
Ksenia è venuta da molto lontano per inseguire il sogno del principe azzurro ed è sprofondata nell'incubo della "tratta delle spose". Ha solo un modo per liberarsi da quell'inganno e tornare a vivere: sfidare i suoi persecutori. Un'impresa impossibile, se sei sola, ma non se ad aiutarti intervengono Luz la colombiana, Eva la profumiera e la misteriosa, feroce Sara. L'amicizia le rende più forti. L'amore le rende spietate.
Un traffico di merce umana che scavalca le frontiere e arriva sotto le finestre di casa nostra, insospettabile e demoniaco. La precarietà delle vite di scarto, destinate al macero. La forza degli umili, dei rifiutati. In questo romanzo teso e durissimo, eppure illuminato da una misteriosa luce, la catena internazionale del nuovo crimine si stringe sul destino di una donna in fuga. Che può contare solo su Luz, sulla sua strana famiglia femminile. E su un paio di angeli. Due terremoti scuotono la vita di Luz, che è appena riuscita a trovare una nicchia felice, nell'affetto della figlia Lourdes e nella protezione della nuova famiglia formata dalle tre amiche Ksenia, Eva e Sara. Le piomba in casa Mirabel, fuggiasca dalla sua Colombia, portando con sé tutto quello che Luz si era lasciata alle spalle. E il suo amore per Ksenia è sconvolto dall'attrazione improvvisa per un uomo affascinante e pericoloso... Il romanzo che chiude il ciclo delle Vendicatrici è una storia d'amore passionale e un thriller che mette in scena con naturalezza la ferocia più estrema. E una inaspettata speranza, che può ribaltare e annullare tutto, perfino il dovere della vendetta.
Non c'è una romana più romana di Eva D'Angelo. Schietta, solare, gestisce da sempre la profumeria Vanità. Il marito Renzo l'ha lasciata in un mare di debiti. Eppure, quando torna da lei, Eva non sa sottrarsi alla dolcezza di quell'amore ritrovato. Ma Renzo, come al solito, si è ficcato nei guai. Eva è disposta a salvarlo per l'ennesima volta, anche se questo significa sfidare le regole di un mondo crudele e sconosciuto, che la spaventa. Ksenia, Luz e Sara sono però al suo fianco, pronte a proteggerla. Perché quando le cose prendono una piega davvero minacciosa, la vendetta è l'unico modo per liberarsi dal passato. Eva è il secondo romanzo del ciclo Le Vendicatrici.
Ha smesso di vivere a undici anni. Ha una tomba vuota su cui piangere e una missione: scoprire chi è stato a toglierle tutto. E vendicarsi. Sara non si ferma davanti a nulla e a nessuno per dare la caccia a chi ha distrutto la sua esistenza. Non esita ad allontanarsi dalla legalità e a trasgredire le regole. Ma presto si renderà conto che non esistono vendette pulite, vendette che non lasciano in bocca il sapore del rimorso.
Al centro di questo romanzo misterioso e potente, che scorre in una lingua tersa dove sembrano risuonare insieme gli echi delle vite dei mistici e la poesia di Emily Dickinson, c'è la figura di Ildegarda. Una donna che viene lasciata dal marito amatissimo ma devastato nello spirito. La sua solitudine è illuminata solo dall'amore per il figlio che adora. Quando l'ombra della morte sembra sfiorare il bambino, Ildegarda si interroga sul male del mondo, sulla paura di vivere, di perdere l'amore, di perdere il figlio. Lo strazio per l'abbandono e soprattutto l'angoscia per non saper proteggere il figlio portano Ildegarda a cercare nella sua fede irrequieta una strada di salvezza. Un patto con quel Dio che appare impotente di fronte al dolore dell'uomo. È la lotta che ciascuno di noi, credente o no, un giorno si trova a combattere. Un nuovo inatteso incontro, nell'incanto di un paesaggio di neve dalla bellezza struggente, porta Ildegarda a vivere una passione del corpo e dello spirito che ha in sé un'attesa di eternità. Di un'altra vita e giorni nuovi. Perché il sogno di ogni amore è che il miracolo non abbia fine. Forse è solo una promessa, ma una promessa è molto più potente di un sogno.
