
Maestro della scuola filosofica di Milano, Carlo Sini ha formato le menti di diverse generazioni di giovani che gli devono la passione per la bella fatica del pensiero. In questo libro denso di teoria e poesia Sini spiega l'essenza di ogni riflessione. Il pensiero è carne e forma di se stesso. La distinzione tra il contenuto e il metodo della riflessione filosofica è artificiosa, oltre che dannosa. In un percorso a tutto tondo nella filosofia, da Platone a Nietzsche, Sini fa toccare con mano le alte vette della teoresi, dove l'aria pungente diventa la materia stessa del pensiero. Un itinerario che ci restituisce a noi stessi, cresciuti e forti della capacità di pensare con mente indipendente.
"Gli uomini sono ospiti del pianeta, al pari di innumerevoli altre forme di vita, ma si sono arrogati il diritto di considerarsi speciali e al di sopra, dominatori onnipotenti e signori." (Carlo Sini)
Se c'è una cosa che mi dispiace è che la trascrizione non consenta di ascoltare il suono della sua risata contagiosa né di mostrare l'espressione infantile dei suoi stupori. Risate e stupori di un filosofo, questo essere non completamente reale.
Fabio Anibaldi
Il volume di Carlo Sini e Fabio Anibaldi inaugura la nuova collana Palafitte delle Edizioni Gruppo Abele. Una collana fatta di dialoghi, pensieri, discussioni.
Quando due persone si incontrano e ragionano insieme, nasce qualcosa di nuovo e vitale
Posto di fronte ai problemi del nostro tempo - a partire da quella crisi che emerge ormai come un redde rationem per l'intero Occidente - un filosofo mostra in concreto cosa significhi fare filosofia. Non solo riflettere sulle "cose", ma chiedersi a quali condizioni sia possibile farlo. Da quale luogo parliamo? E che valore di verità hanno analisi che pretendono di parlare del mondo come se non fossero anche loro eventi del mondo? Il pensiero di Carlo Sini porta questa riflessione alle estreme conseguenze. Ed è perciò - ribadisce Sini - un esercizio etico prima che teoretico. Denunciare i paradossi delle scienze "oggettive" significa mettere in dubbio la nostra stessa consistenza di "soggetti". Esercizio certo perturbante ma salutare, perché capace di aprire l'esistenza individuale alla coscienza della vita anonima che sempre ci abita: vita di tutti e di nessuno, libera dall'ipoteca dell'identità e dalle sue funeste ansie di possesso
Carlo Sini ha insegnato per oltre trent'anni filosofia teoretica presso l'Università Statale di Milano. Ha scritto una quarantina di libri. Tra i più recenti L'uomo, la macchina, l'automa (Bollati Boringhieri, 2009), Del viver bene (Jaca Book, 2011), Il sapere dei segni (Jaca Book, 2012). Presso Jaca Book è in corso la riedizione delle sue opere.
Fabio Anibaldi è stato condirettore di Narcomafie e responsabile dell'ufficio stampa del Gruppo Abele. Ha pubblicato La quiete sotto la pelle (Frassinelli, 1996)
La questione della scrittura, che occupa una posizione cruciale nella filosofia di Sini e alla quale è interamente dedicato il terzo volume delle sue Opere, negli scritti raccolti in questo secondo tomo del volume viene affrontata nella prospettiva inedita di ciò che l'autore chiama "foglio-mondo". Con questa espressione, liberamente mutuata da Charles Sanders Peirce, Sini si riferisce anzitutto al segreto della soglia filosofica e alle peculiarità della sua scrittura. Le trasformazioni storiche che l'hanno caratterizzata da Pitagora a Socrate e Platone, da Aristotele sino a Kant e a Hegel, culminano nel tentativo di trascrivere la verità del mondo nelle figure ultimative del logos concettuale: tentativo che sempre di nuovo ripropone l'incolmabile cesura fra la vita del sapere e le sue transeunti scritture. Il foglio-mondo diventa allora, più in generale, metafora di ogni sapere in quanto evento di scrittura ed elaborazione nascosta dei suoi mutevoli supporti, vanamente tesi a circoscrivere il mondo dal quale si originano e nondimeno efficaci e irrinunciabili nell'inscrivere percorsi di vita nel mondo a cui appartengono. La seconda parte del libro e le Appendici ripensano in questa luce l'eredità fenomenologico-ermeneutica, pervenendo a un confronto critico con Husserl e Heidegger e con i loro cammini fruttuosamente aporetici.
