
Le piste dell'attentato è il romanzo d'esordio di Loriano Macchiavelli, e quindi quello in cui il popolare poliziotto protagonista - che da subito rivela caratteristiche che lo renderanno celebre, cioè caparbietà, spirito di contraddizione, indolenza e frenesia a fasi alterne - vive la sua prima avventura. Bologna, anni Settanta. Un attentato alla stazione radio dell'Esercito sui colli di Paderno e la morte di quattro militari fanno partire le indagini.
Fiori alla memoria è uno dei capolavori dell'autore. Un incendio doloso a Pieve, un paesino dell'Appennino tosco-emiliano, distrugge parte di un cantiere in cui si sta erigendo un monumento ai Caduti partigiani. Non solo: lí vicino viene trovato il cadavere di un giovane del paese. Delitto a sfondo politico? Chissà.
In Ombre sotto i portici siamo sempre a Bologna, anni Settanta. Imelde Scampini, tenutaria di uno dei piú rinomati bordelli della città, viene trovata cadavere. Che c'entrano quattro extraparlamentari di sinistra? Perché gli eredi raccontano tante bugie? E Sarti indaga.
Trame briose e convincenti, scenari precisi e godibili per questi tre classici del romanzo poliziesco italiano.
"Per più di un anno ho frequantato ospedali e sale d'attesa, case dove vivono malati, istituti d'ogni sorta. Ho indossato un camice da volontaria e sono entrata in silenzio nel mondo della malattia: leucemie, traumi cranici, rianimazione, dialisi, pronto soccorso... È stata un'esperienza forte e dolce al tempo stesso, in cui puntualmente, parlando con i malati, ascoltandoli o anche soltanto lanciando un'occhiata nelle stanze d'ospedale, a un certo punto scattava un processo d'immedesimazione potente e inevitabile: ho davanti un malato, ma anche me stessa. E così, per me si è a poco a poco dissolto quel confine invisibile ma nettissimo che separa il mondo "normale" e benestante da quello di chi convive con la malattia. La nostra modernità fatta di benessere ha del resto rimosso la malattia da dentro di sé, l'ha "isolata" in quell'altro mondo che sembra non esistere, finché non lo si incontra. "La vita è una prova d'orchestra" racconta alcuni luoghi e alcune storie di questo mondo, attraverso l'invenzione ma a stretto contatto con la realtà."
Una professoressa con i capelli a spazzola e un balordo che ce l'ha con il mondo intero. Una simpatica vecchietta in ciabatte, un povero Cristo e tre buffi giostrai. Che ci fanno tutti nello stesso posto? Al Monte dei Pegni ciascuno porta con sé la propria storia, ma a parlare è soprattutto «la roba» che passa di mano in mano: gioielli, argenti, tappeti e pellicce. Ma anche piatti decorati, spille e piastrine¿ Oggetti piccoli e grandi, «pezzetti di vita» che per necessità o per timore vengono lasciati lì, in attesa - si spera - di poterli un giorno riscattare.
Per scrivere questo libro Elena Loewenthal ha osservato con sguardo discreto la fila ordinata che ogni giorno, in attesa del miracolo, si snoda davanti agli sportelli del Monte dei Pegni: gli oggetti depositati si trasformano in banconote, le preoccupazioni lasciano spazio alle speranze.
L'autrice accompagna il lettore lungo un percorso fatto di memorie e di piccoli addii, raccontando il doloroso sollievo che ogni separazione porta con sé. Fino a scoprire che - malgrado i ricordi sembrino avvolgere tutto ciò che possediamo - in realtà «le cose tacciono, siamo noi che c'illudiamo di ascoltarle».
«I racconti hanno le spine, come le rose. I letterati ne annusano il profumo, ma l'editoria teme di pungersi. Storici e critici si dannano a lodare i racconti di Oechov e di Maupassant, mentre gli editori - quando un autore propone un libro di racconti - avvizziscono come mele avvelenate. E l'autore può essere chiunque. Dan Brown va dal suo editore e gli dice: "Ehi, sai cosa, avrei una bella raccolta di short stories per te", e l'editore sente la ceramica del suo cuore incrinarsi. Ma il pubblico? Li compra o no?
