
Se solo lo volesse, Attilio Bonifazi, detto anche Ottavo re di Roma, potrebbe far cadere il governo. Il suo regno è l'immondizia, da cui ha spremuto negli anni potere e ricchezze. La figlia Marta, come ogni bambina del mondo, ha venerato il suo papà, ma molto presto qualcosa si è rotto e l'odio per il padre si è fatto acuto quanto lo è stato l'amore. Così Marta si è lasciata colare addosso strati di grasso, talmente tanto che ormai è una ventiduenne obesa che trascorre le sue giornate senza mettere il naso fuori di casa. Sola, aggressiva, violenta e senza amici, a eccezione di Lorenzo, l'ex compagno di scuola educato e gentile, che in quel mondo dorato sembra trovarsi a suo agio. Il padre Attilio invece è un combattente, lui non molla, anche quando tutto pare precipitare. Abbandonare il business dei rifiuti come consiglia il figlio maggiore Pietro, fresco di laurea a Oxford? Non se ne parla nemmeno. Il gassificatore è stato chiuso perché avvelena l'aria di Roma? Riaprirà. Marta investe un ragazzo e rischia di finire in carcere? Non ci andrà, c'è sempre una soluzione o una scorciatoia per risolvere le situazioni. Ma non sempre le cose sono come sembrano e la verità può affiorare nel modo più inaspettato. Con un sottile gioco di prospettive che annulla ogni pretesa di oggettività, Teresa Ciabatti smaschera in questo romanzo tenero e crudele le bugie di una famiglia e di un Paese.
Alessio Slaviero è un uomo molto temuto nel suo quartiere, quel triangolo di strade strette che si estende a Milano tra viale Monza, via Padova e la ferrovia; il ventre oscuro della città, dove il territorio si conquista e si difende con la forza, tutti i giorni. Alessio Slaviero è un uomo assediato da mille ombre e da mille fantasmi. Il suo unico amico è Manuel, un travestito brasiliano bello come un adolescente cattivo, che abita nell'appartamento di fianco. Ma Alessio Slaviero è anche un uomo, forse l'ultimo, capace di intuire nella miseria del quotidiano la grandezza di un passato rimosso, e di aggrapparsi a una visione: una donna incantevole che ogni sera si affaccia, sul balcone di fronte al suo, per dare l'acqua alle piante. Se non una promessa di felicità, almeno la conferma che un senso può ancora esserci. Ma il caldo infernale dell'estate del 2003 avvolge e appanna la metropoli in una morsa che vanifica la speranza, istiga alla violenza e prelude a un ultimo scontro frontale. Ci saranno ferite e ritorsioni, passioni irrefrenabili, esaltazione e vergogna, finché arriverà il momento di prendere decisioni irreversibili. Alessandro Bertante restituisce una dimensione epica a un tempo, il nostro, che sembra avere smarrito la memoria. E ci regala un romanzo scorretto, di straordinaria potenza visionaria, che fa esplodere i contrasti e in cui ogni cosa, perfino la più semplice, vibra di un antico mistero.
