
In una Sicilia diventata un'immensa rovina, una tredicenne cocciuta e coraggiosa parte alla ricerca del fratellino rapito. Fra campi arsi e boschi misteriosi, ruderi di centri commerciali e città abbandonate, fra i grandi spazi deserti di un'isola riconquistata dalla natura e selvagge comunità di sopravvissuti, Anna ha come guida il quaderno che le ha lasciato la mamma con le istruzioni per farcela. E giorno dopo giorno scopre che le regole del passato non valgono più, dovrà inventarne di nuove. Con "Anna" Niccolò Ammaniti ha scritto il suo romanzo più struggente. Una luce che si accende nel buio e allarga il suo raggio per rivelare le incertezze, gli slanci del cuore e la potenza incontrollabile della vita. Perché, come scopre Anna, la "vita non ci appartiene, ci attraversa".
Brucia la città, bruciano le passioni. Nella notte di Roma, non c'è misericordia per nessuno. Dove è Suburra, comincia la notte di Roma. Il giovane Sebastiano ci prova, a reggere le fila di un regno del crimine. Ma se il re è lontano, gli incidenti capitano. E il Samurai è molto lontano. Chiara ci prova, a ben governare. Ma se il cuore è troppo scoperto, magari ti innamori di chi nemmeno vorresti guardare in faccia. E gli incidenti capitano. Adriano Polimeni ci prova, con un monsignore di buona volontà, a guardare in faccia il pericolo. Troppo da vicino, forse. Si accende la guerra che tutti vedono, continua quella che non vede nessuno, la più feroce. La lotta stavolta è per salvare l'anima.
Immersa nel caldo torrido di luglio, la città si appresta a festeggiare una delle sue ricorrenze più popolari, quella della Madonna del Carmine, quando viene sconvolta da una terribile notizia: la tragica fine di uno stimato medico e professore universitario, caduto da una finestra in circostanze poco chiare. Ricciardi è incaricato di indagare sul caso e, come al solito, "il fatto", l'immagine dell'ultimo istante di dolore del morto, lo perseguita. Ma questa volta il commissario è distratto da uno dei momenti più difficili della propria esistenza. Su di lui incombono l'abbandono e il lutto.
"C'è un momento nella vita in cui viene voglia di raccontare i propri pensieri, gli incontri, i desideri, le sofferenze, la gioia e la fatica del vivere, l'allegria e la tristezza. A me è venuto in mente da molto tempo e l'ho anche fatto nei libri che ho scritto e l'ho cercato in quelli che ho letto, ma non ho mai usato la forma del diario. Adesso, forse perché sono vicino alla fine del viaggio, quella voglia m'è venuta". Guardando ai grandi modelli classici, dagli Essais di Montaigne allo Zibaldone di Leopardi, Eugenio Scalfari compone con sapienza e fervido acume il suo breviario filosofico, personalissimo e universale. Il passato infatti è un deposito. Vive nella memoria, cambia con la memoria. Non è un cimitero, niente affatto, piuttosto una sorgente a cui attingere riflessioni, letture amate, aneddoti. Per la prima volta nella scrittura di Scalfari, è la forma letteraria del diario a dare scansione al pensiero. A essere registrati non sono tanto gli accadimenti, ma i mutamenti interiori generati dalla realtà intorno. L'insoddisfazione per la classe dirigente attuale, per esempio, e per il popolo che la seleziona ed elegge. L'esigenza di riaccostarsi a certi classici del pensiero politico, da Bakunin a Mazzini a Machiavelli. Ma anche il ricordo intimo di momenti dolorosi, privati e pubblici, che lo hanno portato al pianto. Un nuovo tassello di quel mosaico intellettuale che Eugenio Scalfari va disegnando libro dopo libro...
