
In un imprecisato villaggio della campagna dell'Inghilterra occidentale, un colonnello in pensione, rispettabile e attraente, se ne va in giro con un cavolo per cappello. Un romantico avvocato dà fuoco al Tamigi. Un aviatore professionista, con l'aspetto di un poeta, fa volare i maiali. Uno sfuggente reverendo cavalca un elefante bianco. Un milionario americano in trasferta, innamorato del "paesaggio feudale inglese", regala la terra ai suoi fittavoli. Un astronomo scopre una mucca che salta sulla luna. Un comandante costruisce castelli in aria. A prima vista, i personaggi di questi racconti, tutti sodali della Lega dell'Arco Lungo, potrebbero sembrare un po' eccentrici ma, come ci svela uno di loro, non si può essere eccentrici senza un centro e in effetti è il mondo che continua a muoversi e a modificarsi mentre noi stiamo fermi. La Lega dell'Arco Lungo vuole proteggere la terra e distribuire la proprietà ai piccoli agricoltori, e lo farà mettendo in atto una vera e propria rivoluzione che si nutre e si esprime in paradossi e nonsense, per rovesciare il punto di osservazione sul mondo e per svelare l'inganno e la corruzione dei potenti, cercando di trovare nuovi modi per fare ciò che di "vecchio" è ancora praticabile e giusto. Alcuni critici hanno bollato questi racconti come "distribuzionisti", sostenendo che l'autore avesse sacrificato la sua creatività a favore della sua agenda politica.
In una pensione sulle colline di Londra arriva all'improvviso un vento impetuoso che scuote ogni cosa, compresi gli ospiti un po' annoiati che vi alloggiano. E porta sulla scena uno strano individuo: Innocent Smith, un gigante scomposto, allegro, rumoroso, eccentrico, forse un po' matto. Anzi, magari è un pericoloso criminale, visto che in sua presenza accade di tutto: pistolettate, una violazione di domicilio, rapimenti di innocenti fanciulle, un tumultuoso processo. E magari non è neppure da solo quando compie le sue azioni dirompenti. Per dichiarare guerra a tutto ciò che spegne una sana meraviglia verso l'esistere non basta l'azione isolata e solitaria di un singolo, occorre un'incursione congiunta: un complotto di famiglia. Chi è l'Uomovivo? O, meglio, chi sono? Chesterton è davvero al suo meglio in questo romanzo "filosofico" pubblicato nel 1912, ma che mantiene intatta, dopo oltre cento anni, la sua carica lietamente eversiva nei confronti di ogni specie di conformismo e di tutte le idee troppo ovvie per essere vere. Dale Ahlquist ricorda Edoardo Rialti nell'Introduzione - una volta mise i lettori saggiamente in guardia: "Quanto più leggi Chesterton, tanto più ti sottoponi allo spaventoso pericolo di vedere le cose per la prima volta". Prefazione di Edoardo Rialti.
Quattro memorabili (e quasi dimenticati) racconti, pubblicati insieme all'edizione del 1922 de "L'uomo che sapeva troppo", in cui Chesterton fa quello che sa fare meglio: intessere storie di intrighi e affascinanti misteri, ricche di atmosfera e colpi di scena, che portano sempre a un cruciale risvolto filosofico. Si passa dalla costruzione del "paesaggio morale" de "Gli alberi della superbia", in cui Chesterton riprende uno dei temi a lui più cari, ovvero l'esaltazione dell'umile (in quanto, come fa dire a Padre Brown, "Le altezze sono fatte perché le si guardi dal basso, non dall'alto"), al "tesoro" di una poetessa dagli occhi pieni di "un'ambizione del tutto spirituale" de "Il giardino di fumo"; dall'uomo ucciso due volte ne "Il cinque di spade", al furto di diamanti de "La torre del tradimento". Ma non è tutto qui, ovviamente. La scrittura di Chesterton richiede un certo impegno per essere compresa e apprezzata a fondo, ma pochi possiedono la sua felicità di linguaggio, la sua efficacissima compendiosità, il suo gusto per il paradosso, la sua capacità di identificarsi con l'anima di coloro che appaiono malvagi.
Che cosa accadrebbe se il re d'Inghilterra venisse eletto tramite un sorteggio? E se a essere sorteggiato fosse un bislacco funzionario governativo in frac, Auberon Quin, dotato di un sulfureo senso dell'umorismo e di un gusto particolare per l'epoca feudale? E che cosa accadrebbe se a condurre questo gioco narrativo fosse Gilbert K. Chesterton? Re Auberon conferisce ai quartieri di Londra la dignità di città-stato e un ragazzo dai capelli rossi di Notting Hill, Adam Wayne, prende1 talmente a cuore le burle del re che per contrastare il progetto di una strada che attraversa il suo quartiere scatena una vera e propria guerra con gli altri boroughs londinesi. L'unico modo per sconfiggerlo sarà affrontarlo sul suo stesso terreno. Con il suo spirito incline al paradosso e all'ironia, Chesterton imbastisce una farsesca allegoria sulla condizione dell'uomo, costretto a domandarsi se il mondo è uno scherzo di Dio e se lui deve stare al gioco seriamente, oppure scherzare, a sua volta, fino alla morte.
