
A venticinque anni, nel 1934, Simone Weil scrisse queste Riflessioni, vero talismano che dovrebbe proteggere chiunque è costretto ad attraversare l’immenso ammasso di menzogne che circonda la parola «società». Come sempre nelle parole più ovvie, in essa si cela una realtà segreta e imponente, che agisce su di noi anche là dove nessuno la riconosce. La Weil è stata la prima a dire con perfetta chiarezza che l’uomo si è emancipato dalla servitù alla natura solo per sottomettersi a un’oppressione ancora più oscura, ancora più capricciosa e incontrollabile: quella esercitata dalla società stessa, poiché «sembra che l’uomo non riesca ad alleggerire il giogo delle necessità naturali senza appesantire nella stessa misura quello dell’oppressione sociale, come per il gioco di un equilibrio misterioso». Da questa intuizione centrale si diparte, con cristallina virtù argomentativa, una sequenza di ragionamenti che svelano nei meccanismi del potere come in quelli della produzione e dello scambio altrettanti volti di una stessa idolatria. Scritto quando Hitler era al potere da pochi mesi e quando Stalin era venerato da gran parte dell’intelligencija come «piccolo padre» di una nuova umanità, questo testo non ha un attimo di incertezza nel delineare l’orrore di quel presente. Ma, come sempre nella Weil, lo sguardo è così preciso proprio perché va al di là del presente e percepisce un’immagine inscalfibile del Bene, in rapporto alla quale giudica il mondo. È uno sguardo che ci induce a «sfuggire al contagio della follia e della vertigine collettiva tornando a stringere per conto proprio, al di sopra dell’idolo sociale, il patto originario dello spirito con l’universo».
Il più intenso ritratto-racconto di Vienna, quando i suoi abitanti erano Robert Musil, Hermann Broch, Alban Berg o l’affascinante dottor Sonne che, seduto al suo tavolo del Café Museum, «parlava come Musil scriveva».
"Ci sono frontiere, dove stiamo imparando, e brucia il nostro desiderio di sapere. Sono nelle profondità più minute del tessuto dello spazio, nelle origini del cosmo, nella natura del tempo, nel fato dei buchi neri, e nel funzionamento del nostro stesso pensiero. Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l'oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato". Tale è il presupposto di queste "brevi lezioni", che ci guidano, con ammirevole trasparenza, attraverso alcune tappe inevitabili della rivoluzione che ha scosso la fisica nel secolo XX e la scuote tuttora: a partire dalla teoria della relatività generale di Einstein e della meccanica quantistica fino alle questioni aperte sulla architettura del cosmo, sulle particelle elementari, sulla gravità quantistica, sulla natura del tempo e della mente.
Queste parole del servo di Dio don Luigi Sturzo, nel Centenario dell'Appello a tutti gli uomini liberi e forti, interpellano la coscienza delle nostre comunità, a partire da uno dei punti del programma del medesimo Appello: "Libertà e indipendenza della Chiesa nella piena esplicitazione del suo Magistero spirituale. Libertà e rispetto della coscienza cristiana considerata come fondamento e presidio della vita della nazione, delle libertà popolari e delle ascendenti conquiste della civiltà nel mondo". Ci chiediamo, dunque, se sia possibile rivitalizzare lo straordinario patrimonio ideale promosso da don Luigi Sturzo, per dare nuova cittadinanza a quell'umanesimo ordinato secondo lo spirito cristiano e indicare la possibilità di essere socialmente organizzati per rendere politicamente agibili i grandi valori del Cristianesimo. Prefazione del Card. Angelo Bagnasco.
Il volume affronta la didattica del museo, delle mostre temporanee, dell'arte contemporanea nel suo stretto legame con la didattica del patrimonio, con la scuola e gli insegnanti, nel riconoscimento di standard qualitativi e percorsi formativi per progetti ed educatori museali.
L'uso della violenza fisica nelle relazioni ci indigna e non abbiamo dubbi nel condannarlo con fermezza. Eppure il fenomeno ha dimensioni inquietanti, se è vero che secondo il Consiglio d'Europa una donna su 4 subisce violenza da parte del partner o ex partner nel corso della vita. Bisogna guadagnare una "giusta distanza" dalla quale guardare alla violenza domestica, trovare un modo per parlarne e rifletterne che la avvicini alla nostra esperienza, cercando di comprendere i meccanismi che la governano e i codici culturali che la favoriscono. "Da uomo a uomo" non è un libro sulla violenza ma un libro che mette a fuoco la distanza che mettiamo tra noi e la violenza: grazie alle testimonianze raccolte al Centro di Ascolto Uomini Maltrattati, dà voce a uomini che raccontano la loro esperienza, non solo chi ha avuto un passato di violenza agita, e ha poi scelto un percorso di consapevolezza e cambiamento, ma anche operatori e uomini "normali", che si interrogano sulla propria relazione con la violenza nei rapporti personali e familiari. Perché siamo tutti parte del problema, ma proprio per questo possiamo anche diventare parte della soluzione.
