
"I dipinti di Caravaggio ci dicono cosa dovrebbe essere la pittura, e questo è uno dei suoi meriti incontestabili. Le qualità della perfezione vengono costantemente sospinte in avanti, verso il primo piano del dipinto, dove è impossibile non coglierle. Caravaggio comunica l'ansia e l'urgenza implicite nei meccanismi dell'espressione pittorica, riuscendo al tempo stesso a far compiere a questi stessi meccanismi miracoli assoluti. Oseremmo chiedere di più?". In appendice: "vita di Michelangelo Merigi da Caravaggio" di Giovan Pietro Bellori.
"Nel fondo della nostra essenza spirituale sembra albergare un dualismo, che ci impedisce di apprendere il mondo, la cui immagine penetra nella nostra anima come un'unità, ma scomponendovisi incessantemente in coppie di opposti [...], e ci vediamo come esseri che sono da un lato natura, dall'altro spirito; in cui l'anima distingue l'essere dal destino; nella cui dimensione visibile una sostanza solida e pesante combatte contro la fluidità del movimento, le sue oscillazioni, la sua aspirazione ad ascendere; in cui l'individualità si staglia su un'universalità, che sembra ora costituirne il nucleo, ora trascenderla come la sua idea. [...] La soluzione di tutti questi dualismi universalmente spirituali e cristianamente storici si offre, non appena sorgono la volta della Sistina, le statue del monumento a Giulio II, le Tombe Medicee. L'equilibrio e l'unità visiva dei più immani contrasti della vita sono raggiunti. Michelangelo ha creato un nuovo mondo popolato di esseri per i quali ciò che in precedenza stava soltanto in relazioni di accidentale avvicinamento o separazione, è, a priori, una sola vita; come se in loro ci fosse una misura prima ignota di forza nella cui corrente unitaria vengono trascinati tutti gli elementi, senza che la loro esistenza particolare possa resisterle." (Georg Simmel). Con uno scritto di Gyöorgy Lukács.
In “La filosofia dell'arte cristiana e orientale” sono raccolti alcuni importantissimi saggi di Ananda K. Coomaraswamy (1877-1947), il più grande storico dell'arte indiana e lo studioso che ha saputo realizzare al livello più alto l'incontro tra le civiltà dell'Oriente e dell'Occidente. Con immensa erudizione Coomaraswamy illumina in questi saggi i fondamenti della concezione indiana dell'arte, ma anche di quella dell'Occidente soprattutto medioevale, individuando le molteplici risonanze simboliche esistenti tra di esse. Secondo la concezione di Coomaraswamy, che intende rinnovare una verità antichissima e ormai perduta, l'opera d'arte è innanzi tutto «supporto per la contemplazione del sacro e dei princìpi eterni e immutabili che reggono il Tutto, e se questo suo carattere vien meno - come in gran parte dell'arte moderna, soprattutto in Occidente - essa si rende inutile e persino nemica dell'evoluzione spirituale dell'uomo e dei princìpi metafisici che devono improntare la sua esistenza». Uscito nel 2002, da anni esaurito e continuamente richiesto, “La filosofia dell'arte cristiana e orientale” viene ora riproposto con uno scritto di Grazia Marchianò, la massima studiosa italiana dell'opera di Coomaraswamy.
Il 16 novembre 1817 Goethe realizzò uno scritto sul Cenacolo di Leonardo da Vinci partendo da uno studio di Giuseppe Bossi, considerato il primo serio tentativo di analisi tecnica ed estetica del dipinto, nonché un potente stimolo al consapevole riconoscimento dell'unicità di quell'opera leonardiana. Pur rimanendo debitore alla sua "guida" italiana, Goethe non interpretò però il Cenacolo alla luce della sensibilità indagatrice e "antiquaria" dell'età neoclassica, ma innalzando il capolavoro a icona del genio universale con un coinvolgimento emotivo e un'enfasi retorica ormai decisamente romantici.
"La Visitazione è un soggetto relativamente poco trattato rispetto all'Annunciazione di cui potrebbe essere il complemento naturale, per non parlare ovviamente della nascita e dell'infanzia di Gesù [...] Nella Visitazione il divino resta celato e cifrato, ed è proprio questa dissimulazione o questo ritiro, questa assenza a costituire la manifestazione stessa [...] Dal punto di vista teologico la Visitazione non ha una particolare importanza. Ma dal punto di vista dell'arte, enuncia una verità di fondamentale importanza: quando l'arte era religiosa, non si identificava mai senza resto al religioso. Essa mescolava sempre al sacro anche il suo segreto, o anche: glielo sostituiva."
Una raccolta di foto che ritrae Salvador Dalì in vari momenti della sua vita. Con testimonianze di Brassai, André Breton, Luis Bunel, Federico Garcia Lorca.
"Si ha un bel ridire che Caravaggio è il fondatore di tutto il '600 europeo, che è quanto dire dell'arte moderna; un bel domandare come si farebbe a spiegare, storicamente, Velàzquez, o Rembrandt, o Vermeer, o Frans Hals tirando una tenda sui quadri di Caravaggio e lasciando alla vista, accanto, Giorgione, Tiziano, Tintoretto [...] per veder se sia proprio fra di essi ti filiazione diretta, o se non si senta mancar un anello in quella curiosa catena della storia dei pittori [...]; questo delle basi caravaggesche del '600 finirà per doventare un articolo, un domina accettato ma non accetto. Per ciò, forse - poiché anche il sentimento in arte è affare di educazione e di intelletto - è meglio condurre alla spontaneità di questo riconoscimento, attraverso preparazioni mediate; attraverso nessi storici secondari, pure esistenti e che meglio servano a specificare, a controllare, a guidare". Così Roberto Longhi inizia questo suo scritto giovanile dedicato a Orazio Gentileschi "il più meraviglioso sarto e tessitore che mai abbia lavorato tra i pittori" e alla figlia Artemisia "l'unica donna in Italia che abbia mai saputo cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità". Con uno scritto di Mina Gregori.
