
Innescata dallo scoppio della bolla immobiliare nel 2006 e culminata il 15 settembre 2008 nel crack della Lehman Brothers, la prima grave crisi finanziaria dell’era globale ha investito violentemente ogni parte del mondo, dalle borse del Regno Unito e dell’Europa fino alle fabbriche dell’Asia, del Medio Oriente e dell’America latina, e ha determinato un radicale riassetto della governance internazionale. Negli Stati Uniti e nei paesi occidentali ha provocato un generale impoverimento del ceto medio, un ripensamento della natura della democrazia capitalistica e, con un effetto domino la cui prima conseguenza è stata l’esplosione di una serie di crisi geopolitiche lungo tutto il perimetro esterno dell’Unione europea, dalla Tunisia alla Crimea, ha portato alla guerra in Ucraina, al collasso della Grecia, alla Brexit e alla vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali americane del 2016.
Con la sua poderosa ricostruzione del decennio di crisi finanziarie appena trascorso e delle risposte economiche, politiche e geopolitiche che a esse sono state date, Adam Tooze ci mostra che per comprendere gli sconvolgimenti epocali in corso è necessaria una profonda riflessione su alcuni temi di fondo: il carattere casuale e caotico dello sviluppo economico e le rotte imperscrutabili del debito; le invisibili trame che legano paesi e regioni in rapporti di interdipendenza acutamente asimmetrici, frutto di una incolmabile e crescente disparità in termini di capacità di investimento e di potere politico e militare; le modalità con cui le crisi finanziarie hanno interagito con il successo planetario di Internet e dei social network; la sofferenza della classe media americana, l’ascesa della Cina e le lotte globali per i combustibili fossili.
Alla luce di questo nuovo scenario, Tooze valuta, con le armi dello storico, la portata di eventi che si configurano come una delle grandi crisi della modernità, al pari della prima guerra mondiale, e formula alcune domande cruciali – come si accumulano rischi enormi, poco compresi e poco controllabili? siamo entrati nella crisi ingenuamente, come sonnambuli, o spinti da forze oscure? di chi è la colpa del disastro che ne è derivato? in che modo le passioni politiche del popolo influenzano il processo decisionale dell’élite? e in che modo i politici sfruttano tali passioni? – riguardo alle reali prospettive di un ordine mondiale liberale, stabile e coerente.
Una gelida serata invernale, una sperduta stradina di campagna imboccata per evitare le code in autostrada, la potentissima auto superaccessoriata all'improvviso in panne, il navigatore e lo smartphone desolatamente muti e, intorno, una fitta nebbia: tutto sembra congiurare contro il rientro in città, quel venerdì sera, di un giovane manager frenetico. Alla ricerca di un telefono per chiedere aiuto, finisce per bussare al portone di un'antica e isolata abbazia. Accolto da un rustico padre portinaio sottilmente ironico e da un sereno abate dalle perspicaci doti introspettive, il manager si scontra subito con l'essenzialità della vita monastica. A poco a poco, però, il suo spaesamento e la sua impaziente irritazione iniziale si stemperano, finendo per trasformare il pernottamento in un viaggio alla scoperta di una realtà solo in apparenza lontana da quella fuori delle mura dell'abbazia e, soprattutto, in un viaggio dentro se stesso. A fargli da guida i dialoghi con l'abate e il padre portinaio, e con i loro confratelli (il bibliotecario, lo speziere, l'ortolano), su temi universali come politica, economia e bene comune, ecologia e ambiente, verità e fake news, ruolo delle donne, apertura al mondo. Chi dei due ha più da insegnare all'altro? È il monaco che ha bisogno del manager o il manager del monaco? Nell'irreale silenzio che abita gli antichi spazi del chiostro il manager scoprirà un modo nuovo di essere leader. Quello della sfida del Pope Francis' Style. Così come l'abito non fa il monaco, infatti, il ruolo non fa il manager. Abituato a dare lezioni di management e a gestire problemi-eventi-persone, l'ospite imparerà che niente è pericoloso come l'illusione di avere potere sugli altri. Usato come sostantivo, infatti, il potere è un motivetto che si fischia da soli. Diventa una sinfonia solo se inteso come verbo: poter essere, poter fare, poter guidare, poter decidere. E per essere suonata, una sinfonia richiede sia la capacità del direttore d'orchestra di amalgamare le voci di strumenti distinti, sia l'abilità dei singoli, che dovranno dare il meglio di sé, in armonia con tutti. In "Se ne ride chi abita i cieli", don Giulio Dellavite affronta, attraverso la lente particolarissima della cultura monastica, tutti i temi cari ai manager di oggi: dal pensare in ottica relazionale alla gestione delle organizzazioni, dai modelli di leadership responsabile alle migliori strategie per vivere il cambiamento. Così facendo, attualizza insegnamenti millenari e suggerisce a chi legge che la vera grandezza sta nel non perdere mai di vista la propria dimensione interiore, spirituale. Soprattutto, la propria umanità.
