
A volte a piedi, a volte in treno, a volte in corriera, sempre con gli scrittori amati nella valigia: cosi Ceronetti viaggiò per l'Italia in un periodo di circa due anni, fra il 1981 e il 1983, ispirato da Giulio Einaudi che aveva intuito sposarsi molto bene la sua indignazione satirica con il resoconto di viaggio. Ceronetti attraversa grandi città e piccole località di provincia, visita piazze, monumenti, musei, ma anche carceri, cimiteri, distretti di polizia, manicomi. Annota i manifesti affissi sui muri, le insegne dei negozi, e denuncia le volgarità che lo feriscono. Ma il libro non è solo un reportage splendidamente fazioso. E anche un taccuino affollato di pensieri, di citazioni, di idiosincrasie. Un'enciclopedia caotica da cui attingere il pensiero di Ceronetti: sempre spiazzante, apocalittico, divertente. Con un'appendice di testi inediti e una nuova prefazione dell'autore.
Durante una cena estiva, dopo aver bevuto un po', otto scrittori cominciano a confessarsi le peggiori figuracce della loro vita. Cose che il giorno dopo, da sobrio, vorresti non solo non aver raccontato, ma soprattutto mai aver vissuto. E invece dopo qualche tempo Niccolò Ammaniti li chiama e dice: avete il coraggio di scriverle? Da qui nasce un'antologia divertente, autodelatoria e un po' folle. Sono storie di lavoro, d'amore, di incontri sbagliati in cui viene fuori che le figuracce sono svolte esistenziali e come le cicatrici ci ricordano chi eravamo e cosa siamo diventati. Autori: Niccolò Ammaniti, Diego De Silva, Paolo Giordano, Antonio Pascale, Francesco Piccolo, Christian Raimo, Elena Stancanelli, Emanuele Trevi.
Un buon investigatore deve essere capace di costruire una storia, immaginare che cosa è successo prima e dopo il crimine, come in un romanzo. Poi, costruita la storia, deve andare in cerca di ciò che la conferma e la contraddice. Così pensa il maresciallo dei carabinieri Pietro Fenoglio, piemontese trapiantato a Bari, che si trova a indagare su un omicidio dove tutto appare troppo chiaro fin dall'inizio. Non fosse che al principale sospettato, su cui si concentra ogni indizio, mancava qualsiasi movente per commettere il delitto.
Un triplice, crudele omicidio rimasto irrisolto. Una scia di violenza e di morte che perseguita gli abitanti di Siebenhoch, una tranquilla, isolata comunità tra le montagne dell'Alto Adige. Un forestiero con la sua famiglia, sempre più invischiato nella vicenda. Al centro di tutto il Bletterbach, una gigantesca gola nei cui fossili si può leggere l'intera storia del mondo. È come se in quel luogo si fosse risvegliato qualcosa di spaventoso che si credeva scomparso, antico come la Terra stessa.
«Werner si lasciò sfuggire un verso di scherno. - Nessuno è mai uscito dalle grotte del Bletterbach. Laggiú c'è l'inferno».
Jeremiah Salinger è un giovane autore televisivo newyorkese che, insieme alla moglie Annelise, si è trasferito per un periodo a Siebenhoch, il piccolo centro del Sud Tirolo dove lei è cresciuta. Con loro c'è la precoce figlia Clara, di cinque anni. Affascinato dalla montagna e dalla gente che vi abita, Salinger comincia a realizzare un factual sul soccorso alpino, ma nel corso delle riprese viene coinvolto in un pauroso incidente. Mentre cerca in ogni modo di dimenticare la sua esperienza traumatica, viene a sapere per caso di un fatto sanguinoso risalente a molti anni prima: il massacro di tre giovani avvenuto durante un'escursione nella gola del Bletterbach. Il delitto non ha un colpevole, e in paese nessuno vuole parlarne: forse perché il solo pensarci potrebbe risuscitarne l'orrore, o forse perché sono in tanti ad avere qualcosa da nascondere. Nonostante l'ostilità crescente che lo circonda, e l'opposizione di Annelise, Salinger si mette a scavare nel passato, penetrando sempre piú a fondo nella vicenda. Fino a scoprire l'imprevedibile, terrificante verità.
