
"Mi sento inquieta, non riesco a stare ferma, quindi vado nello studio. A fare cosa ancora non so. Fisso lo scaffale, sposto i libri, come se cercassi qualcosa, e sto quasi cominciando a innervosirmi, quando intravedo una scatola di legno scuro. E un tuffo al cuore. In un attimo, mi scorrono davanti agli occhi lettere, telegrammi, biglietti, fotografie". Sono parole di Sophia Loren, la nostra attrice più amata, che fino a oggi non si era mai raccontata in un libro. Ma è stato forse l'avvicinarsi di un compleanno importante, o la casualità di ritrovare una scatola di lettere e fotografie, che ora l'ha spinta a farlo. Così è nata questa autobiografia in cui si dipana la vita di una bambina magra e scura scura, una ragazza insicura ma tanto bella "da far resuscitare i morti", una giovane napoletana che in pochi anni conquista il mondo. Quella di Sophia Loren, più che una storia, sembra una favola, compresa di balli, grandi prove e principi azzurri. Eppure, dietro la star, sorride una donna timida e determinata, che ha sofferto tanto, ha lavorato moltissimo, ha amato con passione autentica, sempre tinta di ironia. È lei a riportarci alla sua Pozzuoli dilaniata dalla guerra, alla Cinecittà dei primi kolossal americani, alla Napoli in bianco e nero di De Sica. Ma ci porta anche dietro le quinte, dove batte il suo cuore di moglie, madre, nonna, intorno alla famiglia che, da sempre, considera il suo film migliore.
Il 6 giugno 1962 i Beatles eseguono per la prima volta Love me do negli studi di Abbey Road. George Martin, responsabile dell'etichetta Parlophone, ha organizzato il provino e, dopo qualche settimana, propone al gruppo di firmare un contratto discografico. Da questo brano ormai mitico all'ultimo singolo inglese, Let it be, uscito nel marzo del 1970, poco prima dello scioglimento del gruppo, i Beatles registrano 13 album componendo oltre 200 canzoni. Grazie alle testimonianze di persone a loro vicine e di collaboratori dell'epoca, quest'opera fa luce sul processo creativo dei Fab Four. Tecniche di studio di registrazione, strumenti, innovazioni: tutto viene passato al vaglio per ripercorrere lo straordinario itinerario artistico di John, Paul, George e Ringo. Prefazione di Patti Smith.
L'arte della prima metà del Novecento è un vorticoso susseguirsi di movimenti e "ismi". Difficile dunque definirla in un sistema chiuso e immutabile, meglio, e forse più giusto, cercare di catturarne lo spirito di molteplicità e di contaminazione continua attraverso un programma di mostre temporanee, percorsi visivi, tematici o storici che tengono conto di connessioni, rimandi e affinità tra artisti anche apparentemente lontani. Il secolo breve, racchiuso fra l'illuminazione elettrica del cielo di Parigi dall'alto della Tour Eiffel per l'expo del 1889 e il lampo devastante del fungo atomico a Hiroshima, ha forgiato il nostro immaginario di uomini contemporanei, frantumando le certezze del secolo lungo. Con queste esposizioni immaginate Philippe Daverio percorre strade poco battute, e si allontana dai consueti percorsi scolastici, cercando piuttosto assonanze e migrazioni, incontri reali o fantastici fra opere e artisti. Klimt, Balla, Kandinskij, Picasso e alcuni altri diventano così i cavalieri dell'arte, che hanno gettato i semi e inventato le "forme" del Novecento, e alcuni temi come la danza, l'ansia dell'uomo contemporaneo e la città, sono i luoghi, reali o ideali, che raccontano la "joie de vivre", la frenesia e la solitudine dell'esistenza nel XX secolo.
"Questo non sarà mai un libro di Storia dell'Arte, con le due auliche maiuscole, non assomiglia a uno di quei tomi scolastici che hanno forse lasciato tedio e sonnolenza sui banchi di scuola, ma è piuttosto un viaggio esoterico nelle storie dell'arte." Forte della sua esperienza di autore e conduttore televisivo, Philippe Daverio non è mai banalmente divulgativo, non intende semplificare fenomeni complessi, ma affronta le vicende degli artisti, delle opere e dei committenti secondo un metodo d'indagine che è diventato la sua cifra personale: sa guardare da lontano o accostarsi per vedere da vicino. Ogni suo nuovo libro è un'avventura che apre nuove prospettive. Il "metodo Daverio" è applicato in questo caso al Rinascimento. Il periodo fondativo della cultura e dell'arte italiana acquista così nuova freschezza e vivacità, prende le mosse dalla pittura di Giotto, "un fulmine nella storia dell'arte", e si conclude con quel "talentaccio e caratteraccio" di Caravaggio, attraversando la curiosità anarchica di Leonardo, i cagnolini di Tiziano, l'eccentrica sensualità di Parmigianino e i sussulti religiosi di Michelangelo. L'allontanamento dalle categorie canoniche della storia dell'arte e la pratica dello spostamento del punto di vista si rivelano in particolare nelle Daveriologie, pagine nelle quali la curiosità impertinente dell'autore affronta nuove strade di lettura, attraverso accostamenti insoliti di capolavori e artisti lontani nel tempo e nello spazio.