Qual è il ruolo dell'educazione in un tempo che ha smarrito una chiara visione del futuro e in cui l'idea di un modello unico e condiviso di umanità sembra essere il residuo di un'era ormai conclusa? Quale ruolo dovrebbero rivestire gli educatori ora che i giovani vivono una profonda incertezza rispetto al loro futuro, i progetti sono diventati più difficili, le norme tradizionali sono meno autorevoli e flussi sempre più cospicui di persone hanno creato comunità variegate in cui diverse culture si ritrovano a vivere vicine senza più essere unite dalla convinzione che l'altro verrà prima o poi assimilato alla "nostra" cultura? Posti di fronte alle sconcertanti caratteristiche del nostro mondo liquido moderno, molti giovani tendono a ritirarsi - in alcuni casi nella rete, in giochi e relazioni virtuali, in altri casi nell'anoressia, nella depressione, nell'abuso di alcol o droghe - nella speranza di proteggersi così da un universo oscuro e vorticoso, altri si lanciano in forme di comportamento più violento. In questo breve libro Zygmunt Bauman, qui in conversazione con Riccardo Mazzeo, riflette sulla situazione dei giovani d'oggi e sul ruolo dell'educazione e degli educatori.
Psicoanalisti e pazienti con tendenze omicide. Analisti e pazienti vendicatori. Uno psicoanalista inconsapevole protagonista di un triangolo amoroso. Una psicoanalisi messa al bando in un prossimo futuro in una Roma ipertecnologica, buia e sotterranea. Insomma, tutto quello che "In treatment" non ha voluto raccontarvi.
Il 9 gennaio 2020 l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato che le autorità sanitarie cinesi hanno individuato un nuovo ceppo di coronavirus mai identificato prima nell'uomo e classificato con il nome di SARS-CoV-2. Il 21 febbraio 2020 è la data del primo caso autoctono in Italia. Così, da quando è cominciata l'emergenza sanitaria, le professioni di cura e di aiuto si sono trovate, nei diversificati setting del servizio sanitario nazionale, non solo a vivere in prima persona l'alto rischio di contagio, ma anche a fare i conti con un sovraccarico emotivo prima mai contemplato. A questo si aggiunga che, alla necessaria circoscrizione delle zone COVID 19, ha fatto seguito un fatto di eccezionale rilevanza: il confinamento domiciliare dei cittadini "liberi" di un'intera nazione. Le suggestioni prodotte dalla repentina chiusura, al pari dell'ingresso nei luoghi della pena, richiamano, non solo i campi, le conoscenze e le competenze degli argomenti declinati nel titolo del presente volume, ma anche il vigore di passioni e di sentimenti che caratterizzano e muovono l'individuo nel suo sociale, nell'evidenza di tumultuosi viaggi e non sempre facili approdi.
Il libro nasce con due obiettivi. Il primo è didattico/formativo. Desideriamo comunicare ai colleghi più giovani, in crescita e sviluppo professionale, quello che riteniamo di avere imparato e capito in tanti anni, svolgendo attività professionale, formazione, supervisione, ricerca, elaborazione teorico-clinica. Il testo pone molta attenzione alla centralità dei pazienti, ognuno diverso dall'altro, ognuno con la propria specificità; alla relazione terapeutica, all'analisi del set(-ting) che si adopera. Alla necessità di tenere conto dei confinanti/interagenti: neuroscienze e realtà biologica, tenendo in considerazione il livello etnico/antropologico/familiare ecc. Con i colleghi più "maturi" ci auspichiamo di poter dialogare. Il secondo obiettivo è quello di cercare di contribuire allo sviluppo e alla qualità della psicoterapia. Disciplina, oggi, molto più consapevole che in passato ma, contemporaneamente, assai variegata, sfaccettata, diversificata: rigorosa o naif, aperta o fideistica rispetto ai modelli; con approfondita attenzione in senso terapeutico o inconsapevole ingenuo tirare avanti: legato all'interesse del professionista più che alla responsabilità della cura.