Gianna è una figlia con una madre molto ingombrante di cui occuparsi: una cocciuta signora di novant'anni con una testa di capelli bianchi sparati e un paio di occhiali 3D che non si toglie mai - perché anche se non vede è abituata ad avere qualcosa sul naso. Gianna però dovrebbe e vorrebbe avere una vita sua. Questa è la storia della loro particolare relazione; ed è anche la storia di un fenomeno generazionale che coinvolge sempre più donne alle prese con genitori anziani, malati, non più autosufficienti. Accudire chi prima si è fatto carico delle nostre esigenze e ci ha aiutato a diventare adulti è una lotta impari contro il tempo. Una lotta che Gianna Coletti racconta con ironia e coraggio. Mostrando i tanti momenti di angoscia, frustrazione e smarrimento, ma regalandoci anche luminosi sprazzi di felicità, risate e tenerezza.
Gli "invincibili" di questa storia sono un padre e un figlio: un giovane imprenditore pieno d'impegni e un neonato ancora da svezzare che si ritrovano improvvisamente soli, e imparano insieme a stare al mondo. Ci sono i primi passi e le prime parole, c'è la paura di sbagliare tutto, l'improvvisazione, e poi a poco a poco l'esperienza che tesse le sue maglie protettive. C'è l'energia che a volte sembra mancare ma poi da qualche parte salta sempre fuori, e c'è il coraggio. Il coraggio anche di raccontarla, questa storia. Perché trovarsi soli davanti a quella calamita portentosa che è un bambino scompagina la vita. Le serate con gli amici, la carriera, i viaggi, possono diventare un ricordo, ma bando ai rimpianti "perché un padre triste ti resta attaccato addosso come un vestito troppo stretto". E allora ecco che si apre un universo di emozioni e gratificazioni inaspettate: la tenerezza del contatto fisico, la calma rigenerante che infondono i giri in macchina la sera per farlo addormentare, il sabato al parco dove un padre solo può scoprire di essere molto attraente per le madri degli altri bambini, una vacanza in Grecia che diventa un viaggio di iniziazione per entrambi. Ma se poi un giorno - il primo giorno di scuola - si rifà viva la donna che tanti anni prima li ha abbandonati? Cosa succede a quel legame esclusivo tenacemente costruito e difeso?
Una piccola comunità dell'altipiano di Asiago esce stremata dalla Grande Guerra: ovunque macerie, povertà, disoccupazione. Chi non emigra ha davanti a sé un solo, pericoloso mestiere, quello del "recuperante": battere la montagna alla ricerca di residui bellici da rivendere ai grossisti di metalli per pochi centesimi. Giacomo, il protagonista del romanzo, impara il mestiere fin da bambino, al seguito del padre. Nel silenzio dei monti, impara a dialogare con i soldati scomparsi, ma anche a conoscere e decifrare il linguaggio segreto di piante e animali.
Umanesimo come scuola di retorica, culto dei latini e dei greci, nascita della filologia? Cacciari ci fa capire come le cose sono più complesse e meno schematiche, e come la stessa filologia umanistica vada in realtà inserita in un progetto culturale più ampio nel quale l'attenzione al passato è complementare alla riflessione sul futuro, mondano e ultramondano. Dunque una filologia che è intimamente filosofia e teologia. E i nodi filosofici affrontati dagli umanisti (che in quest'ottica non iniziano con Petrarca o con i padovani, ma con lo stesso Dante) sono difficilmente ascrivibili a sistemi armonici o pacificanti, secondo una visione tradizionale del Rinascimento. C'è un nucleo tragico del pensiero umanistico, fortemente "anti-dialettico", in cui le polarità opposte non si armonizzano né vengono sintetizzate... Tra gli autori antologizzati: Petrarca, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini, Lorenzo Valla, Leon Battista Alberti, Marsilio Ficino, Cristoforo Landino, Pico della Mirandola, Poliziano, Savonarola, Leonardo da Vinci, Machiavelli.