"Nel 1936 Guareschi arriva a Milano, una città moderna dove s'innalzano palazzoni, si asfaltano strade e le riviste di cinema e moda fanno sognare segretarie e sartine. Mentre si consolida il potere fascista, le riviste satiriche come 'Bertoldo', dove lavora Giovannino, fanno tirature da capogiro. I tre romanzi raccolti in questo terzo volume delle opere di Guareschi nascono tra la fine degli anni Trenta e i primi anni della seconda Guerra Mondiale. 'La scoperta di Milano' esce nel 1941, è la testimonianza autobiografica, ingenua e sognante, divertita e malinconica, di quegli anni di scoperte. In questi racconti usciti sul 'Bertoldo', Giovannino narra le sue passeggiate a Milano, tra la stazione e la Galleria, dove osserva le vedovone milanesi sedute ai tavolini dei caffè. 'Il destino si chiama Clotilde' è un capolavoro della narrativa umoristica del Novecento. Nato anch'esso sulle pagine del 'Bertoldo', uscito riscritto in volume nel 1942, ha come protagonista la bellissima 'ricca, eccentrica' Clotilde. Come Pippi Calzelunghe, Clotilde irrompe nella nostra narrativa con tutta la sua carica stravagante. A cinque anni per protesta vuole una mucca con lei sul tetto. A dieci parla come un uomo dei bassifondi, in un romanesco di borgata. Infine fa rapire Filimario Dublè, l'unico uomo non innamorato di lei, per cui ha perso la testa.. 'Il marito in collegio' nasce tra il 1942 e il 1943 come feuilleton sull'Illustrazione del popolo'." (Guido Conti)
390 a.C. Le mura che per secoli hanno protetto Roma sembrano destinate a cedere sotto la furia dei guerrieri celti. Dalla cittadella del Campidoglio, il tribuno Quinto Fabio Ambusto assiste con orrore alla strage in cui, con la sua vigliaccheria, ha trascinato la città. L'ira del nemico barbaro si placherà o segnerà la fine della potenza più temuta al mondo, prostrata dal lungo assedio? Brenno, il valoroso condottiero dei Galli, è arrivato alle porte di Roma in cerca di giustizia per il suo popolo e, adesso che è riuscito a braccare il suo nemico, non si fermerà fin quando la sua vendetta non sarà compiuta. Nemmeno Iulia, la bella prigioniera romana che lo ha stregato, riesce a convincerlo a cessare il massacro: insieme ai suoi guerrieri migliori, Brenno è deciso a compiere un'impresa senza eguali. E soltanto il dictator Furio Camillo, prima calunniato e poi adorato dai Romani nel momento della disperazione, può arrestarne l'avanzata. E mentre fra gli assediati del Campidoglio c'è chi trama perché la missione di salvataggio del dictator si risolva in un'incredibile disfatta, sulla tomba di Romolo, il mitico fondatore, si consuma uno scontro all'ultimo sangue in cui solo l'onore e il ferro delle spade decideranno le sorti del grandioso dominio romano.
Il sesso nell'epoca della sua riproducibilità tecnica - ovvero del Viagra e della giovinezza artificiale. È il tema della breve opera a cui sta lavorando P., in un autoironico gioco intellettuale, quando arriva il fulmine che sconvolge la sua vita: alla compagna, Silvia, viene diagnosticato un tumore non operabile. I quindici mesi che seguono sono un corpo a corpo spossante con la malattia, che ribalta priorità, ruoli, senso. Gli inevitabili, temporanei cedimenti alla disperazione non fiaccano la resistenza coraggiosa di Silvia, che assapora con avidità straziante momenti e sensazioni quotidiani: una passeggiata, una cena con gli amici, un film, una mostra. Fino all'ultimo dei suoi giorni. E mentre P. si confronta con l'universo simbolico e reale della malattia, teso tra scienza e pensiero magico, sprazzi dell'abbandonata ricerca sul sesso si intromettono nei suoi pensieri. Tormentandolo con la frivolezza del dramma estetico dell'invecchiare male mentre Silvia fa i conti con un destino ben più crudele: non poter invecchiare affatto. Dal cortocircuito tra queste due dimensioni, dallo scandalo di questa vicinanza indicibile, eppure inevitabile, tra sesso e morte nasce questo libro. In quest'opera singolare, Pierluigi Battista si confronta con un nodo cruciale della contemporaneità: la tensione tra desiderio e pensiero della fine, tra narcisismo e accettazione del limite. Ed esplora con lucidità appassionata la realtà inesorabile della perdita e la profondità dell'amore.
In una Bari che profuma di fine estate, Andrea cerca di sopravvivere all'ultimo anno di liceo e ai tira e molla con la fidanzata, progettando la fuga verso un Nord che gli sembra carico di promesse. Finché il nonno, un intellettuale angosciato dal fallimento del Socialismo, gli propone un'insolita visita al museo delle cere. E lo fa con un'insistenza tale che è quasi impossibile contraddirlo. Perciò Andrea lo segue a Villa Carafa, l'antico e polveroso edificio che ospita il museo. Senza sapere che stanno per iniziare un viaggio dantesco destinato a cambiare per sempre le loro vite, e a destare nel giovane la passione politica. Perché all'improvviso la cera delle statue si farà carne e sangue, e i personaggi, bloccati in un eterno presente, prenderanno vita, ansiosi di strappare al corso inesorabile del tempo qualche istante ancora. Attraverso le loro voci straordinarie - quelle di Federico II, Leonardo Sciascia, Carmelo Bene, Cassiodoro e molti altri - nonno e nipote cammineranno per le strade della Ravenna bizantina, della Puglia infestata dai briganti, della Turchia infiammata dai conflitti della modernità, del Sacro romano impero devastato dalle invasioni barbariche. Sulle tracce di un passato che non accetta di essere dimenticato.
