente potrebbe trovare spiegazione nella sua relazione con la figlia di un potente locale? Fiorenza da parte sua tenta di rendersi utile sondando i professori e gli studiosi, non senza scoprire coincidenze curiose e verità inattese. Sarà tuttavia Melis a risolvere il caso, ricorrendo all'aiuto "fuori ordinanza" dei più giovani della sua squadra, gli agenti Ferrini e Giovannini. Ma, anche, alla competenza di due illustri studiosi.
In un giorno di ottobre due bambine si trovano a condividere l'unico banco rimasto libero proprio accanto alla cattedra; ci rimarranno per nove mesi, tanto durerà la loro nascente e progressiva amicizia, segnata da provenienze sociali molto diverse. Il conflitto tra loro sempre in agguato nasconde la tenacia di un sentimento purissimo, talmente forte da resistere per un tempo molto superiore alla durata di quell'anno scolastico. Nei dialoghi delle due amiche si condensano i temi eterni del bene e del male, dell'odio e della gelosia, dell'invidia, della conoscenza, e il rovello tagliente della verità. Vale più la verità o l'amicizia? Su questo e altri nodi si avvolge e si svolge l'intera storia, in compagnia di una natura che occhieggia dalle finestre e spinge, per entrare e infrangere le barriere del sapere. Sullo sfondo si muovono i compagni di scuola, descritti nelle forme caricaturali così congeniali alla perfidia delle menti infantili; una maestra regna sovrana, arbitro indiscusso di una corte in eterno subbuglio. L'anno della grande eclissi offre alla classe un'occasione, una sfida, e tutti in fila, su per la montagna, chi con un binocolo, chi con un vetrino affumicato, si inerpicano sul viottolo incerto della conoscenza. Non lontano dall'edificio scolastico, tuttavia, saettano gli slittini di legno raspando la neve, sfidando la sorte e quindi la vita, nel punto di incontro del piacere sfrenato e del botto mortale.
Le valli dell'Alto Verbano, primavera 1986. Un paese come tanti, piccolo, grazioso, raccolto, pronto ad accogliere i turisti come ogni estate. Ma questa non si annuncia un'estate come le altre. Non capita tutti gli anni, infatti, di fare un macabro rinvenimento come quello che degnamente conclude la conferenza del professor Maldifassi sulle streghe di Druogno. Così il commissario Norberto Melis, ospite occasionale al seguito della compagna Fiorenza, viene incaricato dai superiori di dare una mano ai locali rappresentanti della legge. Per scoprire quasi subito, fra cene squisite e gite fra i boschi, quanto quel paesino da fiaba e i suoi decorosi e compiti abitanti celino segreti, invidie, rancori, antipatie, ostilità. E che, come sempre accade, il presente affonda le proprie radici nel passato, un passato ormai lontano. Ma scavare nel passato, si sa, può diventare molto pericoloso. Soprattutto quando quei giorni remoti vennero macchiati dal sangue. La nuova, inedita indagine del commissario Melis conferma tutti gli ingredienti che hanno fatto amare ai lettori le precedenti: un linguaggio che, tra il dolente e l'ironico, mischia continuamente alto e basso, l'attenzione all'arte culinaria, una vicenda gialla alquanto intricata che si dipana per piccole intuizioni, con un insoluto crimine commesso durante l'ultima guerra che getta la propria ombra sul delitto contemporaneo, e un complicato puzzle di identità da comporre con le tessere di vittime e colpevoli.
Un'inchiesta in cui la personalità della vittima è la chiave per arrivare al colpevole? Succede, più spesso di quanto si creda. Mai come in questo caso, però, il commissario Melis ne sembra convinto. Manrico Barbarani: una laurea in architettura, uno studio affermato, un socio da trent'anni al suo fianco, tante amiche, alcuni affezionati nemici, una passione per l'alpinismo, due mogli, anzi: due ex mogli. E un figlio di cui potrebbe essere il nonno. Già. E tre proiettili piantati in corpo. E dove, poi! Nella più squallida delle periferie di Milano. Qualcosa però non convince Melis, a cominciare dal fatto che l'auto di Barbarani è in garage. E allora? E allora, nel sereno settembre milanese del 1981, quando già s'annunciano i toni dell'autunno, il commissario e i suoi uomini iniziano un'indagine che, muovendosi fra i luoghi del potere più o meno occulto e le feroci dispute di una difficile separazione fra coniugi, sembra condannata ad arenarsi. Fino a quando, inatteso, l'assassino colpisce di nuovo. Allora, ecco, tutte le tessere del mosaico sembrano andare lentamente al loro posto, disegnando una vicenda di grande amarezza, di grande solitudine, di grande amore. Quell'amore per il quale un uomo può persino tradire sé stesso.
