
Sul treno per Roma c'è una ragazzina. Sola e in fuga, dopo un violento litigio con i compagni di classe. Fiera e orgogliosa, Eva legge tanti libri e ha il dono di saper raccontare storie: ha appena undici anni, ma già conosce il dolore e l'abbandono. Giose è stato una meteora della musica punk-rock degli anni Ottanta, poi si è innamorato di Christian, giovane professore di latino: Eva è la loro figlia. Padre esuberante e affettuoso, ha rinunciato a cantare per starle accanto, ma la morte improvvisa di Christian ha mandato in frantumi la loro famiglia. Giose non è stato ritenuto un tutore adeguato, e si è rintanato in un casale sugli Appennini. Eva è stata affidata allo zio e si è trasferita a Milano. Non si vedono da tempo. Non hanno mai smesso di cercarsi. Con Giose, Eva risalirà l'Italia in un viaggio nel quale scoprirà molto su se stessa, sui suoi due padri, sui sentimenti che uniscono le persone al di là dei ruoli e delle leggi, e sulla storia meravigliosa cui deve la vita. Drammatico e divertente, veloce come un romanzo d'avventura, "Sei come sei" narra con grazia, commozione e tenerezza l'amore tra un padre e una figlia, diversi da tutti e a tutti uguali, in cui ciascuno di noi potrà riconoscersi.
Jorge Luis Borges commentò, insieme a Eugène lonesco, il tema centrale dell'opera di Bevilacqua: "Nelle sue storie è espressa con forza la manifestazione massima del mistero dell'uomo: il potere e l'attesa di essere stupiti. Lo stupore di cui parla Bevilacqua è una forma di felicità, allontana la paura della morte". Le storie qui riunite, nel loro insieme, consentono dunque al lettore di inoltrarsi, con intensità, in questa stupefazione, partecipando a un viaggio iniziatico dalle esperienze più personali dello scrittore all'analisi delle vicende dell'uomo contemporaneo. Il viaggio si snoda per stazioni: le "prime cerimonie dei sensi" (rivelazioni dell'Eros, rapporti quasi coniugali); la follia della madre e la follia che devasta il tempo d'oggi; le avventure fra i giovani dei nostri giorni; le straordinarie leggende delle origini, e via via. Secondo lonesco: "Una logica diversa, prettamente naturale, che comprende anche il grottesco". Per convenire con Leonardo Sciascia: "È il libro di una vita. Ma è anche pietà, è anche amore".
La scienza cerca di scoprire quali sono le leggi che regolano l'universo, il nostro pianeta, il nostro corpo, mediante osservazioni ed esperimenti. La conoscenza scientifica rende liberi, ci sottrae a paure irrazionali, a quel terrore che i nostri antenati provavano davanti a fenomeni naturali inusuali, quali l'apparizione di una cometa, un'eclisse di Luna o peggio ancora di Sole. La curiosità che caratterizza il genere umano l'ha portato, attraverso secoli di osservazioni, a decifrare pian piano il libro dell'universo, la "cupola stellata" a cui accenna il titolo di questo libro. In una conversazione appassionata con Marco Santarelli, Margherita Hack ripercorre nodi essenziali che riguardano lo sviluppo della scienza in sé e i rapporti della scienza con gli altri saperi. In primo luogo dà conto degli sviluppi della cosmologia e della nostra conoscenza dell'universo, ove continuamente si susseguono nuove scoperte, tra le più recenti quella relativa al bosone di Higgs. La Hack affronta poi i rapporti, a volte burrascosi, tra scienza e religione, rivendicando con coerenza la possibilità e l'urgenza di un'etica laica. Il volume tratta anche le relazioni più ampie che riguardano la scienza e la società: i rapporti tra ricerca scientifica e democrazia, lo stato dell'università italiana, la "fuga dei cervelli", il problema irrisolto delle due culture.
Lilia è una giornalista. Sposata con un uomo violento e madre di due figli, un giorno decide di lasciare una Moldavia soffocata dalla povertà per cercare fortuna in Italia. Passata la frontiera illegalmente, presto si rende conto dell'impraticabilità del suo sogno: i suoi studi lì non valgono niente e l'unico lavoro che trova è come badante. Vorrebbe imparare i costumi e la storia degli italiani, ma la sera è esausta e non riesce a studiare. Può solo scrivere ai suoi figli in Moldavia, per sentirli crescere, raccontare loro "la vita dello straniero" e vincere cosi l'enorme solitudine che si porta dentro. Dall'avventuroso esilio dei nonni in Siberia alla disperazione di un giovane rumeno arrestato per sbaglio, la storia vera di Lilia si popola di personaggi memorabili: uomini e donne senza radici che vivono tormentati da una nostalgia senza fine. Dalla voce della protagonista, un romanzo che ha l'intimità di una lettera e la forza - e il coraggio - di raccontare l'Italia da una prospettiva tutta nuova.