Peppino puoi incontrarlo ogni notte sugli autobus di Roma, con un bustone in mano e la faccia da bambino. È sardo, ma vive a Roma, anzi a Pomezia. Ha trentotto anni, ma è sempre stato un po' "lentarello". La sua voce ingenua, comica, sgangherata descrive il mondo scintillante e decadente delle sue notti, ma anche l'irresistibile compagnia di ultimi del mondo in mezzo a cui è cresciuto e vive: ciascuno aggrappato a un sogno o a un dolore, a un tentativo come un altro per non essere invisibile. Un eroe stralunato racconta tutta la crudeltà di esistere, con uno sguardo infantile e sghembo che diventa l'unica forma di resistenza al male.
Quando una delle sigaraie - le manifatturiere del tabacco - va a chiederle aiuto, Clara Simon non sa che fare. È una bella ragazza, con quegli occhi a mandorla ereditati dalla madre, una cinese del porto che, nonostante le differenze di classe, aveva sposato il capitano di marina Francesco Paolo Simon. Poi però è morta di parto e il marito è finito disperso in guerra. Così, Clara vive con il nonno, uno degli uomini più in vista di Cagliari, e lavora all'«Unione», anche se non può firmare i pezzi: perché è una donna, e soprattutto perché in passato la sua tensione verso la giustizia e il suo bisogno di verità l'hanno messa nei guai. Ma la sigaraia le spiega che i piciocus de crobi, i miserabili bambini del mercato, stanno scomparendo uno dopo l'altro e, di fronte alla notizia di un piccolo cadavere rinvenuto alla salina, Clara non riesce a soffocare il suo istinto investigativo. Grazie all'aiuto del fedele Ugo Fassberger, redattore al giornale e suo amico d'infanzia, e al tenente dei carabinieri Rodolfo Saporito, napoletano trasferito da poco in città e sensibile al suo fascino, questa ragazza determinata e pronta a difendere i più deboli attraversa una Cagliari lontana da ogni stereotipo, per svelarne il cuore nero e scellerato.
Queste pagine sfuggono a una semplice definizione: sono un corso di autostima, un racconto divertente, un diario involontario, un manuale intemperante. Soprattutto sono vive, effervescenti, e fanno meglio - molto meglio - di una seduta dall'analista. Fanno quello che farebbe una cara amica. Se sei giù, ti fanno venire voglia di metterti in ghingheri e uscire. Se sei incline a guardarti l'ombelico, ti fanno venire il sospetto che là fuori, in mezzo alla gente e alle cose che ancora non conosci, si giochi una parte importante della partita. Viaggiare da sole significa buttarsi con curiosità nei luoghi in cui capita di trovarsi per scelta, per lavoro, per fuga. Significa cambiare valigia ("è il trolley l'invenzione che più di ogni altra, pillola anticoncezionale inclusa, ha contribuito alla liberazione delle donne"); scegliere l'albergo giusto, mangiare a un tavolo per uno senza sentirsi tristi. Anche da sole si può prendere un aperitivo sulla terrazza di un bar di Istanbul guardando il Bosforo. E dirsi che, certo, per mangiare le ostriche sarebbe meglio essere in due, ma in fondo la scelta peggiore è non mangiarle affatto. E a poco a poco, grazie alla forza dei pensieri e della scrittura, le pagine di questo libro trasmettono un'energia davvero contagiosa, ti spingono a partire anche da fermo, preoccupandoti di aprire delle porte e non di chiudere casa.
Nadia Motta ha ventiquattro anni, nessun sogno e un'unica ambizione: il denaro. La sua vita da studentessa è solo una farsa, e i lavori occasionali più disparati le permettono di tirare avanti. Perché preoccuparsi? Il futuro prima o poi le "verrà incontro da solo". E per quanto riguarda gli uomini? Faccende di poco conto. Se sua madre Stefi si definisce una "femminista storica" e crede di poterne fare a meno, lei è una "post-femminista": inutile prenderli troppo sul serio, meglio puntare su un fidanzato con un bel lato "b" (babbeo), come Eros, che pensa di essere un grand'uomo ma gliela dà sempre vinta. Solo una cosa conta davvero, su questo Nadia non ha dubbi: i soldi, quella corrente che nasce chissà dove e spinge le nostre vicende in una direzione o nell'altra. E i soldi arrivano: Nadia vince ventuno milioni a una super lotteria, ritrovandosi da un giorno all'altro a dover maneggiare una cifra a sei zeri che solleverà le sue certezze come palloncini, fino a farle scoppiare in un mondo di traffici e avvocati, conti all'estero, misteri della finanza e amici dal lato "i" (quello intelligente) e dal lato "s" (quello stronzo) fin troppo sviluppati. Sola, e abbandonata a se stessa, Nadia sogna una città metafisica dove tutto è in svendita, piena di manichini sorridenti, castelli in aria e ruote panoramiche, e dove il Signore dei Saldi e dei Soldi sta in agguato appeso a un'enorme ragnatela...