Il terzo volume delle Opere di Sini (La scrittura e i saperi) è interamente dedicato al nodo che stringe le forme, i supporti e i contesti delle pratiche di scrittura ai saperi che in esse si costruiscono e istituiscono. In questo primo tomo (L'alfabeto e l'Occidente) è documentato il cammino genealogico attraverso il quale, tra gli anni Ottanta e i Novanta, l'autore è giunto a formulare una delle tesi più note e originali della sua filosofia: l'esercizio della scrittura alfabetica, con le sue specificità rispetto a ogni altra modalità grafica, è la condizione pratica che ha reso possibile la nascita dei saperi concettuali e "desomatizzati", su cui si fonda la nozione occidentale di verità. Il percorso verso tale nozione di verità, che è il centro dell'intera enciclopedia filosofico-scientifica, è ricostruito da Sini nei suoi passaggi cruciali, dal mondo dell oralità alle civiltà della scrittura, fino alla "invenzione" dell'alfabeto e alla nascita della "mente logica" come luogo in cui emergono i tratti di una episteme universale: anelito incompiuto, istanza illusoria o concreto esito planetario di quell'Occidente che, oggi quanto mai, chiede di essere nuovamente interrogato, nella sua determinatezza storica e nelle sue - troppo spesso obliate - operazioni fondative. Il ricco apparato delle Appendici raccoglie saggi e articoli che documentano la vastità di orizzonti entro i quali Sini ha condotto la sua indagine intorno alle diverse pratiche di scrittura.
Vivere insieme nella città non è una scelta ma un destino, che da qualche tempo coinvolge la maggior parte degli abitanti del pianeta. Legato agli sviluppi della globalizzazione economica e tecnologica, questo fatto pone problemi nuovi agli urbanisti e a tutti noi. Come vivere insieme nella attuale città plurale, nelle grandi città-mondo che mescolano il sublime e il kitsch, la bellezza e l'orrore? Come fronteggiare la crescita inarrestabile delle disuguaglianze tra la città dei ricchi e la città dei poveri? Come favorire aggregazioni compossibili e risolvere questioni ambientali ed ecologiche di proporzioni mai conosciute? Domande ineludibili e problemi urgenti: la questione urbanistica è oggi la questione stessa del sapere.
Il nostro è il secolo della biologia, perché la biologia, come potrebbe dire Husserl, è la scienza delle decisioni ultime ed è insieme il luogo ambiguo dell'umano e della sua verità. Le straordinarie scoperte delle scienze biologiche, gli orizzonti inusitati della biologia sintetica ripropongono oggi, in veste nuova, la domanda kantiana: che è uomo? I nuovi confini della socio-biologia, l'introduzione rivoluzionaria di nuovi concetti come quello di con-dividuo si pongono qui al centro di un appassionato dialogo nel quale un biologo e un filosofo affrontano costruttivamente la sfida principale del sapere contemporaneo. L'immagine dello specchio di Dioniso, metafora della unità della vita e della sua infinita frammentazione, suggerisce che il divenire umano dei corpi biologici è un cammino di conoscenza e di civiltà e non un presupposto dogmatico.