"Ibsen, Shakespeare, Brecht..." Quando gli insegnanti del Centro universitario teatrale gli sottoposero una lista di autori da portare in scena, il giovane Luigi Proietti per poco non svenne: non ne aveva mai sentito nominare nessuno. Come tanti ragazzi cresciuti nella periferia della capitale, all'ombra del boom economico, Proietti pensava soprattutto alla musica e guardava all'America. Per lui l'unico palco era quello dei night club, dove suonava e cantava insieme agli amici di sempre. Si era iscritto per gioco a quel corso di recitazione, spinto dalla voglia di qualcosa di diverso: non poteva immaginare che quel "gioco" gli avrebbe cambiato la vita. Il "cantante dalla voce ritmico-melodica-moderna" dimostra subito una versatilità senza precedenti, un potenziale che esprimerà al meglio in "A me gli occhi, please" e negli altri one-man show scritti con Roberto Lerici, dei tour de force nei quali salta dal dramma al varietà lasciando il pubblico a bocca aperta. E in cinquant'anni di carriera Proietti ha conquistato generazioni di spettatori, contaminando la cultura "alta" e quella "bassa" senza pregiudizi. In "Tutto sommato" ci restituisce quella voglia di mischiare le carte in tavola, intrecciando le gioie della vita a quelle del palco e lasciando sempre sullo sfondo la sua Roma, città eterna e fragile, tragica e ironica, cinica e innamorata.
C'era una volta una grande tenda da circo, dove un giorno non si sentirono più i ruggiti dei leoni ma rumori di teatro: quel circo si era trasformato in un teatro tenda. Per lo spettacolo servivano un paio di pantaloni neri, una camicia bianca e una cassa che nel tempo si è riempita di personaggi e di storie e sonetti e novellacce, alcuni approdati sulla scena, altri rimasti nascosti nel camerino. A cominciare dalla grande rappresentazione sacra di Giubileo, passando da Gaetanaccio a Edmund Kean, Gigi Proietti, o meglio il dottor Divago, racconta in questo libro di mondi perduti e di altri vicinissimi a noi. Sono novellacce dietro le quinte, rubate tra una battuta di scena e l'altra, battibecchi fra le sarte e i giovani attori, ma anche squarci di cronaca come la decisione di quel sindaco che voleva cancellare S.P.Q.R. e sostituirlo con RoMe&You. E tra un racconto e l'altro fanno capolino molti sonetti e poesie, annotati di corsa dietro una scaletta, poco prima di cambiare l'abito e riaggiustare il trucco. Il risultato è un racconto nel racconto di pensieri arruffati, atti unici, odori, abitudini che segnano il ritorno di un grande affabulatore capace di far sorridere e commuovere con le sue cronache ad alto tasso di romanità. E non solo, perché questo diario-de-camerino è un'occasione per vedere il lavoro dell'attore da vicino, spiarne la meticolosità maniacale, l'incanto ossessivo che da finzione diviene realtà per ogni spettatore.
Non è facile definire la Cappella Sistina perché è tante cose insieme. È un luogo sacro: è da cinquecento anni la sede del conclave e, insieme, è la Cappella Magna, utilizzata dal pontefice per le cerimonie solenni. È uno stupefacente racconto per immagini che inizia con la Creazione e si conclude con il Giudizio universale. Ma non è solo questo. È la massima espressione della pittura del Rinascimento. E uno dei più importanti tesori artistici del mondo. E la meta di milioni di visitatori ogni anno. Ed è l'opera più famosa e completa di un genio, Michelangelo. Ma è anche il frutto del mecenatismo di grandi papi e della collaborazione di altri sommi artisti, da Perugino a Botticelli, da Ghirlandaio a Raffaello. In questo volume, Alberto Angela ci accompagna in un viaggio in cinque tappe per scoprire come ha preso forma questa grandiosa creazione dell'umanità. Con il linguaggio divulgativo che lo ha reso celebre, Angela racconta episodi storici e retroscena di questa straordinaria avventura creativa, descrive le tecniche e illustra gli affreschi, svelandone anche i dettagli e consentendo così a tutti di immergersi in una delle esperienze più significative della nostra cultura. Introduzione di Antonio Paolucci.