La morte improvvisa di Gianandrea Cerrato, valente avvocato penalista, oltre a privare una moglie del marito e tre figlie del padre, ha delle conseguenze del tutto inaspettate. Da un giorno all'altro le quattro donne si trovano a dover riorganizzare la loro vita. Ed è Eleonora, la figlia maggiore, a cercare il modo di mandare avanti quella famiglia di femmine «variamente deragliate». Mentre la piccola Margherita vive in una dimensione parallela, Eleonora e Marianna sono divise da una visione opposta dell'esistenza e dell'amore: Marianna legge Shakespeare e crede nell'amore assoluto, Eleonora invece, impegnata com'è a sbarcare il lunario e ad arginare la follia collettiva, non è affatto sicura di sapere cosa sia, veramente, l'amore. Intorno a loro si muove il mondo, con le sorprese, l'allegria, l'inganno. La ragione e il sentimento. Perché quella è una delle grandi battaglie che ci tocca combattere nella vita. Non proprio a tutti, perché esistono esseri fortunati senza ragione, o senza sentimento. Ma la maggior parte di noi ne ha un po' dell'una e un po' dell'altro, e non sempre riesce a farli coesistere pacificamente. Quindi si lotta: si lotta da sempre e si lotterà per sempre, e per questo motivo tra tutti i romanzi di Jane Austen "Ragione e sentimento" è quello più adatto a essere periodicamente riscritto, scagliandolo dentro il tempo e i secoli che passano.
È "maoista" ma va in chiesa, è devota al marito ma non rinuncia al collettivo femminista. Per merenda ti propina la solita rosetta con margarina e zucchero, ed è convinta che due colpi di battipanni ben assestati sul sedere non possano che temprarti il carattere. Insegna in una scuola di periferia e fa il bagno al mare anche in dicembre. Se le chiedi perché, ti risponde: lo so io. Se le racconti una cosa, ti risponde: lo so già. È la mamma di Francesco. Nato come una serie social a episodi, questo libro mette in scena una giocosa, inarrestabile dialettica tra madre e figlio che, tra una risata e l'altra, ci commuove.
Nella Roma del secolo di ferro, a pochi giorni dall'inizio del tredicesimo giubileo, la danza macabra incisa su un opuscolo di contenuto libertino sembra aver ispirato l'omicidio di un membro della Congregazione dell'Indice. Viene chiamato a investigare l'inquisitore foraneo Girolamo Svampa, nominato commissarius dagli alti seggi della curia capitolina. II movente del delitto nasce forse da intrighi politico-religiosi, forse da un complotto della Compagnia di Gesù o di oscuri agenti del Meridione spagnole, o forse affonda le radici nell'instabile rapporto tra la tradizionalista capitale della Chiesa e il Nord Europa progressista. Svampa segue la pista orientandosi tra una scia di libelli anonimi e gli avvistamenti di un uomo mascherato che si fa chiamare Capitan Spavento. Lo aiuteranno nell'indagine padre Francesco Capiferro, segretario della Congregazione dell'Indice con il vezzo dei loci memoriae, e il fedele Cagnolo Alfieri. Ben presto, tuttavia, salterà all'occhio che il segrete più grande si nasconde proprio nel passato travagliato dell'inquisitore.
Recanati, 1813. In un austero palazzo nobiliare, il giovane Orazio Carlo tiene un diario nel quale riporta le parole e le azioni del fratello maggiore, Tardegardo Giacomo. Ad attirare l'attenzione del ragazzo è il comportamento misterioso di Tardegardo, che si diletta di poesia e ha tranquille abitudini da erudito, ma è anche roso da una sconvolgente irrequietezza. Nel frattempo, in paese, alcuni episodi cruenti turbano la serenità degli abitanti. Si alternano così la rivisitazione della vita e delle opere di un giovane poeta e gli elementi di un romanzo nero, come delitti efferati, coincidenze lunari e antiche vicende di sangue. Riprendendo i modi della prosa italiana dell'Ottocento, il romanzo è l'esecuzione musicale di un apocrifo leopardiano, ed è al contempo un'originale variazione sul tema del doppio.
"Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie". Si apre cosi la lettera che Vanda scrive al marito che se n'è andato di casa, lasciandola in preda a una tempesta di rabbia impotente e domande che non trovano risposta. Si sono sposati giovani all'inizio degli anni Sessanta, per desiderio di indipendenza, ma poi attorno a loro il mondo è cambiato, e ritrovarsi a trent'anni con una famiglia a carico è diventato un segno di arretratezza più che di autonomia. Perciò adesso lui se ne sta a Roma, innamorato della grazia lieve di una sconosciuta con cui i giorni sono sempre gioiosi, e lei a Napoli con i figli, a misurare l'estensione del silenzio e il crescere dell'estraneità. Che cosa siamo disposti a sacrificare, pur di non sentirci in trappola? E che cosa perdiamo, quando scegliamo di tornare sui nostri passi? Perché niente è più radicale dell'abbandono, ma niente è più tenace di quei lacci invisibili che legano le persone le une alle altre. E a volte basta un gesto minimo per far riaffiorare quello che abbiamo provato a mettere da parte. Domenico Starnone ci regala una storia emozionante e fortissima, il racconto di una fuga, di un ritorno, di tutti i fallimenti, quelli che ci sembrano insuperabili e quelli che ci fanno compagnia per una vita intera.