Io sono pubblico. Sono una componente della conclamata maggioranza dei lettori: le donne. E sono una donna di fantasia, che in cucina brucia i piselli immaginando storie. Insomma, sono un'accanita e felice lettrice di romanzi... Però poi rifletto: gli autori contemporanei che preferisco sono quasi tutti gente che scrive racconti, e nella top ten dei libri che mi hanno cambiato la vita ci stanno i Nove racconti di Sapete Chi.
E allora perché? Perché a fronte di tanti successi, tanto amore, tanta eccellenza, davanti ai racconti gli editori fremono come bisce? Credo di saperlo. Perché i libri di racconti non vanno al primo posto in classifica. Come il simpatico meccanico in pensione che gioca un euro al SuperEnalotto, anche l'editore spera nel jackpot e sa - con ragionevole certezza - che il jackpot non si nasconde nel libro di racconti.
Anche l'autore, naturalmente, sa che con i suoi racconti non si comprerà la sospirata casa al mare. Quando scrive un racconto, l'autore lo fa in maniera del tutto disinteressata.
E in maniera del tutto disinteressata io ho scritto queste storie. Nella speranza che facciano risuonare un'armonia, una vibrazione, un disagio, una piccola felicità o una punta di dolore. Un libro di racconti è il sacco di Natale, e l'autore dà a ciascun lettore il suo personale pacchetto, con il nastro e il bigliettino. Ecco, questo è per te, da parte mia, con rispettoso amore».
Stefania Bertola
Vincenzo Chironi mette piede per la prima volta sull'Isola di Sardegna - "una zattera in mezzo al Mediterraneo" - nel 1943, l'anno della fame e della malaria. Con sé ha solo un vecchio documento che certifica la sua data di nascita e il suo nome, ma per scoprire chi è lui veramente dovrà intraprendere un viaggio ancora più faticoso di quello affrontato col piroscafo che l'ha condotto fin li. A Nuoro trova ad attenderlo il nonno, Michele Angelo maestro del ferro, che gli farà da padre e da complice in parti uguali -, e soprattutto sua zia Marianna, che vede nell'inaspettato arrivo del nipote l'opportunità per riscattare un'esistenza puntellata dalla malasorte. Anni dopo, quando ormai a Nuoro la presenza di Vincenzo Chironi sembra scontata, naturale come il mare e le rocce, la forza del sangue torna a far sentire il suo richiamo. Perché quando Vincenzo conosce Cecilia, che ha "gli occhi di un colore che non si può spiegare", innamorarsi di lei gli sembra l'unica cosa possibile. Anche se è promessa sposa di Nicola, con cui lui è mezzo parente... Se è vero che "la disobbedienza chiama il castigo", forse è anche vero che quell'amore è l'ultimo anello di una catena destinata a non aver fine. Dopo l'epopea di "Stirpe", Marcello Fois - con una lingua capace di abbracciare l'alto e il basso, e di potenziare lo scorrere del tempo - dipinge un mondo in cui i paesaggi sono vivi come i personaggi che li abitano
Quando dico che la Divina Commedia è la vetta delle letterature, lo dico proprio perché è un piacere leggerla, e chissà cosa abbiamo fatto di straordinario per meritarci un dono cosí bello. È come se Dio ci avesse detto: «Guarda, siete stati talmente bravi e buoni che vi voglio premiare; vi dò uno che vi scrive la Divina Commedia!»
Roberto Benigni
Oltre a essere un attore Benigni è un raffinato intellettuale; anche se si presenta sul palco saltellando come un clown, è uomo di ottime letture e letterato di bocca fina, capace talvolta di sorprendere pure chi lo conosce bene, che butta lí tra parentesi il nome di un minore, ed emerge che Benigni lo ha letto, magari in originale.