Ma che storia è? Cosa c'entrano le anime con le acciughe? Anzi, come vedremo, con un intero banco di acciughe? C'entrano, perché siamo nell'aldilà. Come non l'avreste mai immaginato, dove tutto è all'insegna della leggerezza. Infatti si chiama aldiquà. C'è Achille... che si sveglia poche ore dopo essere mancato nella sua casa milanese di via Cusani, e comincia subito a dialogare con un trapassato illustre, il maresciallo Radetzky, già inquilino dello stesso palazzo ai bei (per lui) tempi dell'occupazione austriaca... La conversazione continua con le più disparate anime che vagano nei dintorni, e in parecchi altri luoghi, vicini e lontani, in una sfera ultraterrena ma attaccatissima a quella terrena, che il trapassato, giustamente, dalla sua postazione, ribattezza «aldiquà». L'anima di Achille si è trasferita nel garage di piazza San Marco, nella Porsche di amici di uno dei suoi figli, dove da tempo dimora anche il suo gatto Ely. Da qui in poi gli incontri, le storie, e i dialoghi si fanno sempre più fitti... e, ovviamente, surreali. E di storie da raccontare ne hanno tante non solo Umberto Eco o Elio Fiorucci o il maresciallo Radetzky, ma anche altre anime, indicate con il solo nome di battesimo, Marco, Lucrezia... Ma niente paura, il tono degli scambi è in buona parte ironico, spesso comico, addirittura esilarante: si sorride, si ride, e ci si augura francamente che l'«aldiquà» sia davvero così spassoso, così rassicurante, così vario, e i suoi misteri così poco misteriosi. E molto spazio nella storia hanno anche gli animali, che svolazzano a loro volta nell'«aldiquà», dotati di anima. Comprese le acciughe, che nuotano in enormi banchi e che diventano mezzo di trasporto e guida delle altre anime, quelle degli esseri umani.
I segreti delle nuvole racconta la storia di Tommaso e della famiglia Sili. Tra le nuvole e la piccola cittadina di Urbania, tra il cielo e le verdi colline delle Marche. Racconta la vita dolce e spericolata di questo bambino prima di nascere, a diecimila metri dal suolo, e quella che l’aspetta, in una famiglia felice come tante, infelice come tante. Racconta l’attesa, insieme a migliaia di altri bambini, e poi la discesa sulla terra.
Questo libro è una fiaba che fa ridere e commuove. Ha la fantasia e l’universalità del Piccolo Principe e un linguaggio che sa toccare il cuore. Ha la magia delle immagini di Valerio Berruti.
Insieme, parole e immagini, raccontano i piccoli abitanti delle nuvole – i loro segreti – che rincorrono senza tregua desideri irraggiungibili, che si esaltano e disperano e disperandosi rovesciano sulla terra pioggia e grandine.
E quando ridono è perché laggiù, quaggiù, due persone si sono innamorate.
Un uomo solo, tormentato, compie un efferato omicidio perché obbligato dalle convenzioni del suo tempo. Da lì scaturisce, inarginabile, il suo genio artistico. Gesualdo da Venosa, il celebre principe madrigalista vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento, è il centro attorno a cui ruota il congegno ipnotico di questo romanzo gotico e sensuale. Come può, è la domanda scandalosa sottesa, il male dare vita a tale e tanta purezza sopra uno spartito? Per vendicare l'onore e il tradimento, il principe di Venosa uccide Maria D'Avalos, dopo averla sposata con qualche pettegolezzo e al tempo stesso con clamore. Fin qui la Storia. Il resto è la nostalgia che ne deriva, la solitudine del principe: è lì, nel sangue e nel tormento, che Andrea Tarabbia intinge il suo pennino e trascina il lettore in un labirinto. Questa storia ? è ciò che il lettore scopre sbalordito ? ci parla dritti in faccia, scollina i secoli e arriva fino al nostro oggi, si spinge fino a lambire i confini noti eppure sempre imprendibili tra delitto e genio.
Si chiama Emilio Cacini ma tutti lo conoscono come Soldo di Cacio perché è basso e goffo. La sua vita è sempre stata una storia semplice, di quelle senza aneddoti. Cacio è un uomo mite, insegna educazione artistica alle scuole medie e vive a Livorno, nel rione di Ardenza Mare. Da sempre coltiva la passione per le immagini, tanto che spesso associa le situazioni che vive ai dipinti dei suoi pittori preferiti. Vorrebbe tanto rivelare il suo segreto, che riguarda la relazione clandestina con Ilaria, una donna con un passato da brigatista, ma nessuno glielo chiede. Cacio ha un figlio, Pitore, un bambino che parla una lingua tutta sua, fatta di parole incomprensibili, inventate: folmedina, parassonio, golbetico... Cacio sembra non farne un dramma e anzi si impegna a trovare forme di comunicazione alternative alle parole, nel tentativo di stringere un legame sempre più forte con suo figlio. Seppure disorientato, Cacio ha un mondo dentro di sé e va per la sua strada, ed è una strada gentile e allo stesso tempo forte nel passare attraverso la solitudine e nel creare armonia dalla disarmonia da cui si sente circondato. Nel tentativo di trovare una autenticità che vada al di là delle parole, Cacio sembra dire che il mondo può essere in tanti modi differenti, basta sapere inventarlo.