"Ferite a morte nasce dal desiderio di raccontare le vittime di femminicidio. Ho letto decine di storie vere e ho immaginato un paradiso popolato da queste donne e dalla loro energia vitale. Sono mogli, ex mogli, sorelle, figlie, fidanzate, ex fidanzate che non sono state ai patti, che sono uscite dal solco delle regole assegnate dalla società, e che hanno pagato con la vita questa disubbidienza. Così mi sono chiesta: 'E se le vittime potessero parlare?' Volevo che fossero libere, almeno da morte, di raccontare la loro versione, nel tentativo di ridare luce e colore ai loro opachi fantasmi. Desideravo farle rinascere con la libertà della scrittura e trasformarle da corpi da vivisezionare in donne vere, con sentimenti e risentimenti, ma anche, se è possibile, con l'ironia, l'ingenuità e la forza sbiadite nei necrologi ufficiali. Donne ancora piene di vita, insomma. 'Ferite a morte' vuole dare voce a chi da viva ha parlato poco o è stata poco ascoltata, con la speranza di infondere coraggio a chi può ancora fare in tempo a salvarsi. Ma non mi sono fermata al racconto e, con l'aiuto di Maura Misiti che ha approfondito l'argomento come ricercatrice al CNR, ho provato anche a ricostruire le radici di questa violenza. Come illustrano le schede nella seconda parte del libro, i dati sono inequivocabili: l'Italia è presente e in buona posizione nella triste classifica dei femminicidi con una paurosa cadenza matematica, il massacro conta una vittima ogni due, tre giorni." (Serena Dandini)
Firenze, 1945. Bruno ha perso il padre in guerra. Sua madre lavora duramente per mantenerlo, aiutata da Milloschi, migliore amico del marito, ora tutore del ragazzo. Crescendo, Bruno abbraccia con fervore il comunismo e l'ideologia segnerà la sua adolescenza, consumata tra epiche scorribande con gli amici, le prime storie di donne, il sogno di un'assunzione alle Officine Galileo e il vero amore per Lori. Eternamente in conflitto con l'ottusa rassegnazione dei suoi "vecchi", Bruno cerca risposta nel pragmatismo di una ragione rigorosa, contrapposta alle incostanze della passione. Ma l'amore scuoterà il suo mondo.
Il bravo poliziotto non è senza paura, è un uomo che la paura ha imparato a conoscerla, a dominarla, ne ha fatto un'arma di difesa e contrattacco. Lo sa bene l'ispettore Giovanni Galasso, che in trent'anni di carriera ha combattuto la criminalità di strada e quella organizzata, imparando sulla propria pelle che l'unico modo per restare vivi è non abbassare mai la guardia. A Palermo ha subito il più ignobile degli attacchi, ha dovuto accettare il trasferimento, e adesso alla Squadra Mobile di Roma ha trovato una seconda casa, un gruppo di amici leali, una famiglia. Ma nella vita di uno sbirro la pace non può durare troppo a lungo: succede così che l'omicidio di Anna De Caprariis, un'affascinante nobildonna nota nella capitale come organizzatrice di iniziative benefiche, diventa per Galasso l'inizio di un'indagine piena di insidie e interrogativi, destinata a riportare alla luce antichi misteri personali. Come quello del suicidio di Laura, sua fiamma giovanile, che scopre collegata alla De Caprariis attraverso discutibili amicizie. Per venirne a capo servirà intuito, cattiveria e quel pizzico di imprevedibilità che appartiene soltanto ai numeri uno.