I virus prendono il sopravvento, il clima si riscalda e la Terra si sta rinaturalizzando. Abbiamo a lungo pensato di poter costringere il mondo naturale a adattarsi alla nostra specie e ora siamo costretti a adattarci noi a un mondo naturale imprevedibile. Questo mette in discussione la concezione del mondo a cui siamo da tempo affezionati. E, di fronte al caos che si sta dispiegando intorno a noi, ci ritroviamo senza una valida strategia. Il noto teorico dell'economia e della società Jeremy Rifkin ci invita quindi a un radicale ripensamento della concezione del tempo e dello spazio. Perché, come osserva in questo libro, l'Età del Progresso, un tempo considerata sacrosanta, è ormai al tramonto, mentre una nuova e potente narrazione è in ascesa: l'Età della Resilienza. Durante l'Età del Progresso la regola aurea era l'efficienza, che ci imprigionava nell'incessante sforzo di ottimizzare l'espropriazione, la mercificazione e il consumo dei doni della Terra, con l'obiettivo di accrescere l'opulenza della società umana, ma al prezzo del depauperamento della natura. Nella nuova era, invece, l'efficienza sta cedendo il passo all'adattività portando con sé profondi cambiamenti nell'economia e nella società. La generazione più giovane, a sua volta, si sta riorientando dalla crescita alla prosperità, dal capitale finanziario al capitale ecologico, dalla produttività alla rigeneratività, dal prodotto interno lordo agli indicatori della qualità della vita, dall'iperconsumo all'ecogestione, dalla globalizzazione alla glocalizzazione, dalla geopolitica alla politica della biosfera, dalla sovranità dello Stato-nazione alla governance bioregionale e dalla democrazia rappresentativa alle assemblee di cittadini. In un momento in cui la famiglia umana guarda con angoscia al futuro, Rifkin ci apre una finestra su un nuovo e promettente mondo e su un futuro radicalmente diverso che può offrirci una seconda opportunità di prosperare sulla Terra.
Una nuova visione sul futuro dell'umanità sta rapidamente guadagnando slancio. Di fronte a un'emergenza climatica planetaria, una giovane generazione sta promuovendo un dibattito sull'ipotesi di un Green New Deal e dettando il programma di un audace movimento politico capace di rivoluzionare la società. Sono i Millennial a farsi carico del problema del cambiamento climatico. Se il Green New Deal è diventato un tema fondamentale nella sfera politica, nel mondo delle imprese sta emergendo un movimento parallelo che nei prossimi anni scuoterà le fondamenta dell'economia globale. Settori chiave dell'economia si stanno prontamente sganciando dai combustibili fossili a favore dell'energia solare ed eolica, più a buon mercato e accompagnate da nuove opportunità di business e occupazione. Nuovi studi stanno suonando l'allarme: migliaia di miliardi di dollari in combustibili fossili per i quali non esiste più un mercato potrebbero creare una bolla suscettibile di scoppiare entro il 2028, provocando il crollo della civiltà dei combustibili fossili. Il mercato sta parlando e i governi, se vogliono sopravvivere e prosperare, dovranno adattarsi. In questo libro Jeremy Rifkin, teorico dell'economia, espone il pensiero politico e il piano economico per il Green New Deal di cui abbiamo bisogno in questo momento critico. La convergenza fra la bolla dei combustibili fossili fuori mercato e una visione politica verde apre la possibilità di un passaggio a un'era ecologica post carbonio, in tempo per prevenire l'aumento della temperatura che ci farebbe superare il limite oltre il quale tornare indietro diverrebbe impossibile. Con venticinque anni di esperienza nel promuovere cambiamenti simili a questo nell'Unione europea e nella Repubblica popolare cinese, Rifkin presenta la sua visione su come rivoluzionare l'economia globale e salvare la vita sulla Terra.