Un classico dell'architettura riproposto in una nuova edizione, il più possibile fedele a quella originale del 1957, pensata dallo stesso Gio Ponti come una "piccola architettura da tasca".
Attraverso lettere, taccuini inediti, fotografie mai viste e racconti di vecchi amici in questo libro si ricostruisce la carriera di alpinista di Walter Bonatti, a partire dagli anni dell'adolescenza sulla Grigna, attraverso le imprese storiche in Italia e nel mondo, fino all'addio all'alpinismo, con il superamento della parete Nord del Cervino nel 1965. Dopo il libro sulla sua vita e i taccuini di viaggio voluti dalla compagna Rossana Podestà, nuovi materiali sul suo rapporto con le montagne aggiungono un importante tassello alla sua vicenda di uomo e di sportivo. Introduzione di Michele Serra.
L'arte della prima metà del Novecento è un vorticoso susseguirsi di movimenti e "ismi". Difficile dunque definirla in un sistema chiuso e immutabile, meglio, e forse più giusto, cercare di catturarne lo spirito di molteplicità e di contaminazione continua attraverso un programma di mostre temporanee, percorsi visivi, tematici o storici che tengono conto di connessioni, rimandi e affinità tra artisti anche apparentemente lontani. Il secolo breve, racchiuso fra l'illuminazione elettrica del cielo di Parigi dall'alto della Tour Eiffel per l'expo del 1889 e il lampo devastante del fungo atomico a Hiroshima, ha forgiato il nostro immaginario di uomini contemporanei, frantumando le certezze del secolo lungo. Con queste esposizioni immaginate Philippe Daverio percorre strade poco battute, e si allontana dai consueti percorsi scolastici, cercando piuttosto assonanze e migrazioni, incontri reali o fantastici fra opere e artisti. Klimt, Balla, Kandinskij, Picasso e alcuni altri diventano così i cavalieri dell'arte, che hanno gettato i semi e inventato le "forme" del Novecento, e alcuni temi come la danza, l'ansia dell'uomo contemporaneo e la città, sono i luoghi, reali o ideali, che raccontano la "joie de vivre", la frenesia e la solitudine dell'esistenza nel XX secolo.
L'amicizia, il desiderio, l'arte, l'avventura di due amici che sfidano il passare del tempo. "Dell'infanzia non mi ricordo proprio niente. Solo una cosa continuo a ricordarla." "Quale?" "Il momento preciso in cui ho imparato ad andare in bicicletta. Sarò banale, ma che felicità! Proprio la felicità! E stamattina, come per incanto, per la prima volta, mi sono ricordato anche il momento successivo." "Il momento in cui sei caduto." "Come cazzo fai a saperlo?" "È stato così per tutti. Impari a fare una cosa, sei felice, e ti dimentichi di frenare." "Non è una grande metafora della vita?" "Ora non traiamo conclusioni affrettate, Mick." Proprio allora un ragazzino di undici anni passa in sella a una mountain bike. Fa tutta la strada su una sola ruota, in velocità, silenzioso come un fantasma. I due amici si voltano a guardarlo, estasiati. Poi Fred riflette e dice: "Sai una cosa Mick?". "Cosa?" "Io e te, secondo me, non moriremo mai." La sceneggiatura del film che si legge come un romanzo.
"Ibsen, Shakespeare, Brecht..." Quando gli insegnanti del Centro universitario teatrale gli sottoposero una lista di autori da portare in scena, il giovane Luigi Proietti per poco non svenne: non ne aveva mai sentito nominare nessuno. Come tanti ragazzi cresciuti nella periferia della capitale, all'ombra del boom economico, Proietti pensava soprattutto alla musica e guardava all'America. Per lui l'unico palco era quello dei night club, dove suonava e cantava insieme agli amici di sempre. Si era iscritto per gioco a quel corso di recitazione, spinto dalla voglia di qualcosa di diverso: non poteva immaginare che quel "gioco" gli avrebbe cambiato la vita. Il "cantante dalla voce ritmico-melodica-moderna" dimostra subito una versatilità senza precedenti, un potenziale che esprimerà al meglio in "A me gli occhi, please" e negli altri one-man show scritti con Roberto Lerici, dei tour de force nei quali salta dal dramma al varietà lasciando il pubblico a bocca aperta. E in cinquant'anni di carriera Proietti ha conquistato generazioni di spettatori, contaminando la cultura "alta" e quella "bassa" senza pregiudizi. In "Tutto sommato" ci restituisce quella voglia di mischiare le carte in tavola, intrecciando le gioie della vita a quelle del palco e lasciando sempre sullo sfondo la sua Roma, città eterna e fragile, tragica e ironica, cinica e innamorata.