Alto, capelli (che furono) fini e chiari, un pallore quasi cadaverico, palpebre e baffi cascanti, naso aquilino. Aspetto apatico, andamento pigro e indolente, aria annoiata, tempra aristocratica, "in gran parte simile a quella dell'anarchico". Horne Fisher, rispettabile membro della buona società inglese, cresciuto in mezzo a primi ministri e politici illustri, inizia la propria carriera come segretario personale di Sir Walter Carey, ufficiale del Governo irlandese e suo parente. Proprio al servizio di Sir Carey si ritroverà accidentalmente coinvolto nella sua prima avventura da "investigatore non ufficiale". Sì, non ufficiale, perché Horne Fisher non è un professionista del crimine ma un uomo che, oltre quel muro di ostentata indifferenza, nasconde capacità analitiche fuori dal comune e curiosità e sensibilità sovraumane "nel comprendere le circostanze" e l'animo umano. Da quella prima esperienza irlandese, Horne Fisher comprenderà quanto il crimine possa essere oscuramente intrecciato con la legge e da lì in avanti, per tutta la vita, si ritroverà ad avere a che fare con faccende similmente oscure, appesantito dall'onere di "sapere troppo", di conoscere il lato squallido e la corruzione delle alte sfere, di cui lui stesso fa parte.
In un piccolo giardino londinese, sotto un cielo dal tramonto infuocato, comincia l'avventura del poeta Gabriel Syme, che, da quel momento, attraversa una notte dell'anima, un vero e proprio incubo popolato di colpi di scena, figure inquietanti, duelli e fughe rocambolesche. Anche nelle storie poliziesche più geniali e ardite c'è uno sfondo solido su cui s'innestano enigmi e incidenti; in questo caso Chesterton ha osato portare l'enigma a tutto campo. Chi c'è dietro il Grande Consiglio Anarchico e chi è a capo di Scotland Yard? Chi è l'alleato e chi è il nemico? Qual è il volto dietro la maschera? Impugnando la spada del coraggio, della ragione e dell'affetto va combattuta la più vitale delle battaglie, quella di chi è pronto a mettere sottosopra cielo e terra per guardare negli occhi il mistero originale del mondo.
Per quanto pubblicata postuma nel 1937, I paradossi del signor Pond non è di certo un’opera minore. In otto racconti pieni di suspense, l’autore presenta la figura di un detective dilettante tra le più godibili della storia della letteratura poliziesca: un «ometto pacato», almeno in apparenza, che conosce benissimo il mondo e possiede la straordinaria capacità di elaborare deduzioni perspicaci e formulare, grazie al suo prezioso intuito, precise ipotesi investigative. Al signor Pond piace anche fare osservazioni casuali che sembrano contenere flagranti contraddizioni. Dietro ciascuno dei suoi paradossi si cela però un misterioso e avvincente racconto, squisitamente narrato.
Il lettore viene ad esempio messo a parte delle vicende di un importante maresciallo dell’esercito prussiano che vede fallire il suo progetto perché «due suoi soldati hanno eseguito i suoi ordini»; o di due uomini «a tal punto d’accordo che uno di essi uccise l’altro»; o ancora di una matita «relativamente rossa» che tracciava «segni neri»; oppure di un uomo «troppo alto per essere visto».
La verità, sembra dire Chesterton, non è sempre quella che appare e il mondo, e la vita, vanno visti da prospettive diverse e, soprattutto, mai giudicati troppo in fretta.