«Ancora una volta Jeremy Rifkin ha messo la sua brillante mente al servizio delle maggiori sfide dell'umanità, mostrando in termini convincenti come il modo di procedere cui siamo abituati, in campo economico, debba assolutamente mutare. "Green New Deal" è una chiara tabella di marcia per il passaggio dell'economia statunitense a un'era post carbonio e una visione stimolante di quella che potrebbe essere l'opportunità economica più promettente della nostra vita. È una lettura obbligata per investitori, imprenditori e politici.» (Sir Richard Branson)
La pubblica amministrazione è il più grande erogatore di servizi e il maggiore datore di lavoro italiano: da essa dipendono circa tre milioni e trecentomila addetti. È un organismo che si è andato costruendo lentamente, essendo il frutto della storia e dei principi che lo hanno plasmato. Per dimensioni e poteri svolge inoltre un ruolo fondamentale nel sistema politico, condizionando la democrazia. Si comprende, quindi, come dalla sua buona organizzazione e dal suo funzionamento dipendano il benessere dei cittadini e il successo dello Stato. L'amministrazione è al centro di una duplice tensione. È indispensabile, perché non c'è politica pubblica che non faccia capo a essa, e tuttavia viene ritenuta il regno del bizantinismo, delle complicazioni, della corruzione, e criticata perché non funzionale al processo economico. Alle sue difficoltà strutturali si aggiungono l'«esondazione» del Parlamento, diventato co-amministratore, e la debolezza dei governi (il suo organo di guida), per la loro breve durata. I governi tuttavia non sono gli unici responsabili della sua gestione, poiché interi campi dell'azione pubblica sono ora nel dominio di forze politiche multinazionali, come organismi sovranazionali e Big Tech, di cui è importante tenere conto. Alla luce di questi presupposti, l'autore analizza i fattori di crisi dell'amministrazione pubblica e ne indica i possibili rimedi. Propone di iniziare dai prodotti, per poi passare ai processi produttivi, ai modelli organizzativi e procedurali, al personale e alle sue motivazioni, al contesto, ai saperi e alla cultura amministrativa. Perché la pubblica amministrazione sia in grado di gestire i grandi interessi collettivi, è bene partire dall'aspetto più importante: ciò di cui ha bisogno il Paese.
Il nostro futuro si giocherà in Africa. Il mondo la osserva con un'attenzione nuova. È il baricentro demografico del pianeta: lì si concentrerà la crescita della popolazione in questo secolo, mentre la denatalità avanza altrove. Un'altra sfida riguarda le materie prime, in particolare materiali strategici nella transizione verso un'economia sostenibile: molti dei minerali e metalli rari indispensabili per i pannelli solari o le auto elettriche vengono estratti in Africa. Del continente gli italiani conoscono solo una narrazione pauperistica e catastrofista. L'Africa è descritta come l'origine della «bomba migratoria» che si abbatterà su di noi. Viene compianta come la vittima di tutti gli appetiti imperialisti e neocoloniali: quelli occidentali o la nuova invasione da parte della Cina. Fa notizia solo come luogo di sciagure e sofferenze: conflitti, siccità e carestie, sfruttamento e saccheggio di risorse, profughi che muoiono attraversando il Mediterraneo. Dagli anni Settanta, quando si spensero le prime speranze di rinascita nell'epoca dell'indipendenza post-coloniale, l'Occidente ha mescolato la sindrome della pietà, i complessi di colpa e una «cultura degli aiuti umanitari» destinata a creare dipendenza e corruzione. Contro gli stereotipi s'impone una nuova narrazione. Ce la chiedono autorevoli personalità africane, che si riprendono il diritto di raccontare l'Africa così com'è davvero, senza piangersi addosso, ribellandosi ai luoghi comuni occidentali. L'Africa non è una nazione, è