Per cui queste lecturae Dantis paiono un poco, da parte sua, anche la manifestazione di una vocazione didattica, gaiamente professorale, che da tempo egli maturava... Il miracolo, che forse non sperava neppure lui, è che lo hanno seguito le folle... Cose che accadono solo ai profeti. Meglio che si fermi, altrimenti un giorno o l'altro gli salterà in mente di moltiplicare anche i pani e i pesci. E a lui, si sa, non piace chi si traveste da «unto del Signore».
Umberto Eco
A Rocca di Sasso - un paese di fantasia «imitato dal vero» sulla base dei tanti villaggi delle nostre Alpi - il tempo sembra non passare mai. La montagna, immobile, domina, rispettata e temuta, con le sue leggende e le magiche entità che si racconta dimorino qui. In primavera, sulle sue pendici, fioriscono genziane e ciclamini, e più in alto, verso gli alpeggi, lo strano giglio martagone, bianco e screziato di sangue. Nei prati a fondovalle, si spande il profumo carnale dei narcisi.
All'ombra del Macigno Bianco formicola la vita degli abitanti del villaggio, con i suoi piccoli e grandi andirivieni, dalla Prima guerra mondiale ai giorni nostri.
Vassalli disegna i caratteri e tesse i destini, facendo di questo piccolo mondo un frammento di vita universale. Nel coro spiccano il maestro Prandini, socialista, volontario in guerra, mutilato, poi legionario a Fiume, poi gerarca fascista; e Anselmo, detto Ansimino, autista di corriera e piú tardi meccanico, che ha un cuore grande e «l'intelligenza nelle mani».
Intorno a loro vive tutta la comunità, tra pettegolezzi, amori, lutti, aspre scene di guerra, cene dei coscritti e dei reduci: un mondo fatto di tante storie che si incrociano e che Vassalli annoda, con sapienza e ironia, in un'epica umanissima; un'intera civiltà, brulicante di vite, che si anima sulla pagina poco prima di sparire per sempre inghiottita dall'oggi.
Di tanti uomini vissuti qui nei tempi antichi, solo due hanno lasciato traccia del loro passaggio: l'Eretico e il Beato, «due contrari, in cui si riassumono e si annullano tutti i possibili contrari di questo mondo». La luce e le tenebre, il giusto e l'ingiusto, il bene e il male. Sono la premessa della storia ambientata in questi luoghi «dove il passato non riesce mai a passare del tutto e il presente non è mai davvero presente», come una musica che riecheggia nel tempo.
Tutto è cambiato, ma il Macigno Bianco resta là, al centro di tutte le valli, con il suo paradiso perduto e il suo inferno sotto i ghiacciai; e l'Internazionale, inno dell'umanità risuonato in tutto il mondo, è tornato nella quiete dei luoghi dov'era nato, tra rocce e foreste, a sussurrare forse nuove parole di speranza.
«Tutto incomincia con quattro spari che riecheggiano nel silenzio della montagna. Tutto incomincia con un corpo immobile nella neve macchiata di sangue».
«Anima camaleontica, mutabile, fluida, virtuale», Andrea Sperelli è il protagonista-esteta del Piacere, un aristocratico romano di antica nobiltà, che vive una vita splendida, tutta immersa nella mondanità, ricca di donne e avventure. Combattuto tra la passione per Elena Muti e l'amore per Maria Ferres, Sperelli crede che «bisogna fare la propria vita come si fa un'opera d'arte». Malgrado le buone intenzioni, sarà sopraffatto dalle attrattive d'una Roma corrotta e lussuriosa, ritrovandosi invischiato in una perversa sovrapposizione psicologica delle due donne amate. Abbandonato da entrambe, resterà preda della sua abulica esistenza di nobiluomo, inetto a vivere.