«Il lettore deve accingersi a leggere questo libro con la stessa disposizione d'animo con la quale, evidentemente, il Chesterton lo ha scritto: col senso della giocondità, pura e semplice, e col gusto primitivo del burlesco. L'eroe stesso - l'ineffabile Capitano irlandese Dalroy, che riempie il volume delle sue rodomontate, delle sue canzoni e delle sue risate - rende assai bene, sullo schermo artistico, lo spirito paradossale e rumoroso, fresco ed allegro, sagace e umoristico dell'artista che l'ha creato. Al Capitano Dalroy si contrappone Lord Ivywood, formalista convenzionale, prezioso, insensibile e freddamente fanatico. In questo contrasto sta, (orse, il maggior pregio del romance, per i cui viali l'autore scorrazza liberamente e disordinatamente ora facendo improvvise digressioni ora sostando un po' come in contemplazione, ora perseguendo le sue eccentricità epigrammatiche. Lord Ivywood, che non ha mai voluto bene in vita Mia ad un cane, ma che ha sempre avuto molto a cuore la causa dei cani, personifica assai bene tutto quel mondo inglese artificioso e insincero che ha sempre una causa da propugnare e una missione cui consacrarsi. Puritanismo, vegetarianismo, proibizionismo e non so quale altro "ismo" offrono al Chesterton altrettanti elementi per la sua fantastica scorribanda nella quale l'ironia si alterna alla satira, il quadro di costume al quadretto di genere, il personaggio alla macchietta, l'aria viziata del mondo convenzionale alle sane ventate del mondo libero e giocondo, che ha per sfondo, da una parte il mare, e dall'altra il bruno profilo delle profonde foreste d'Inghilterra». (Gian Dàuli)
Flambeau è stato uno dei più famosi criminali di Francia, e uno dei più famosi investigatori privati d’Inghilterra. Grande amico di padre Brown, è proprio nel castello dove vive con la sua famiglia – dopo aver lasciato entrambe le professioni – che si svolge il primo racconto. Tutto ruota intorno a una domanda precisa: come fa padre Brown a risolvere casi impossibili? Il suo non sembra un metodo, ha modi opposti a quelli di Sherlock Holmes, eppure non sbaglia mai. Il motivo fa trasalire i suoi ospiti, insieme al lettore: sa come si svolgono i delitti perché è lui stesso a compierli, uno dopo l’altro. Non credendo al metodo scientifico e non fidandosi di chi analizza l’uomo «come un insetto», il prete procede nell’unica via che conosce. Si immedesima in chi ha compiuto il delitto fino a sentire le sue emozioni, a diventare la stessa persona. A quel punto tutto diventa chiaro e lampante, perché le cose possono essere andate solo come lui le ha… ri-vissute.
In questa raccolta di racconti Chesterton ci regala una serie di gioielli narrativi, caratterizzati dal suo gusto per il colpo di scena e il paradosso, con l'aggiunta di quel tocco di mistero che ha reso immortali le avventure di «questo piccolo prete dalla faccia tonda e paffuta, dall'aria attonita e un po' stolida», come lo definisce Gian Dàuli. È nel racconto che apre il libro, «La croce azzurra», che Padre Brown compare per la prima volta tra le pagine di Chesterton. Così diverso da tutti gli altri investigatori letterari, Padre Brown è stato capace di incantare generazioni di lettori per il modo in cui risolve casi complicatissimi senza battere ciglio, affidandosi solo al suo intuito e alla sua conoscenza del mondo. «Noi preti dobbiamo per forza essere informati» scherza Padre Brown, «la gente viene e ci racconta tutto». Supera i furfanti nella conoscenza dei crimini, i detective per lo spirito d'osservazione, e gli eroi «duri e puri» per il beneficio che concede ai colpevoli: cercare di comprendere le persone, oltre ai delitti.
Rimarrebbe deluso chi pensasse di trovare in queste pagine un racconto puntuale intessuto di luoghi, fatti, incontri. Non manca - beninteso - nessuno di questi ingredienti, ma l'Autobiografia di Chesterton, uscita postuma nel 1936, è soprattutto la storia di un'intelligenza e di un'anima che cercano, non senza incertezze e contraddizioni, la propria strada. Sullo sfondo, evocato con tocchi magistrali, sta il difficile periodo di transizione tra XIX e XX secolo, con il crollo degli Imperi coloniali e il dramma della prima guerra mondiale. E dallo sfondo si affacciano le personalità del panorama politico e letterario con cui lo scrittore entra in contatto e su cui esercita la propria attitudine all'analisi per paradossi dell'uomo e della società, senza mai rinunciare alla sua impareggiabile vis polemica. La nota segreta del testo - quella che risuona inconfondibile dietro le vicende e le battaglie quotidiane -è però la ricerca di una verità più grande di quella proposta dalle filosofie e dalle dottrine che occupavano (e occupano ancora) la scena contemporanea, una verità capace di cogliere Fumano nella sua complessità e integralità. L'approdo sarà, come è noto, la Chiesa cattolica, «dove tutte le verità si danno appuntamento».
A soli tre anni dalla pubblicazione di "L'innocenza di Padre Brown", prima serie di storie che ruotano intorno al famoso prete, Chesterton ritornò a raccontarne le avventure in un libro che ne esalta la saggezza, la qualità che forse lo rappresenta meglio. Di aspetto poco appariscente, ma dotato di un acume straordinario, Padre Brown è di nuovo all'opera in un appassionante lavoro di analisi e decifrazione di crimini ed enigmi in apparenza insolubili, rigoroso e lucido nell'osservazione e nelle deduzioni e nel contempo profondamente umano. Personaggio molto amato anche in Italia (dalle sue avventure la Rai trasse un popolare sceneggiato negli anni '60), questo curioso prete cattolico si rivela un segugio insuperabile grazie alla capacità di riconoscere e affrontare il male, per assicurare i colpevoli alla giustizia ma soprattutto per salvarne le anime. Uno di quei personaggi capaci di conquistare per sempre il cuore dei lettori, entrando, come dichiarò Gian Dàuli all'epoca della prima traduzione, «nella piccola cerchia degli amici che rimangono tali per tutta la vita».