Fu in Germania che, nel Quattrocento, l'invenzione della stampa, dell'incisione e della xilografia fornì al singolo la possibilità di diffondere le proprie idee in tutto il mondo. Proprio mediante le arti grafiche la Germania assurse al ruolo di grande potenza nel campo artistico, grazie principalmente all'attività di un artista che, benché famoso come pittore, divenne una figura internazionale solo per le sue doti di incisore e xilografo: Abrecht Dürer. Le sue stampe per più di un secolo costituirono il canone della perfezione grafica e servirono da modelli per infinite altre stampe, come pure per dipinti, sculture, smalti, arazzi, placche e porcellane, non solo in Germania, ma anche in Italia, in Francia, nei Paesi Bassi, in Russia, in Spagna e, indirettamente, persino in Persia. L'immagine di Dürer, come quella di quasi tutti i grandi, è cambiata secondo l'epoca e la mentalità in cui si è riflessa, ma sebbene le qualità distintive della sua innegabile grandezza furono variamente definite, questa grandezza fu riconosciuta subito e mai messa in dubbio. Con un testo di Erwin Panofsky.
"Come orientamento generale, basterà dire quanto segue: i "Concetti fondamentali" sono sorti dalla necessità di offrire una più salda base all'analisi della storia dell'arte; non a un giudizio di valore, dunque, di cui qui non si parla, bensì alla definizione dello stile. A tale scopo è sommamente interessante conoscere la forma rappresentativa dinanzi a cui ci si trova volta per volta (conviene parlare di forme della rappresentazione piuttosto che di forme visive). La forma della rappresentazione visiva non è ovviamente qualcosa di esteriore, ma ha un'importanza determinante anche per il contenuto della rappresentazione, e in questo senso la storia del succedersi dei concetti figurativi è già storia dell'arte. Il modo di vedere o, come preferiamo dire, della rappresentazione visiva, non è sempre e ovunque identico, avendo, come tutto ciò che vive, una sua evoluzione. Vi sono gradi nella rappresentazione visiva di cui lo storico dell'arte deve tener conto. Si parla di modi di vedere arcaici e "immaturi", così come si parla, d'altra parte, di periodi di "arte matura" e di "arte tardiva". (...) Ora, nel presente volume non si vuole offrire un compendio di storia, ma si cerca di stabilire certi criteri di valutazione con cui si possono misurare, con una certa esattezza, i mutamenti storici e i caratteri nazionali."
Sono qui raccolti per la prima volta tutti i principali scritti di Edward Hopper, unitamente alle sue più significative interviste e alle più importanti testimonianze di coloro che lo conobbero. Sia le sue pagine, sia i racconti di critici e artisti che lo incontrarono, nello studio in Washington Square a New York, oppure a Cape Cod, nella casa affacciata sull'oceano che lui stesso aveva costruito all'inizio degli anni Trenta, restituiscono un ritratto suggestivo e illuminante di uno dei maestri della pittura del Novecento. Hopper si riconferma una figura elusiva ed enigmatica ("Non so quale sia la mia identità. I critici ti danno un'identità, e a volte tu gli dai una mano" dichiara lui stesso), ma le sue rare dichiarazioni sono una chiave imprescindibile per conoscerne la personalità, le convinzioni, gli amori intellettuali. Edward Hopper (Nyack 1882-New York 1967) è il maggior esponente del realismo americano del nostro secolo. La sua pittura, ispirata alla scena americana, dove compaiono case vittoriane e binari ferroviari, fari sulla costa atlantica e caffè solitari, distributori di benzina e immagini di strade cittadine, è al tempo stesso quotidiana e metafisica. La sua opera, come è stato detto, è un'icona del mondo contemporaneo.
"Il mio sbigottimento alla notizia della morte di Giorgio Morandi non è quasi tanto per la cessazione fisica dell'uomo, quanto, e più, per la irrevocabile, disperata certezza che la sua attività resti interrotta, non continui; e proprio quando più ce ne sarebbe bisogno. Non vi saranno altri, nuovi dipinti di Morandi: questo è, per me, il pensiero più straziante. E tanto più se ricordo quel che, ancora pochi giorni fa, egli mi diceva: " Se sapesse, caro Longhi, quanta voglia ho di lavorare"; ed anche: "Ho delle idee nuove che vorrei svolgere...". Parole che denunciano l'improprietà, pur molto diffusa, di assimilare il percorso di un artista, soprattutto se anziano, a una parabola. Nella costante lucidità di Morandi, esso fu piuttosto una traiettoria ben tesa, una lunga strada; speriamo che resti aperta. Quelle poche frasi, sussurratemi nei suoi ultimi giorni (ed altre ne riporteranno certamente gli amici più vicini), stupiranno anche i molti che in Italia si sono accomodati a credere in una certa immobile comodità della posizione di Morandi dinanzi ai suoi semplici "oggetti" disposti, scalati, variati, permutati; senza intendere che in quella sua lunga, instancabile, solenne "elegia luminosa" - come ebbi a chiamarla presentandone la mostra al " Fiore " di Firenze nel '45, il giorno stesso della liberazione di Bologna". (Roberto Longhi)