
Sotto il ponte più antico di Parma, il cadavere di un uomo affiora dalla riva melmosa. È stato assassinato, e poi gettato in acqua chissà dove, finché la corrente non l'ha portato lì. Il commissario Soneri, incaricato delle indagini, si affida come sempre all'istinto e raccolti i primi, labili indizi, decide di risalire il fiume. In un freddo, piovoso pomeriggio di gennaio, il suo tragitto a ritroso lo conduce in un borgo isolato dell'Appennino, vicino a un passo percorso un tempo da mercanti e pellegrini e ora battuto da ambulanti extracomunitari, ma anche da "spalloni" della droga. I paesani parlano poco e malvolentieri, l'ostilità verso l'intruso, perdipiù sbirro, è palese, tuttavia Soneri arriva a scoprire in fretta l'identità della vittima - un ricco e temuto imprenditore del posto - e a legare il suo nome a un pesante scontro di interessi sul futuro di quelle montagne. Col passare dei giorni l'inchiesta si fa sempre più inquietante, mentre il commissario cerca, letteralmente, di trovare la pista giusta fra sentieri impervi che si perdono in un paesaggio intatto di neve, alberi e acqua. In questo scenario che lo affascina e insieme lo turba, s'imbatte in alcuni bizzarri personaggi, raccolti in una sorta di "comunità dei boschi", e in uno scomodo prete dalla fede eversiva, confinato per punizione in quel luogo dimenticato da Dio...
Lena è giovane, bellissima e intelligente e accanto ha un marito che farebbe qualunque cosa pur di renderla felice. Ma lei non sa più dare né ricevere amore fin da quando - aveva nove anni - qualcuno le ha rubato l'innocenza, segnandola per sempre. Un segreto nascosto con cura, sepolto nell'anima, un fantasma di cui però non riesce a liberarsi e che a poco a poco sgretola il suo equilibrio. L'affetto e la dedizione di Lorenzo non bastano, e nemmeno la nascita di Prisca scalfisce la scorza di questa donna gelida, nemica, distante. C'era la guerra all'epoca in cui Lena aveva vissuto sulla propria pelle la follia degli adulti; da allora è trascorso molto tempo, eppure lei continua a combattere un'infinita battaglia dentro se stessa, contro i demoni che l'assediano. La sua bambina la teme e la respinge fino al punto di odiarla, di non volerla vicino, e la tragica scomparsa di Lorenzo accelera il distacco della figlia dalla madre. Un rapporto distruttivo, logorante, che lentamente intacca anche la psiche di Prisca, inducendola a difendersi con una straziante, terribile forma di rifiuto... Ambientata fra il 1939 e i giorni nostri, una storia di infanzia tradita, di sentimenti calpestati, di amori molesti, cui la scrittura limpida e affilata di Barbara Garlaschelli imprime un pathos e una drammaticità crescenti, che catturano il lettore sino al liberatorio finale.
La prima bomba scoppia davanti a una scuola elementare, mentre i bambini entrano. La seconda bomba scoppia poco dopo, quando arrivano le ambulanze e i soccorsi. Dopo, qualcuno nota un segno sul muro. Una lettera greca. Alfa. E solo l'inizio. Paolo è un giornalista, uno cinico, uno curioso, uno spregiudicato e vuole cercare e capire. Francesca è un chirurgo, una madre a cui muore una figlia, a cui muore il marito e non può non odiare e fuggire. Gualtiero, è un politico, un uomo serio, sincero, isolato, uno che ha paura di quello che sente. Perché non finirà. Gli attentati continuano, sempre più crudeli e assurdi. Senza mai una rivendicazione. Solo uomini vestiti di nero e irriconoscibili. E quella lettera. Alfa.