Gabbiani, giraffe, talpe, formiche, dromedari, elefanti, farfalle, scoiattoli, ragni, buoi, ranocchi, corvi, topi, chiocciole... Nelle pagine di Primo Levi gli animali non rappresentano una curiosità marginale o un divertimento accessorio, ma sono parte integrante del suo immaginario e della sua moralità: rappresentano un diverso modo di parlare delle scelte che ogni uomo deve affrontare. Primo Levi è affascinato dalle capacità con cui esseri d'ogni specie, compresi i parassiti, hanno risposto alle difficoltà dell'ambiente elaborando soluzioni ingegnose, quasi altrettante filosofie di vita. "Ci sono animali enormi e minuscoli, estremamente forti ed estremamente deboli, audaci e fuggitivi, veloci e lenti, astuti e sciocchi, splendidi e orrendi", ma proprio uscendo dall'isola umana uno scrittore può scoprire una miniera di storie possibili, ricca di metafore, simboli, allegorie. Sino dalla fine degli anni Cinquanta Primo Levi ha dedicato loro racconti, articoli, interviste immaginarie e poesie, in cui ha messo a frutto l'acutezza delle sue osservazioni, e la curiosità di uno sguardo sorridente e pensoso, mai sentimentale o antropomorfo. L'insuperabile analista del "termitaio" del Lager si è rivelato anche un brillante zoologo ed etologo, capace di aprire al lettore orizzonti inconsueti.
È dentro le stanze che le famiglie crescono: strepitanti, incerte, allegre, spaventate. Giovani coppie alle prime armi, pronte ad abbracciarsi o a perdersi. Come Nora e suo marito. Ma di quelle stanze bisogna prima o poi spalancare porte e finestre, aprirsi al tempo che passa, all'aria di fuori. "A lungo andare ogni amore ha bisogno di qualcuno che lo veda e riconosca, che lo avvalori, altrimenti rischia di essere scambiato per un malinteso". È così che la signora A., nell'attimo stesso in cui entra in casa per occuparsi delle faccende domestiche, diventa la custode della loro relazione, la bussola per orientarsi nella bonaccia e nella burrasca. Con le pantofole allineate accanto alla porta e gli scontrini esatti al centesimo, l'appropriazione indebita della cucina e i pochi tesori di una sua vita segreta, appare fin da subito solida, testarda, magica, incrollabile. "La signora A. era la sola vera testimone dell'impresa che compivamo giorno dopo giorno, la sola testimone del legame che ci univa. Senza il suo sguardo ci sentivamo in pericolo".
Al centro di questo romanzo misterioso e potente, che scorre in una lingua tersa dove sembrano risuonare insieme gli echi delle vite dei mistici e la poesia di Emily Dickinson, c'è la figura di Ildegarda. Una donna che viene lasciata dal marito amatissimo ma devastato nello spirito. La sua solitudine è illuminata solo dall'amore per il figlio che adora. Quando l'ombra della morte sembra sfiorare il bambino, Ildegarda si interroga sul male del mondo, sulla paura di vivere, di perdere l'amore, di perdere il figlio. Lo strazio per l'abbandono e soprattutto l'angoscia per non saper proteggere il figlio portano Ildegarda a cercare nella sua fede irrequieta una strada di salvezza. Un patto con quel Dio che appare impotente di fronte al dolore dell'uomo. È la lotta che ciascuno di noi, credente o no, un giorno si trova a combattere. Un nuovo inatteso incontro, nell'incanto di un paesaggio di neve dalla bellezza struggente, porta Ildegarda a vivere una passione del corpo e dello spirito che ha in sé un'attesa di eternità. Di un'altra vita e giorni nuovi. Perché il sogno di ogni amore è che il miracolo non abbia fine. Forse è solo una promessa, ma una promessa è molto più potente di un sogno.
Nel cuore di Roma, il palazzinaro Sasà Chiatti organizza nella sua nuova residenza di Villa Ada una festa che dovrà essere ricordata come il più grande evento mondano nella storia della nostra Repubblica. Tra cuochi bulgari, battitori neri reclutati alla stazione Termini, chirurghi estetici, attricette, calciatori, tigri, elefanti, il grande evento vedrà il noto scrittore Fabrizio Ciba e le Belve di Abaddon, una sgangherata setta satanica di Oriolo Romano, inghiottiti in un'avventura dove eroi e comparse daranno vita a una grandiosa e scatenata commedia umana. Ammaniti sa cogliere i vizi e le poche virtù della nostra epoca. E nel sorriso che non ci abbandona nel corso di tutta la lettura annegano ideali e sentimenti. E soli, alla fine, galleggiano i resti di una civiltà fatua e sfiancata. Incapace di prendere sul serio anche la propria rovina.