Il cuore di questo libro è la storia di una grande amicizia tra due ragazzini. Intorno a quel cuore c'è un corpo: la Palermo di oggi, tra vecchie botteghe e lounge bar. Una città dove tutto quello che fai o non fai, anche senza volerlo, può alimentare il potere mafioso. E questo per il semplice fatto che i padroni della strada traggono profitto anche dai gesti più piccoli e quotidiani di chiunque, come comprare senza saperlo un biglietto della lotteria taroccato. Per Rafael - figlio di un'emigrata colombiana e di un operaio quasi disoccupato - e il suo amico Richi, crescere li, nel quartiere Spina, è un percorso accidentato, pieno di ostacoli che i loro occhi quasi non registrano. Piantati come sono dalla mattina alla sera in vicolo Grande, si confrontano quotidianamente, e per cosi dire naturalmente, con le regole non scritte di un mondo dove ogni diritto si trasforma in favore, ricevuto o concesso, e dove la connivenza s'infiltra ovunque. Quelle regole stridono sempre di più con le lezioni di una piccola professoressa precaria dagli occhi verdissimi, una "persona civile", troppo civile per molti degli abitanti del quartiere Spina. "Cose da pazzi" segue il destino di Rafael, di Richi e di altri personaggi a cui ci si affeziona, creando un ponte tra un sud immerso in un tessuto mafioso che crea miti e detta modelli e un nord di sradicamento, non diversamente compromesso.
"Ho attraversato questa storia sotto tensione fino all'ultima pagina. Poi non ho smesso di tornarci col pensiero. Ho pensato che ci sono due vie per attraversare la vita. E non è possibile sceglierle, perché le decide il destino. La prima, la più diffusa, è quella delle esperienze universali che bussano alla nostra porta. Arriva la nascita, arriva l'amore, arriva la morte. Da uno vanno vestite di blu, da un altro di rosso. Le esperienze fondamentali sono le stesse per tutti, anche se succedono in mille maniere diverse. A qualcuno invece è dato in sorte tutt'altro. Ci sono persone a cui l'universale si presenta completamente stravolto, irriconoscibile. Forse non è più l'universale, ma un'altra cosa ancora, incomprensibile, inaudita, che non ha nemmeno nome. Il male si installa dove ci dovrebbe essere la tenerezza, la sicurezza più fiduciosa. L'orrore sboccia nel più inaspettato dei luoghi. "Il bambino indaco" si inoltra in quel luogo impossibile, dove le cose primarie crollano, la vita si sfonda precipitando, e la più pacifica delle condizioni, l'amore per il proprio figlio, va conquistata con la più astuta e feroce delle guerre." (Tiziano Scarpa)
Comicità scatenata e scatenato erotismo: ecco i due binari su cui corre velocissima la cronaca della (breve) vita di Oberdan Baciro, vissuto quanto il fascismo e morto per distrazione. Figlio unico di madre vedova, devotissima a Dio e al Duce, il piccolo Oberdan è uno di quei rari esseri umani il cui destino si manifesta già nell'infanzia più tenera. A Oberdan basta un orlo appena sollevato, un baluginio di pelle, per trasformare la curiosità in chiodo fisso. Attorno a quell'apparizione fugace si consumano la sua infanzia e la sua giovinezza, votate al culto solitario dell'inspiegabile mistero femminile. Il problema però è che gli anni passano, ma per Oberdan il mistero resta tale. Non gli rimane così che rifugiarsi nella fantasia, accesa dai racconti di chi millanta esperienze trionfali. Mentre l'Italia degli anni Trenta cammina tronfia verso il baratro della guerra, Oberdan Baciro danza il suo impacciatissimo balletto con il desiderio, fino a un beffardo ultimo atto. Lelio Luttazzi sa essere meravigliosamente leggero. Di quella leggerezza gioiosa e immaginifica che è l'antidoto all'opacità del vivere. Con una lingua spigliata e volutamente démodée, strizzando l'occhio ai romanzi libertini, ci consegna un singolare affresco d'epoca che svela lo spirito irriverente nascosto sotto la gonnella dell'Italia più severa. Una storia briosa e imprevedibile come la migliore delle sue improvvisazioni jazz.