Domenico Nanni è un uomo che sta facendo i conti con se stesso. A sessant' anni, si guarda indietro e quello che vede è l'immagine di chi non si è fatto scrupoli ad arraffare tutto ciò che poteva, senza nulla in cui credere se non successo, potere, denaro. Presto orfano di padre, cresciuto da una madre che ha sgobbato per potergli garantire un'istruzione, negli anni Sessanta Domenico sposa gli ideali rivoluzionari, forse più per il desiderio di essere come gli altri che per convinzione. Giornalista di nera a "l'Avvenire", per un po' se ne sta a guardare, ma ben presto inizia a cedere alle lusinghe di un mondo sensuale, prepotente e affascinante che si va affermando giorno dopo giorno. Con gli anni Ottanta inizia il gran ballo, e molti pensano a riempirsi la pancia, con buona pace di sogni e utopie. Nanni è uno di quelli. Con l'ascesa del Partito Socialista e la vittoria di una politica del bengodi, salta sul carro del vincitore e - grazie anche all'aiuto di Susanna e della sua prorompente e cinica vitalità - si reinventa come pierre, perché "se la fame non c'è, bisogna ingolosire". Un teatrante che vende idee ammantandole d'oro. Si sporca le mani con la politica, l'industria, la finanza, e così attraversa gli ultimi trent'anni della storia italiana. E la sua parabola diventa metafora di quella del nostro Paese.
Ogni giorno vissuto come se fosse l'ultimo. Ogni incontro, ogni parola pronunciata, l'ultima occasione. "La prima volta che ho sentito il nome di Johann Rukeli Trollmann avevo appena finito di allenarmi al sacco. Con le mani ancora fasciate e i guantoni, appresi la vicenda del pugile a cui il nazismo aveva tolto il titolo di campione perché "zingaro". Per tutta risposta, la volta dopo Trollmann era salito sul ring con il corpo cosparso di farina, i capelli tinti di giallo, si era lasciato battere. Quell'uomo aveva messo in scena la sconfitta dello stesso fanatismo ariano che ora lo crocifiggeva; aveva avuto il coraggio di guardare dritto in faccia il grande male del Novecento. Mi resi conto che quella non era una storia qualsiasi, era una sfida. E dovevo seguirla". Mauro Garofalo racconta la storia del campione tedesco di pugilato degli anni Trenta Johann Trollman, detto Rukeli, fondendosi con il suo personaggio, assumendone lo sguardo e le emozioni e ci porta con lui nel momento più terribile della storia, facendoci vivere una vicenda umana e sportiva, tragica e bellissima.
Teresa non è una bambina come le altre: nasconde un segreto e per questo ha scelto di chiudersi in un mutismo che la isola e, al tempo stesso, la protegge. Alessandra, al contrario, è una giovane maestra esuberante. Fa parte di quella folta schiera di donne che, all'inizio del Novecento, si spinse nei paesini più sperduti a insegnare l'alfabeto. Un lavoro da pioniere. Difficile, faticoso, solitario. Anche Alessandra è sola, per la prima volta nella sua vita. Ma le piace insegnare e sfida con coraggio i pregiudizi e le contraddizioni di una società divisa tra idee antiche e prospettive nuove. Nuovo è pure il mestiere di Adelmo, che cerca di farsi strada nel mondo appena nato del giornalismo moderno. Una sfida esaltante per un giovanotto ambizioso e di talento. E le occasioni non mancano in questa Italia ancora giovane, una nazione tutta da inventare. È il 1906, siamo nelle Marche, all'epoca una delle zone più povere della penisola. La maestra e la bambina sono nate qui. Una ad Ancona, l'altra a Montemarciano. Un piccolo paese sconosciuto, che di lì a poco conquisterà, insieme alla vicina Senigallia, le prime pagine dei quotidiani nazionali. Il nuovo secolo infatti porta sogni strani. Come il suffragio universale. Esteso alle donne, addirittura. Ed è per inseguire questo sogno che dieci maestre decidono di chiedere l'iscrizione alle liste elettorali. Sarà un giudice di Ancona, il presidente della Corte di Appello, a dover prendere la decisione. Lodovico Mortara, il giudice delle donne.
