
Milano, 1447. La cattedrale di Santa Maria Nascente è ancora un cantiere in pieno fermento. Nei progetti dei signori di Milano, i Visconti, dovrà diventare il duomo più maestoso d'Europa. Ma quando Filippo Maria Visconti muore senza lasciare eredi legittimi, il Ducato rischia di precipitare nel caos, preda delle mire dei molti che aspirano a governare su quel territorio, primo fra tutti il valoroso condottiero Francesco Sforza. Ma proprio tra le navate della cattedrale, lontano da tutti gli intrighi tessuti dai pretendenti alla successione, cresce un bambino che ha nelle vene il sangue visconteo, e che potrebbe reclamare il potere per sé. Educato come un figlio dall'arcidiacono Onorio, il giovane Niccolò viene iniziato ai misteri di un'antica Confraternita che agisce nascosta sotto le fondamenta del duomo: tra rituali alchemici e trame di corte, Niccolò dovrà scegliere se percorrere la strada della Luce, o quella delle Tenebre. Un romanzo che scava nell'animo più oscuro di una Milano antica e mai raccontata, dove le atmosfere gotiche si intrecciano con la Storia.
"Ho bisogno della bellezza, così come amo ogni anelito dell'uomo per compararsi a essa. Rinuncerei a qualsiasi merito artistico pur di riuscire a fare della mia vita un'opera d'arte." È il principio che guida Ermanno Olmi in questa esplorazione di una vita, delle sue poche certezze e dei suoi molti incontri. Cresciuto nel pieno della disfatta fascista e testimone critico della rinascita nazionale, Olmi è stato giovanissimo fornaio, impiegato ragazzino, regista precoce. Ha vissuto direttamente l'abbandono delle campagne e l'esplosione della società dei consumi e per questo, divenuto protagonista della stagione d'oro del cinema italiano, ha scelto di rappresentare non i lustrini del Boom, ma la cecità di uno sviluppo che ha strappato il nostro Paese alle sue radici contadine. Proprio questa ferita è il cuore filosofico della sua illuminante autobiografia. L'"Apocalisse è un lieto fine" non è infatti solo il racconto di una vita densa e affascinante, degli incontri e dei successi che l'hanno segnata. È soprattutto la profonda, urgente riflessione con cui l'artista che ha saputo cogliere gli ultimi echi della civiltà rurale ci mette in guardia davanti al declino di un'altra epoca umana: la nostra. Abbiamo dimenticato cosa vuol dire "far bene" e coltivato a dismisura l'etica del male minore. Produttività, arricchimento e potere continueranno a rinchiuderci nelle loro gabbie fino a quando non saremo pronti a imparare l'eterna lezione della terra.
Il miglior tempo" segue le orme di un uomo che è cresciuto giocando con le automobili, si diverte a sfidare i limiti e da sempre cammina in bilico tra motori e donne (ma non tra donne&motori). Nella sua vita i primi - macchine, motociclette, aerei - sono tradizione familiare, lavoro, hobby, addirittura mania, culto, autocoscienza. Le seconde, invece, sono le nonne, la tata, la madre, la moglie, le figlie, le amiche, tutte figure femminili sagge e pazienti, loro sì rispettose dei limiti, capaci di curare le ferite ogni volta che il gioco si fa troppo pericoloso. Ed è proprio nell'equilibrio tra ragazzate e perdono, tra fughe liberatorie e carezze di conforto, che bisogna cercare il tempo migliore e che si raccontano le storie più belle... C'è il ricordo mitico della Millemiglia del '56 a bordo di una Fiat 1100-103 Zagato, gioiosa ma estenuante anarchia automobilistica. C'è la birichinata incendiaria di un bambino che rimette in moto una Renault Dauphine del '58 abbandonata. C'è la corsa forsennata di un Piaggio Sì 50 ce nelle vie di Milano per seminare qualcuno che ha cattive intenzioni. C'è un Cessna 172 che perde l'orientamento. C'è una notte d'amore in cui viene concepita la più bella delle automobili. In questo libro, sospeso tra realtà e sogni, tra riso, paura e nostalgia, Guido Meda ha saputo dare senso a una passione assoluta. Che è anche la voglia tutta maschile di vivere con leggerezza. Di partire per una scorribanda sapendo di poter sempre tornare sotto un tetto sicuro.