Moise Levi ha solo ventitre anni la mattina di fine estate in cui lascia Fossano portandosi dietro un carretto di stracci. Vuole andare a Torino a far fortuna, e non può immaginare che quello sia solo l'inizio di una lunga storia. Perché Moise possiede un fiuto eccezionale per gli affari e per i sentimenti: darà il via a una florida ditta di commerci nel ramo tessile, e avrà due mogli, sei figli e un'infinità di nipoti. Dopo la grande guerra mondiale e quel «brutto spettacolo» della marcia su Roma, finalmente la vita di tutti ha ripreso il suo corso. Meno male che nel 1924 a quel «brutto muso di Mussolino» gli è preso un colpo secco, altrimenti la storia di nonno Moise e della sua discendenza sarebbe stata molto diversa. Invece la famiglia Levi - con i suoi amori e i suoi affanni, i suoi commerci e le sue tribolazioni, le grandi cene di Pasqua e i lunghi silenzi delle stanze chiuse - diventa sempre piú numerosa nella casa di via Maria Vittoria, costruita proprio lì dove una volta c'era il ghetto e adesso non c'è piú.
Elena Loewenthal non ha riscritto la Storia all'incontrario: ha provato piuttosto a mettere la vita al centro, dove la morte ha cancellato tutto. Ha lasciato scorrere la quotidianità dell'esistenza, con la sua allegria e insensatezza per vedere come le gioie e le fatiche di ogni giorno possano fondersi «in una cosa sola che non è troppo distante dalla felicità».
Lessico famigliare è il libro di Natalia Ginzburg che ha avuto maggiori e piú duraturi riflessi nella critica e nei lettori. La chiave di questo straordinario romanzo è delineata già nel titolo. Famigliare, perché racconta la la storia di una famiglia ebraica e antifascista, i Levi, a Torino tra gli anni Trenta e i Cinquanta del Novecento. E Lessico perché le strade della memoria passano attraverso il ricordo di frasi, modi di dire, espressioni gergali.
Scrive la Ginzburg: «Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all'estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c'incontriamo, possiamo essere, l'uno con l'altro, indifferenti, o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase, una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire "Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna" o "De cosa spussa l'acido cloridrico", per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole».
In appendice la Cronistoria di «Lessico famigliare» a cura di Domenico Scarpa e uno scritto di Cesare Garboli.
"Ricordare è tutto: l'etica fondamentale della vita". E con questa consapevolezza che l'esperimento giocoso di compilare taccuini diventa per Goliarda Sapienza un'abitudine, un esercizio letterario e mnemonico, e infine un vizio di cui non può fare a meno. Anno dopo anno si scopre attenta a riportare tutto quello che più la colpisce, perché poche volte si assiste a "qualcosa di possente e primario", ma con la stessa gioia prende la penna anche solo per ricordare un viso, immortalare un orizzonte viola, appuntare un pensiero trasportato dal vento forte, durante una camminata lungo il mare. Nelle ottomila pagine di quaderni, agende, fogli irregolari, densi o a volte appena scarabocchiati, si trova la vera voce di Goliarda. Quella riservata a se stessa, intima e diretta, che allo stesso tempo confida al lettore la sua storia, senza omettere nessun dettaglio: gli umori incostanti, gli inciampi e le sorprese nella quotidianità e nella scrittura, gli autori più amati e i viaggi che hanno modificato per sempre la percezione dello spazio. Tra le pieghe degli appunti spiccano poi le riflessioni politiche e l'analisi delle differenze generazionali, che rivelano il cambiamento di una società che inseguendo un'utopia si è ritrovata davanti a una violenta menzogna. Ma è sicuramente il tocco personale e profondo di Goliarda a illuminare e rendere preziosi i suoi taccuini. Il rapporto unico con la madre, i legami più importanti. Prefazione di Angelo Pellegrino.
Un romanzo vorticoso, vivace, profondamente contemporaneo, che attraversa le esperienze più belle e angoscianti della vita: il talento, l'amore, la fede e la capacità di creare.