un continente immenso con diversità enormi, dal Cairo a Johannesburg, da Addis Abeba a Lagos. Non è solo sofferenza e fuga, come dimostra la sua straordinaria vitalità culturale. A New York, Londra e Parigi siamo invasi da romanzi, musica, film, pittura e mode creati da nuove generazioni di artisti africani. La diaspora brilla per le eccellenze: negli Stati Uniti i recenti immigrati dall'Africa hanno dato vita a una delle comunità etniche di maggior successo. Esiste un protagonismo africano. Sbagliamo quando descriviamo il continente soltanto come «oggetto» di manovre altrui (America, Cina, Russia, Europa). Senza ricadere nelle illusioni dell'Afro-ottimismo che già si sono accese e spente nei decenni passati, questo saggio è una provocazione contro la pigrizia intellettuale e un antidoto contro le lobby che usano l'Africa per i propri scopi. Il nostro sguardo deve cambiare perché lo sguardo degli africani su se stessi sta cambiando. Fallito il modello degli aiuti, fallite le dittature e gli statalismi, mentre c'è chi tenta di importarvi il «modello asiatico», noi europei dobbiamo uscire dalla nostra passività. Quasi un ventennio fa, Federico Rampini fece scoprire agli italiani un'Asia nuova, in vorticoso cambiamento, con Il secolo cinese e L'impero di Cindia. Oggi affronta con lo stesso approccio spregiudicato il Grande Sud globale, guidandoci nella sua riscoperta senza paraocchi, da testimone in presa diretta, attraverso reportage di viaggio e dando la voce a personaggi che fanno la storia.
L'immagine delle Aule parlamentari, in cui avvengono i confronti - o spesso gli scontri - fra maggioranza e opposizione per decidere il futuro del nostro paese, è certo familiare a ogni cittadino. Non molti, invece, possono affermare di sapere con chiarezza come funzioni il sistema politico italiano e cosa accada realmente nei palazzi del potere. A raccontarlo in queste pagine, con ironia e attraverso numerosi aneddoti personali, è Carlo Cottarelli che, oltre ad aver ricoperto per otto mesi la carica di senatore nell'ultima legislatura, dopo le elezioni del 2018 venne incaricato di formare un governo nel corso di una crisi istituzionale senza precedenti. Attingendo alla sua esperienza diretta, Cottarelli esamina lo stato della nostra politica. Ne registra le storture, le inefficienze, le potenzialità perdute, descrivendo dal di dentro il funzionamento del nostro Parlamento e trattando, fra l'altro, temi di scottante attualità come il progressivo ridimensionamento del suo ruolo rispetto a quello del governo, il dibattito ormai ridotto a scontro tra fazioni opposte, gli stipendi di deputati e senatori, il bizantinismo delle pratiche, l'allontanamento dei cittadini dal voto, e cosa si può fare per riavvicinare i cittadini alla politica. E racconta per la prima volta in dettaglio quei quattro giorni che lo videro salire al Quirinale più volte nel tentativo di formare un nuovo governo. In "Dentro il Palazzo", Cottarelli restituisce una sincera fotografia delle nostre istituzioni e immagina come potranno evolversi la politica e l'economia italiana ed europea se proseguono le tendenze attuali, compresa la riforma costituzionale sul premierato.
Il tema della responsabilità sociale dell'impresa economica si sta affermando come determinante nel definire l'offerta di prodotti finanziari, anche grazie alla crescente domanda etica da parte dei clienti, consumatori e dipendenti. Tuttavia, il mondo della finanza etica e quello della finanza tradizionale sono percepiti come alternativi e spesso opposti. Ma è possibile aprire un dialogo tra queste due realtà? I valori della finanza etica possono contaminare il sistema creditizio? Il libro raccoglie interventi di Enzo Becchetti, Riccardo Della Valle, Giuseppe Gallo, Fabio Salviato, Sabina Siniscalchi, Laura Viganò, Alex Zanottelli.