In una scuola superiore come tutte le altre, il professor Perboni, lo stesso irriverente, caustico, esilarante protagonista del bestseller "Perle ai porci", si trova ad affrontare un nuovo anno scolastico che non è affatto come tutti gli altri. Certo, gli studenti sono sempre bovinamente supini, i colleghi pettegoli e svogliati, i genitori tanto mediocri quanto molesti. A questo si aggiunge però che, scoperti per puro caso i suoi contatti con una casa editrice milanese per la quale traduce, colleghi e allievi - persino Baroncini, l'unico fra questi ultimi che lui apprezzi - gli affibbiano imbarazzanti manoscritti, convinti che basti una sua raccomandazione per vederli finalmente pubblicati e coronare così il loro sogno di aspiranti scrittori. Sul fronte privato, le cose gli vanno anche peggio: nulla può più arginare la sua crisi matrimoniale e la moglie Sandra si trasferisce in Australia, portando via con sé la piccola Elisabetta, l'unica persona al mondo che Perboni ami davvero. In questo contesto deprimente, né la relazione extraconiugale con un'avvenente nuova collega, né le oscure minacce di uno strano uomo dei "Servizi" riescono a scalfire l'imperturbabilità di Perboni. Ma è la morte di Baroncini in circostanze misteriose a sconvolgerlo e a fargli capire di essere rimasto impigliato in un gioco pericoloso...
Virginia - quarant'anni portati benissimo, una carriera nell'azienda di famiglia e un guardaroba di invidiabile eleganza - sorseggia una flute di champagne sprofondata in poltrona. Dalla finestra, i tetti di Brera e le luci della città la ipnotizzano e una leggera malinconia la prende: nel suo passato si nasconde un dolore profondo ma nel suo presente c'è una passione irrefrenabile che le tiene compagnia, quella per Grace Kelly. Lo stile impeccabile della diva, il suo fascino magnetico, la sua vita da attrice e la trasformazione in principessa: è tutto parte di una favola nella quale Virginia ama perdersi. Ed è proprio per "cercare Grace" che Virginia partirà, l'indomani, verso la Francia. Un viaggio apparentemente come tanti si trasforma, invece, in un'avventura davvero speciale che la vedrà nascosta in un museo parigino, lanciata in un pedinamento fin dentro la lussuosa casa d'aste Drouot e tentata da Vincent: un uomo affascinante ma indecifrabile che potrebbe farsi spazio nel suo cuore ferito. Ma la vita di Virginia è davvero legata a doppio filo con la storia della principessa di Monaco? La risposta è celata nelle pagine ingiallite del diario scritto da una penna misteriosa...
Sono tutte qui le donne raccontate da Dacia Maraini, in questo piccolo libro importante. Sono qui a mostrarci qualcosa di intimo, qualcosa di necessario e doloroso. Le donne di Dacia sono forti, hanno lottato, a volte hanno perso ma non si sono mai arrese. Le protagoniste de "L'amore rubato" combattono una battaglia antica e sempre attuale, contro gli uomini amati che sempre più spesso si dimostrano incapaci di ricambiarle, di confrontarsi con il rifiuto, il desiderio. Davanti a queste donne, mariti, amanti, compagni si rivelano ragazzini che stentano a crescere e confondono la passione con il possesso e, per questo, l'amore lo rubano: alle bambine che non sanno, alle donne che si donano troppo. Come Marina, che si ostina a cadere dalle scale, come Ale, che sceglie con sofferta determinazione di non far nascere il frutto di una violenza o ancora come Angela, che si addossa, aderendo alle parole della Chiesa, le colpe che una antica misoginia attribuisce alla prima disobbedienza femminile. In tutte queste storie affilate e perfette, dure e capaci di emozionare e indignare, Dacia Maraini racconta di un mondo diviso fra coloro che vedono nell'altro una persona da rispettare e coloro che, con antica testardaggine, considerano l'altro un oggetto da possedere e schiavizzare.
È un linguaggio profondo e complesso quello con cui ci parlano coloro che abbiamo amato e non sono più con noi, ineffabile come il paese che abitano. I sogni e i ricordi sono il solo passaggio per questo luogo in cui le epoche della vita si confondono, "un'isola sospesa sulle acque, dai contorni sfumati e frastagliati". Così, attraverso il filtro essenziale della memoria e del sogno, Dacia Maraini ci racconta in questo libro intenso e intimo come "Bagheria" coloro che ha amato, che l'hanno amata e che vivono ora solo attraverso i ricordi: "nel giardino dei pensieri lontani" rievoca e incontra la sorella Yuki, il padre Fosco, Alberto Moravia, Giuseppe Moretti - l'ultimo compagno scomparso prematuramente per una malattia crudele - l'amico carissimo Pasolini e un'inedita e fragile Maria Callas. Perché il racconto ha il potere di accogliere e abbracciare come in una grande festa le persone amate, restituendo al momento della fine, che oggi sempre più si tende a negare, a nascondere, quel sentimento estremo di bellezza e consolazione che gli è proprio. Dacia Maraini ci regala una storia sincera e struggente, un ritratto memorabile di sé che mescola affetti privati e pubblici, felicità e dolore.