"Vent'anni fa Jean-François Six e l'associazione Diritti dell'uomo e della solidarietà hanno cominciato a praticare la mediazione, che ha preso ben presto la forma di un Centro nazionale della mediazione. Oggi, la mediazione è di moda: basti pensare ad esempio che il Consiglio economico e sociale realizza, su richiesta del Primo Ministro, un rapporto sulla mediazione, descritta secondo un concetto vago, e che il Ministro delegato alla Famiglia e all'Infanzia richiede un rapporto sulla mediazione familiare, che non dà nessuna definizione del concetto di mediazione in generale o della mediazione familiare in particolare. Un seminario a cura di quarantadue esperti europei, organizzato dalla delegazione interministeriale alla Città, nell'ambito della presidenza francese dell'Unione Europea (settembre 2000), propone la seguente definizione: La mediazione sociale è definita come un processo di creazione e di riparazione del legame sociale e di regolamento dei conflitti della vita quotidiana, nel quale un terzo imparziale e indipendente tenta, attraverso l'organizzazione di scambi tra persone o istituzioni, di aiutare a migliorare una relazione o a regolare un conflitto che li oppone. Si potrebbero trovare numerose altre definizioni. La parola «mediazione» è, infatti, usata in modo superficiale e vago e soffre di un «sovraccarico semantico». La sua significazione si è moltiplicata in seguito alla proliferazione dei mediatori. È per questa ragione che Jean-François Six e Véronique Mussaud intendono «decriptare» la parola." (dalla prefazione)
Che cosa intendiamo per "vita buona"? Quali e quanti beni devono esserci garantiti per poterla vivere? Queste domande nascono dalla generale incertezza sul futuro e dalla quotidiana difficoltà nel soddisfare bisogni in continua espansione, in un'epoca in cui il capitalismo economico-finanziario inizia a mostrare tutte le sue contraddizioni: da un lato il culto del profitto e della ricchezza come valori universali, dall'altro la creazione, all'interno delle stesse società industrializzate, di enormi disparità di reddito e di sacche di povertà mai conosciute prima. Robert Skidelsky, economista, e suo figlio Edward, docente di filosofia, riprendono la celebre previsione di Keynes, rimasta irrealizzata, secondo la quale in Occidente, all'inizio del Terzo millennio, avremmo avuto "abbastanza" per soddisfare tutte le nostre necessità lavorando non più di tre ore al giorno, e la utilizzano come spunto di riflessione per capire l'origine del nostro malcontento e trovarne il rimedio. Lo smisurato ampliamento della sfera dei bisogni, l'aumento delle ore di lavoro a scapito del tempo libero e il conseguente abbassamento della qualità della vita impongono un profondo cambiamento di prospettiva: non dobbiamo più chiederci che cosa serve per raggiungere il benessere, ma che cosa sia davvero il nostro bene. Attingendo alle lezioni della sociologia (da Weber a Veblen), al pensiero filosofico (Aristotele in particolare) e alle più intuitive teorie economiche (da Kaldor a Frank)...
Questo lavoro di Quentin Skinner è una lettura innovativa della filosofia politica hobbesiana. Ricostruendo la cultura umanistica inglese dell'età dei Tudor e il suo recupero della retorica classica, Skinner prende in esame la prima formazione intellettuale di Hobbes. Mette in luce, poi, come Hobbes si sia ribellato alla propria educazione umanistica e, negli "Elements" e nel "De cive", abbia cercato di fondare una scienza della politica, sul modello della geometria euclidea. Nel "Leviathan", invece, si mostra un cambio di rotta e Hobbes fa largo uso di strategie retoriche nell'elaborazione della sua filosofia politica. Secondo Skinner, in quelle pagine Hobbes combina opportunamente ragione ed "eloquenza", fornendoci un testo che non può essere compreso se non si è consapevoli della sua dimensione retorica. Nel suo insieme, "Ragione e retorica nella filosofia di Hobbes" mette in rilievo due concezioni contrapposte della natura dell'argomentazione morale e politica: il modello deduttivo, "geometrico", che Hobbes fa proprio in un primo tempo e che è stato da allora largamente dominante, e l'opposto modello umanistico e retorico, con il suo accento sul dialogo e sulla negoziazione, che Skinner qui sollecita a riprendere in considerazione. Una nuova prefazione, scritta dall'autore per l'edizione italiana, approfondisce alcuni nodi interpretativi e concettuali toccati nel testo