Venezia, 1327. Quello di Giulia Bondimier, unica erede di un'illustre famiglia patrizia, è un amore sincero, travolgente e passionale. Ma anche impossibile. Vietata dai costumi del tempo, la sua relazione con il giovane Samuel Macalia, setaiolo ebreo, ha come tragica conseguenza una gravidanza inattesa. Segnata da questa macchia indelebile, Giulia non ha scelta: deve cambiare vita e rinunciare al frutto della sua colpa. Destino parallelo, quello di Nicoleta. Figlia di un umile carpentiere e vittima di uno stupro, è costretta a privarsi della creatura che porta in grembo. Fuggita in terraferma, riesce a trovare un lavoro capace di restituirle dignità e rispetto. Giulia, invece, obbligata suo malgrado alla vita monastica, rimane nella città che l'ha vista nascere. Venezia è una prigione per lei, ma è anche l'unico luogo che le permette di rimanere vicino a chi non avrebbe mai voluto perdere. Passati vent'anni, Giulia sarà chiamata a scelte difficili e coraggiose. Nonostante la società di cui fa parte sia dominata dai rapporti di forza stabiliti da uomini, saprà dimostrare come il legame ancestrale che unisce una donna ai suoi figli non possa essere spezzato da niente e da nessuno. In una Venezia opulenta, alle soglie della più tremenda epidemia di peste mai conosciuta in Europa, Valeria Montaldi ci regala una vicenda dolce e potente, che, tra le pieghe della grande Storia, racconta il senso pieno dell'essere donne e madri.
L'abitudine intossica l'amore. Per questo motivo Ermanno Dick non ha voluto donne e vive da solo in una villa di tufo bianco dove dedica sentimenti e pensieri al suo harem botanico di rose. Un giorno, all'aranceto comunale, una giovane donna gli sorride. Un incantesimo che muta l'ordine inattaccabile delle sue giornate. È per lei, per Pambìra, che Ermanno decide di ridurre il proprio ventre enorme, centro di gravità e prolungamento fisico dell'intelligenza che lo ha reso ricco. Ma proprio quando lui è in ospedale, pronto ad affidarsi al chirurgo, Pambìra cade dal balcone di casa e muore. Nel condominio dove lei abitava, opera in segreto un crudele tribunale guidato da Giovanni Cocco Mossa, magistrato in pensione, confinato nell'attico. Il diritto è la sua folle religione e processerà la madre e il padre di Pambìra, accusato di un amore innaturale verso la figlia. Dal piano terra all'attico, ogni inquilino partecipa al processo. L'accusa, la difesa, i carcerieri, verbali, verdetti, colpe e punizioni. Un meccanismo inesorabile. Mentre la corte condominiale, rapida e inflessibile, emette la sentenza per un bisogno primigenio di giustizia, Ermanno Dick comprende come si sono svolti realmente i fatti. La verità che emerge è solo in apparenza paradossale, così come le feroci e candide creature di "Lettera ultima" sembrano bizzarre, ma sono in fondo molto comuni e quotidiane. Perché la giustizia, come l'amore, spesso sconfina nella terra della pazzia.
Ci sono momenti in cui il passato ritorna e diventa impossibile ricacciarlo dove lo avevamo confinato: il tempo resta sospeso e pretende le risposte che gli abbiamo sempre negato. Per Marcella quel momento arriva tardi, quando la sua strada sembrerebbe già segnata: cinquant'anni, una vita tra i banchi di scuola e un figlio ventenne a cui non ha mai voluto raccontare la verità. Ma quel giorno, ad Assisi, quando un uomo si butta ai suoi piedi vaneggiando di un ritardo imperdonabile, Marcella sente che sta parlando proprio a lei. Perché il tempo è una successione di occasioni e a volte anche da un ritardo può scaturire un miracolo. Quando Marcella risale sul pullman con i suoi studenti, avverte come uno squarcio dentro di sé: la stessa sera decide di rivelare al figlio Matteo la vera causa della morte del padre. Sono trascorsi ventitré anni: quella rivelazione è destinata a cambiare la vita di Matteo e a fargli scoprire che la verità non è mai una sola. E che, come ci racconta Marco Baliani, il passato può essere compreso solo con uno sguardo lucido e nello stesso tempo carico di appassionata umanità.