"Un bene al mondo" racconta di un paese sotto una montagna, a pochi chilometri da un confine misterioso. Un paese come gli altri: ha poche strade, un passaggio a livello che lo divide, e una ferrovia per pensare di partire. Nel paese c'è una casa. Dentro c'è un bambino che ha un dolore per amico. Lo accompagna a scuola, corre nei boschi insieme a lui, lo scorta fin dove l'infanzia resta indietro. E ci sono una madre e un padre che, come tutti i genitori, sperano che la vita dei figli sia migliore della loro, divisi tra l'istinto a proteggerli e quello opposto, di pretendere da loro una specie di risarcimento. Ma nel paese, soprattutto, c'è una bambina sottile. Vive dall'altra parte della ferrovia, ed è lei che si prende cura del bambino, lei che ne custodisce le parole. È lei che gli fa battere il cuore, che per prima accarezza il suo dolore. "Un bene al mondo" è una storia d'amore e di crescita; è una storia universale, perché racconta quanto può essere preziosa la fragilità se non la rifiutiamo. Basta cercarsi su una mappa, disseminare parole per trovarsi, provare altre strade e magari perdersi di nuovo.
Un cane regalato mette a nudo un matrimonio che fa fatica a stare su, e chissà se a Tano fare il vigile basterà. E il Matto Bedini? Esisterà davvero o saranno le solite chiacchiere di paese? Di sicuro esistono i due ragazzini che decidono di scoprire finalmente la verità. Una lettera che un chirurgo forse aprirà, forse no. Che forse gli farà aprire gli occhi su una storia di quotidiana disumanità, forse no, ma è certo che li farà aprire a noi. Un'azienda che sta morendo, anche se ha ancora qualcosa da dire, e un fiume che sta morendo, anche se ha ancora qualcosa da dire. Una vacanza nell'estate più strana fin qui e una in pieno inverno, e la scoperta che il passato riesce a ferire nonostante i patti e le promesse, ma forse non mortalmente. Un comico all'apice del successo che compie una scelta difficile da capire. Un rapimento per errore che forse non è tanto per errore. Una moglie già anziana che si è portata dentro tutta la vita un incredibile segreto e adesso lo svela. O forse no. E quale verde aspetterà il giovane medico per oltrepassare il semaforo davanti al quale la sua vita sembra essersi tranquillamente assestata? Ci sono molti tipi di amore, in queste storie. Nessuno facile. Verso i figli, verso i genitori, verso gli amici, dentro le più diverse coppie e famiglie. Ma c'è soprattutto tenerezza, nei racconti teneri come in quelli che colpiscono dritti allo stomaco. E c'è speranza e futuro, nei finali aperti che lasciano immaginare tante soluzioni possibili.
Il giorno in cui il maestro insegna ai bambini l'alfabeto è la fine e l'inizio di un mondo. La fine di un mondo in cui le cose succedevano e basta, e l'inizio di uno in cui possono essere messe in fila indiana in forma di parole. La vita intera passa attraverso le molteplici combinazioni di quelle ventuno lettere: sorprese, delusioni, imprevisti, nascita e crescita, persino la morte. Trentotto storie brevi, trascinanti e poetiche, piene di profonda leggerezza. Ciascuna di loro, una parola. Ciascuna di loro, il mondo. Sono epifanie scovate quasi per caso negli interstizi del quotidiano: lo smarrimento di una donna di fronte alla rottura di un braccialetto dei desideri, l'impossibilità di resistere dal prendere a calci un pallone che rotola per strada, il sollievo con cui si consegna a uno sconosciuto la propria storia sapendo che non lo si vedrà mai più, il piacere perverso di rimettere in circolazione una banconota falsa ricevuta chissà dove. Andrea Bajani compone una commedia umana in miniatura, in cui ogni piccolo gesto può diventare una chiave per capirsi, e rendersi conto che la felicità, alla fine, sta dentro la piega che di colpo prendono le cose.