
L'onesto uso della memoria è il più valido antidoto all'imbarbarimento. E lo è in ogni stagione politica, in ogni momento del dibattito culturale, in ogni epoca della storia. Un uso onesto che, in quanto tale, presuppone non ci si rivolga al passato in cerca di una legittimazione per le scelte di oggi. Anzi, semmai, per individuare in tempi lontani contraddizioni che ci aiutino a modificare o a mettere a registro quel che pensiamo adesso. Ben diverso (e diffuso, purtroppo) è il ricorso a forzature della memoria come arma per farci tornare i conti nel presente. Un'arma usata con infinite modalità di manipolazione, che producono danni quasi irreparabili alla coscienza storica, deformano il passato, intossicano il ricordo collettivo anche dei fatti più prossimi. E che, come tale, merita di essere combattuta. Paolo Mieli ce lo dimostra attraversando secoli di storia, ricostruendo storie grandi e piccole, facendoci guardare a fatti apparentemente noti con un occhio diverso e disincantato, perché "infinite sono le leggi che regolano lo studio del tradimento nella storia. Ma due sono superiori alle altre. La prima: chi vince non verrà mai considerato un traditore. La seconda: il tradimento è questione di date, ciò che oggi è considerato un tradimento, domani potrà essere tenuto nel conto di un atto coraggioso".
In un Paese lacerato da divisioni che paiono insanabili, l'uso della memoria è utensile prezioso e strumento di potere. Paolo Mieli imbastisce una trama di storie, grandi e piccole, che dal lontano passato si intrecciano con le contraddizioni e gli inganni della recente storia d'Italia: ricostruzioni inconciliabilmente diverse di eventi, falsi storici, revisioni e riscritture. Alla ricerca di una risposta alle questioni più urgenti della nostra vita pubblica: come si esce dalla paralisi di una memoria divisa? Quali inganni si possono nascondere nelle riconciliazioni? È possibile, o utile, o auspicabile, dimenticare?
L'11 settembre 2001, Paolo Mieli ha inaugurato il suo colloquio con i lettori sulla pagina del "Corriere della Sera". "Una goccia cinese che pian piano è capace di scavare la più dura delle pietre: ecco cosa sarà quella pagina." Così aveva detto Montanelli accettando di tornare nel 1995 al "Corriere" a patto che potesse avere la sua "Stanza", la rubrica della posta. E quando Mieli, due mesi dopo la morte di Montanelli, fu chiamato a succedergli, quelle parole gli rimasero in mente: anche lui avrebbe provato a lasciare un segno sulla pietra. Giorno per giorno, sollecitato dai lettori e sotto l'incalzare di eventi drammatici, ha commentato i fatti della cronaca mondiale. Oggi quelle risposte diventano il diario di un anno decisivo.

