
A Princeton, nel 1955, un gruppo di illustri scienziati di campi diversi ingaggia una serrata discussione sul significato da dare alla parola "gioco", o più precisamente, su come intendere il messaggio "questo è un gioco". Gregory Bateson pone il problema e le sue parole sono il filo che avvolge l'intera discussione. Bateson approfondisce qui le sue riflessioni sul gioco, le amplifica, aggiungendo altri giri di pensiero, come l'immagine della struttura "a buccia di cipolla" o le spiegazioni del perché non si può mai dire a qualcuno "gioca!".
Il pensiero teologico e spirituale di Nicola Cabasilas si presenta come un modello paradigmatico per ripensare l'esperienza dei sacramenti dell'iniziazione cristiana. Il battesimo, la cresima e l'eucaristia non sono una realtà statica, ma fortemente dinamica; atti ciascuno a realizzare attraverso la propria specificità e dono di grazia la nostra umanizzazione, ossia la nostra unione con Cristo. I sacramenti sono anzitutto una esperienza dell'agire di Dio, in Cristo, per opera dello Spirito Santo, ma anche il luogo della nostra risposta filiale a un dono di amore che sempre ci precede, ci accompagna e ci guida.
La trasparenza e i dispositivi digitali hanno cambiato gli uomini e il loro modo di pensare. Alla comunicazione in presenza, alla capacità di analisi e alla visione del futuro si sono sostituiti interlocutori fantasmatici immersi in un presente continuo e sempre visualizzabile attraverso uno schermo. Il soggetto capace di annullarsi in una folla che marcia per un'azione comune, ha ceduto il passo a uno sciame digitale di individui anonimi e isolati, che si muovono disordinati e imprevedibili come insetti. Han si interroga su ciò che accade quando una società - la nostra - rinuncia al racconto di sé per contare i "mi piace", quando il privato si trasforma in un pubblico che cannibalizza l'intimità e la privacy. E su che cosa comporta abdicare al significato e al senso per un'informazione reperibile ovunque ma spesso inaffidabile.
Il "Manoscritto di un prigioniero" di Carlo Bini appartiene alla letteratura meno nota della prima metà dell'Ottocento italiano. Eppure esso merita di essere riproposto all'attenzione del lettore odierno per molti motivi: in primo luogo, per la modernità del testo, che si sottrae a una stretta identificazione di genere, oscillando tra il romanzo, l'autobiografia, il trattato politico, il dialogo drammatico. Come tale è un'opera rivoluzionaria per l'epoca, e lo è anche per i contenuti, giacché sostiene una proposta politica egualitaria, fondata sulla rivendicazione dei diritti dei poveri, proposta che si collocava al di là della posizione non solo dei pensatori retrivi dell'epoca, ma anche degli spiriti aperti, ivi compreso il Mazzini, per l'adesione alla cui setta Bini scontò a Portoferraio il carcere nel quale nacque il Manoscritto stesso. Questo è dunque anche un libro di speranza e di progetto, che, nel clima della Restaurazione, all'opposto della disperazione proveniente a Leopardi dalla staticità della società di Recanati, nasce all'interno della città "libera" e aperta di Livorno.
Il libro, in una nuova edizione frutto di ulteriori sperimentazioni nelle classi e del confronto con docenti e ricercatori, offre agli insegnanti della scuola primaria un agile strumento didattico per un primo approccio allo studio del verbo. Nello specifico, viene approfondito lo studio dei tempi dell'indicativo e del loro uso in testi narrativi e viene avviata la riflessione sulla sintassi a partire proprio dall'analisi del verbo, come suggerisce la grammatica valenziale. Il metodo proposto integra l'approccio induttivo e quello deduttivo, offrendo sempre agli alunni esempi di lingua viva tratti dai reali contesti d'uso.
Questo volume raccoglie i migliori articoli usciti nei giorni successivi alla tragedia delle Torri Gemelle sulle tre testate americane più prestigiose - New York Times, Washington Post e Wall Street Journal - e poi premiati dal Pulitzer. I drammatici racconti dei sopravvissuti, le testimonianze dei piccoli grandi atti di eroismo, l'analisi delle ragioni dell'attacco terroristico, fino ai dubbi di una corresponsabilità dell'amministrazione Bush nel non saper prevedere una catastrofe annunciata: le migliori penne del giornalismo americano, da Bob Woodward a Judith Miller, spiegano come e perché sia potuto accadere ciò che si pensava non sarebbe mai accaduto. Completano il volume le vignette satiriche dei cartoonist vincitori del premio Pulitzer. Prefazione di Andrea Purgatori.
Grazie al web siamo diventati tutti più vicini, ma non automaticamente dei "buoni vicini". Le tecnologie digitali ci hanno messo in una condizione di costante confronto: sui social network diversi mondi - culturali, sociali, religiosi - si incontrano ogni giorno, senza mediazioni. Per farsi capire oggi occorre saper affrontare questa relazione quotidiana con la diversità dell'altro. In questo testo si offre una guida sintetica per imparare a sostenere il proprio punto di vista davanti a chi non è d'accordo, senza litigare ma anche senza scadere nell'asettico politically correct, per costruire confronti pieni di gusto e soddisfazione. È la disputa felice.
Questo testo non è una guida; è piuttosto il diario di bordo di vent'anni di frequentazione dei "socialini" da parte di una sociolinguista interessata a capire cosa succeda alla nostra lingua e alla nostra società nella commistione tra vita online e offline. È il web che condiziona la lingua o è l'italiano che attraverso la rete sta mostrando mai come ora il suo stato? Questo libro tenta di raccontare qualcosa di nuovo dei social network a chi li frequenta, nella speranza di renderli meno "ostici" a chi, invece, non è abituato a frequentarli. Soprattutto, vuole essere un contributo all'ecologia linguistica dei mezzi di comunicazione elettronici, la cui vivibilità è responsabilità di tutti gli utenti.
La nostra lingua, a cui il sentire comune attribuisce una fisionomia stabile e riconoscibile a partire da Dante, ha faticato molto a trovare una dimensione a tuttotondo in cui potessero riconoscersi tutti gli italiani. Per secoli il problema prevalente è stato il rapporto tra il latino e i vari volgari presenti nella penisola e solo con l'invenzione della stampa è emersa l'esigenza di un'unità linguistica nazionale. A lungo declinata come ricerca di una lingua comune agli scrittori è soltanto a partire dal 1861, con l'unità politica, che la questione dell'italiano riacquista una dimensione più ampiamente sociale. In un viaggio nel tempo che va dal 476 d.C. a oggi, il volume focalizza i punti di svolta di questa lunga ricerca, soffermandosi sulle tappe significative del percorso, dal Placito campano, l'atto notarile che nel 960 certifica la nascita del volgare italiano, a "Lettera a una professoressa".