Emanuele è un bambino ribelle e pieno di vita che vuole costruirsi un paio di ali per volare come gli uccelli. Emanuele ha sempre addosso un odore sottile di piedi sudati e ginocchia scortecciate, l'"odore dell'allegria". Emanuele si arrampica sui ciliegi e si butta a capofitto in bicicletta giù per strade sterrate. Ma tutto ciò che resta di lui è un pugno di lettere, e un quaderno nascosto in un muro nel ghetto di Lodz. Per ritrovare le sue tracce, Amara, l'inseparabile amica d'infanzia, attraversa l'Europa del 1956 su un treno che si ferma a ogni stazione, ha i sedili decorati con centrini fatti a mano e puzza di capra bollita e sapone al permanganato. Amara visita sgomenta ciò che resta del girone infernale di Auschwitz-Birkenau, percorre le strade di Vienna alla ricerca di sopravvissuti, giunge a Budapest mentre scoppia la rivolta degli ungheresi, e trema con loro quando i colpi dei carri armati russi sventrano i palazzi. Nella sua avventura, e nei destini degli uomini e delle donne con cui si intreccia la sua vita, si rivela il senso della catastrofe e dell'abisso in cui è precipitato il Novecento, e insieme la speranza incoercibile di un mondo diverso.
"Io sono nata viaggiando. Ho saputo solo più tardi, da grande, che il viaggio era un male di famiglia." Partita per Tokyo ad appena un anno di età, abituata alle valigie e al contatto con l'altro sin da bambina, con il tempo Dacia Maraini ha fatto del viaggio un destino, un modo di vita. In queste pagine, che raccolgono racconti, articoli e reportage, offre al lettore uno spaccato del mondo come è apparso ai suoi occhi vagabondi, dall'Africa nera delle savane e delle baraccopoli affogate nei fumi della diossina all'Europa pasciuta, dall'Oriente che dimentica inesorabilmente le proprie radici ai ricchi campus degli States, alle città del Sudamerica cariche di prezioso passato. Attraverso le sue parole, che si intrecciano e rievocano brani, visioni e passaggi firmati da grandi scrittori come Marguerite Yourcenar, Henry James e molti altri, i luoghi ripongono la maschera che indossano a beneficio del turista e svelano finalmente la loro anima.
"Bagheria" è un racconto affidato alla memoria. L'autrice, bambina, arriva in Sicilia dopo aver trascorso due anni in un campo di concentramento giapponese. Con infantile intensità vive la scoperta delle proprie origini, della nobile famiglia materna, così radicata in quel paesaggio fatto di palazzi baronali e case che sembrano reggersi una all'altra. Nell'omertà delle pareti domestiche si consumano rapporti tortuosi, dove il prezzo da pagare ricade sempre sulle donne, sacrificate alla "legge" dell'onore in una società che tutto sa, ma finge di non vedere.
"Lo scrittore scrive anche quando non scrive. Scrive quando cammina, quando mangia, quando dorme, quando fa l'amore. Qualsiasi cosa gli accada è un liquido che prima o poi finisce dentro la bottiglia del suo scrivere." Così parlava di sé Oriana Fallaci, rivolgendosi ai giovani studenti di un'università argentina: e tracciava con queste parole forse il suo autoritratto più autentico. Dopo il successo di "Un uomo", Oriana accettò infatti i sempre più frequenti inviti a raccontare come nascevano i suoi articoli e i suoi libri. Oggi quelle pagine preziose in cui parla anche di sé, della sua famiglia e della sua storia con Panagulis, ci rivelano il rapporto intimo e poetico di Oriana con la scrittura, che non è una semplice passione, ma quasi un istinto insopprimibile: quando seppe di avere il cancro, non chiese quanti anni le restassero da vivere ma: "Quanti libri mi restano da scrivere?".
Marianna appartiene a una nobile famiglia palermitana del Settecento. Il suo destino dovrebbe essere quello di una qualsiasi giovane nobildonna ma la sua condizione di sordomuta la rende diversa: "Il silenzio si era impadronito di lei come una malattia o forse una vocazione". Le si schiudono così saperi ignoti: Marianna impara l'alfabeto, legge e scrive perché questi sono gli unici strumenti di comunicazione col mondo. Sviluppa una sensibilità acuta che la spinge a riflettere sulla condizione umana, su quella femminile, sulle ingiustizie di cui i più deboli sono vittime e di cui lei stessa è stata vittima. Eppure Marianna compirà i gesti di ogni donna, gioirà e soffrirà, conoscerà la passione.