Un almanacco di soluzioni inattese, di rivelazioni ironiche, di folgoranti incidenti del pensiero. Una scommessa allegra e audace sullo straordinario potere dei personaggi, delle storie, della letteratura. Voci che risuonano nell'oscurità di vagoni semivuoti, lampi che scaturiscono da frammenti di conversazione, profumi nascosti negli anfratti della memoria. I titoli di questa singolare raccolta - trenta scritti di tre pagine ciascuno rappresentano di volta in volta un genere diverso, in un susseguirsi di aneddoti, brevi saggi, racconti fulminei. Li popolano soprattutto figure femminili sfuggenti e indimenticabili, mentre a vicende drammatiche, o amare, si alternano situazioni comiche, sempre in un gioco di specchi tra realtà e finzione. A tenere tutto insieme, come in un mosaico, è una scrittura tersa quanto l'aria notturna, capace di svelare le verità celate nei dettagli dell'esistenza con una magistrale economia di parole. "Un monaco incontrò un giorno un maestro zen e, volendo metterlo in imbarazzo, gli domandò: "Senza parole e senza silenzio, sai dirmi che cos'è la realtà?" Il maestro gli diede un pugno in faccia".
"Ciò che importa sono le relazioni, non c'è altro: come le cose e le persone si legano tra loro". A parlarsi, in questo romanzo, sono un padre e una figlia. E lo fanno come fosse la prima volta, esplorando, sospinti dall'audacia della maturità e della giovinezza, e da una familiarità prima sconosciuta, ora più intima. Si incontrano in Provenza, un luogo per entrambi lontano ma da entrambi amato. Lui, benché distratto, si guarda alle spalle per consegnare la propria storia a lei, Irène, per dirle tutto quello che non ha mai saputo o immaginato. Ma il racconto di sé, inevitabilmente, non può prescindere da lacerazioni e rotture, da divisioni dell'anima che si esprimono in continue divagazioni e dubbi, dando vita a una narrazione che obbedisce alla circolarità e che fa i conti con i difetti della memoria. A lei, quindi, il compito di raccogliere il flusso dei ricordi, di ascoltarlo e sollecitarlo con domande sempre nuove, di allargare quella trama di cui è intessuta ogni esistenza facendo però attenzione a non aprirla troppo. E così, sullo sfondo delle bianche mura di Avignone e dei paesini sferzati dal vento, si dipana un'anamnesi che è anche sentimentale e filosofica: i viaggi, i romanzi, le donne, gli autori più amati, gli affetti perduti, gli incontri fortuiti; e ancora e soprattutto le sconfitte patite nel corpo e nelle illusioni, quella dimensione liminare fra la vita e la morte a lungo indagata nel corso di una degenza in ospedale.
Cosa può combinare un uomo, sulla soglia dei cinquanta, da solo in città mentre moglie e figli sono al mare? Per esempio, lasciarsi trascinare alla rocambolesca premiazione di un vecchio maestro del cinema, per poi infilarsi in lunghe discussioni - un occhio alla luna e uno alla birra - sul senso del tragico, la stabilità delle orbite planetarie, i sentimenti post lavatrice e la ricerca della felicità. Con lui, un gruppo di sgangherati amici: Giacomo che da promettente film-maker si è ridotto a consegnare le pizze; Paola che si sente "fuori mercato" a trentacinque anni e arriverà a tentare un gesto estremo; Luigi, artista affermato, che si caccia in una relazione pericolosa dietro l'altra. Nessuno di loro è davvero felice, per quanto si sforzi di vivere seguendo i propri sentimenti. Ma in fondo chissà quanta parte ha la volontà, e quanta il caso, nelle nostre vite. E, soprattutto, quanta parte ha l'amore. Sulla scia delle "Attenuanti sentimentali", Antonio Pascale tratteggia con intelligenza e ironia il nostro tempo. Attraverso episodi esilaranti e digressioni tanto puntuali quanto svagate, ci colloca nel centro esatto del racconto, di fianco al suo protagonista così nevrotico e contemporaneo, così sentimentale e forse tragico, così simile a noi. "Sì, lo ammetto, a furia di contemplare il cielo la felicità era in notevole ritardo e gli eventi sentimentali, invece, sul punto di precipitare".