Per riprendersi dalla scomparsa del padre, l'autore ha un'idea: fare un'inchiesta sulla felicità degli altri e verificarne le proprietà terapeutiche. Per questo distribuisce in bar, chiese, carceri, manicomi, scuole, negozi, banche e supermercati di Milano e hinterland migliaia di questionari, chiedendo di descrivere e cronometrare i propri momenti di felicità nel corso di una settimana qualsiasi. Poi incontra e intervista tutti quelli che li hanno compilati. Il risultato è un'avventura in una normale metropoli alla scoperta delle sue allegrie quotidiane e della sua gioia nascosta. Pagina dopo pagina, scorre una serie di incontri che incantano per originalità e delicatezza. E alla fine riscaldano e, forse, un po' curano
Pubblicato nel 1947 e accolto da Einaudi nel 1958, "Se questo è un uomo" viene da allora continuamente ristampato e tradotto in tutto il mondo. È nota la misura, la compostezza di questo classico dell'esperienza della deportazione, il suo intento di descrivere l'indescrivibile, che ha portato l'autore a affermare "se c'è Auschwitz, quindi non può esserci Dio". Questa edizione commentata è ricca di riferimenti testuali e per l'acume interpretativo, con note, sin dalla prefazione, sulla struttura, le scelte linguistiche e di contenuto (fornendo particolari sui personaggi descritti nel campo). Cavaglion compie uno scrupoloso lavoro di analisi stilistica, studiando le influenze letterarie (prima di tutto "La Bibbia" e la "Divina Commedia") ed illuminando di volta in volta interi periodi o singole parole come "gioia", "fortuna" e "felicità", paradossalmente i vocaboli più ricorrenti in tutta l'opera di Levi. Un lavoro che "pesa, separa e distingue" in un'opera che non si leggerà mai abbastanza
"La montagna, più che un luogo geografico, è un'esperienza: quella di un mondo potente nella sua resistenza a certe pazze vertigini della modernità, ma assolutamente marginale". E proprio come la montagna sono marginali e potenti le figure che l'hanno abitata, e che abitano questo libro. Sono le donne lupo, capaci di "affrontare a viso aperto il grave del mondo". Sono balenghe, diverse, eccentriche, "tutte falciate dalla stessa sentenza di emarginazione, servite alla comunità per mettere in scena sempre lo stesso canovaccio". Eppure, forse proprio per questo, cariche di un'oscura forza leggendaria. Una ricercatrice s'inoltra per le valli piemontesi facendo interviste con il suo registratore. Le hanno parlato di una donna, la Fenisia, che vive isolata nel Paese Piccolo, vicino al vecchio cimitero è lei la memoria di quei posti. È nata nel novembre del 1928, non ha mai vissuto altrove e "il lavoro della sua famiglia è sempre stato quello del sotterramorti". Comincia così il rapporto tra la scrittrice e l'anziana donna e, scabro e incalzante, si dipana il racconto di una vita da cui emergono figure femminili impossibili da dimenticare: la madre Ghitìn, la nonna Malvina, la bionda cugina Grisa, "un bisqui di settebellezze", rinchiusa in manicomio per aver osato ribellarsi a un padre violento. "Agli uomini il sudore e alle donne il dolore", la vita in valle è sempre stata durissima, specie per chi ha la sfortuna di nascere femmina.
La storia nota di un curato di campagna pauroso e vile che, minacciato dai bravi, si rifiuta di sposare due giovani, è il capolavoro della letteratura italiana del XIX secolo. Manzoni trova la forma e la lingua perfetta solo alla terza edizione (quella da noi conosciuta) a cui aggiunge l'inedita "Storia della colonna infame": vero finale del romanzo, narra dell'intentato processo contro due presunti untori, ritenuti responsabili del contagio pestilenziale in seguito ad un'accusa infondata, ulteriore esempio di oppressione dei potenti nei confronti degli umili. "I promessi sposi", in questo senso, diventano affresco e sintesi della società italiana di ogni tempo: la prepotenza di Don Rodrigo, la bontà e l'ingenuità di Renzo, l'innocenza di Lucia, il coraggio di Padre Cristoforo. Ma soprattutto, come fece notare Eugenio Scalfari, Manzoni, con Don Abbondio, ci propone la perfetta figura dell'"italiano medio": un brav'uomo che fa quello che deve, ma a fare di più, se c'è da mettersi in mezzo, proprio non ci sta. Studiati, parodiati, usati come modello, "I promessi sposi" raccontano un'Italia che non è mai cambiata. Introduzione di Salvatore Silvano Nigro.
Una notte africana del 1943, mentre nel mondo infuna la guerra, tre italiani fuggono da un campo di prigionia e scalano il Monte Kenya con mezzi di fortuna. Diciassette giorni di libertà, incoscienza e fame che morde, per poi tornare ai reticolati e riconsegnarsi ai carcerieri inglesi. Uno di loro, Felice Benuzzi, racconterà la storia in un libro, anzi: in due libri, e già qui si nasconde un mistero. Chi è Felice? Chi sono i suoi compagni di evasione? Cosa facevano prima della guerra, e cosa faranno dopo? Impossibile raccontarlo senza seguire le scie di molte esistenze, passando dalla Trieste asburgica alla Roma mussoliniana, dalla Cirenaica del guerrigliero Omar Al-Mukhtàr alle Dolomiti del rocciatore triste Emilio Comici, dall'Etiopia del turpe generale Graziani alla Nairobi dove morì il Duca d'Aosta, dalle foreste della rivolta Mau Mau alla Berlino della guerra fredda, per arrivare infine ai giorni nostri. 0 meglio, al 2010, l'anno in cui Roberto Santachiara e Wu Ming 1 inseguono fantasmi fino in cima al Monte Kenya. "Point Lenana" è il risultato di anni di viaggi, interviste e ricerche d'archivio. È un'inchiesta-romanzo, un poema epico in forma di saggio, una scorribanda nel Novecento resa con una scrittura spesso commovente, a volte crudele.