"Non è mica detto che un figlio arrivi subito." In effetti no, per Roberta ed Eugenio, una coppia normale, una coppia come ce ne sono milioni, il figlio, la figlia che desiderano non arriva subito. Anzi, sembra non voler arrivare mai. Più volte nel ventre di Roberta qualcosa inizia ad accadere, ma nessuna gravidanza prosegue. Eugenio e Roberta provano con l'inseminazione artificiale, ma non funziona nemmeno quella. I mesi e gli anni passano e l'attesa si fa intollerabile, come se uno stesso giorno ripiegato su se stesso si ripetesse all'infinito, un giorno di figli desiderati, sfiorati, e poi perduti. L'esplorazione interminabile dell'incertezza li conduce al limite, come singoli individui e come coppia, ma li fa anche evolvere, ed Eugenio e Roberta, in un gesto di resilienza e di libertà, non si arrendono. Decidono di affidarsi al mare imprevedibile dell'adozione, di affrontare le pratiche, i colloqui, la burocrazia. Decidono di esercitare e guarire le loro anime per trovare la forza di prendere un ultimo respiro prima del tuffo. Decidono di affidarsi a un sogno che li porterà altrove nel mondo. Questo romanzo è la storia di una paternità desiderata, cercata, sofferta. Una vicenda individuale che grazie alla forza della letteratura diventa universale, una singola voce, voce di un uomo, voce di un padre, che si fa coro di una moltitudine di donne e di uomini, della loro volontà di essere famiglia, di donarsi, di amare.
"In che rapporto stanno il passato e l'avvenire? A prima vista, questo romanzo sembra rispondere che chi non ha memoria, non ha futuro. Il protagonista indaga su un episodio della Resistenza che coinvolge la sua famiglia e un amico appena defunto, molto più anziano di lui. Nel frattempo, mentre ricerca quell'antica verità, s'interroga sui tempi che gli si schiudono dinnanzi, i primi anni Zero del nuovo millennio. Lo smarrimento della memoria sembra andare di pari passo con l'incapacità di comprendere il da farsi. Mettere ordine nella vita di un altro, un padre putativo, sembra il requisito per orientarsi nella propria. In realtà, via via che procede, la vicenda rovescia l'assunto iniziale, ed è chiarendosi cosa chiedere al domani, che il protagonista ottiene una risposta dal passato. Trovando il modo di tenere insieme, in un gesto simbolico e grottesco, entrambe le dimensioni del tempo. In quel momento, giunti all'ultima pagina, ci accorgiamo che ormai tutti gli episodi narrati sono alle nostre spalle, e che si pone anche per noi lettori il problema di metterli in prospettiva, guardando in avanti. Chi non ha futuro, non ha memoria." (Wu Ming 2)
"Il fu Mattia Pascal" rappresenta una delle tappe fondamentali del complesso percorso compiuto da Pirandello nell'àmbito dell'introspezione e della rottura degli schemi narrativi del Verismo. Mattia Pascal, il protagonista, stanco e deluso dalla vita oppressiva che è costretto a condurre in famiglia, si allontana dalla sua piccola città di provincia e, approdato a Montecarlo, vince al gioco una somma considerevole. Gli si presenta inoltre l'opportunità di evadere dal mondo di false relazioni familiari e sociali: legge infatti, in un trafiletto di cronaca, che è stato ritrovato e identificato il suo cadavere. Superato l'iniziale sbalordimento, decide di approfittare delle circostanze per cominciare un'esistenza diversa; con una nuova identità, dunque, si trasferisce a Roma, alla ricerca di una vita solitaria. A dispetto delle sue modeste aspirazioni, però, le cose si complicano e la sua finzione si trasforma ben presto in un'altra forma di oppressione.
Petrarca si pone sullo spartiacque e sul discrimine fra Medioevo e Umanesimo, raccogliendo da un lato le tensioni e i messaggi più vividi e duraturi del primo e prefigurando, dall'altro, quell'assiduo amore per la parola dell'antico che pervase ed animò il secondo... Al pari del Dante paradisiaco, Petrarca è capace di ascendere, con il suo pensiero poetante, dalla terra al cielo, all'eterno dal tempo.
(dal saggio introduttivo di Matteo Veronesi)