
Il volume comprende nove saggi che indagano incroci tematici e strutturali tra palcoscenico e racconto in ambito per lo più italiano, ovvero tra grandi cicli narrativi e riscontri degli stessi sulla scena. Si va dalla presenza e persistenza lungo i secoli della sottana del prete, della figura dell'ingenuo e del duello tra carta e ribalta. Si prosegue poi con prelievi nel territorio pirandelliano operati da Eduardo e Pasolini, quindi ritratti monografici sui due Levi, Primo e Carlo, e su Gadda, sempre nello scambio tra racconto e plot drammaturgico.
Una riflessione sulle forme estetiche della società di massa a partire dall’esperienza personale dell’autore: un percorso di lunga frequentazione dei media dello spettacolo, e una più recente attenzione verso i media della vita quotidiana e gli scenari tecnologici della condizione – sempre più postuma e oggettivamente marginale – dell’essere umano a fronte del mondo. Scritti a cavallo tra la fine del Novecento e l’inizio del nuovo millennio, i saggi raccolti in questo libro – La bellezza per te e per me, La Casa della Bellezza, Le lacrime di Bambi, Sensi, sensazioni, sentimenti – presentano connessioni tematiche che risulteranno sicuramente evidenti al lettore. Nuovi sono la loro collocazione e il loro assemblaggio, attualissimo è il nodo cruciale che li lega insieme: il rapporto tra sapere estetico e vocazione imperialista del soggetto moderno.
Che la bellezza sia fonte di dolore e di felicità lo sappiamo: abbiamo imparato sulla nostra pelle cosa significhi essere belli o brutti, quanto sia dolorosa l’esperienza di essere esclusi dalla sfera della bellezza in un mondo che ne è dominato e quanto esaltante l’avventura di apparire belli o di conquistare l’attenzione di chi ci sembra bello, avvenente, vincente. La bellezza è un premio o una punizione comune.
La scena che ci inquieta è quella duplice e parimenti dolorosa in cui sentiamo che il nostro corpo, il suo apparire alla presenza dell’altro, non viene giudicato bello, oppure il corpo, che a noi appare bello, si ritrae e ci nega. Avvenuta l’alchimia del desiderio, belli o brutti che si sia, la recita segue il copione sociale di una continua approssimazione alla bellezza. Su questa dinamica hanno prosperato le fabbriche ed i mercati dell’abbigliamento, della cosmetica, della ginnastica, della chirurgia estetica.
L’interpretazione freudiana del piacere non ha potuto fare molto a questo proposito. Ne ha preso atto. Così come le teorie critiche sulla civiltà dei consumi: negazioni di ciò che è innegabile.
L’esperienza ci insegna che la bellezza domina i nostri comportamenti e governa la felicità o l’infelicità delle nostre sensazioni. Quanto più la bellezza è prossima al nostro desiderio, compatibile con le nostre esigenze, tanto più siamo felici. Siamo stati educati sin dall’infanzia a questo meccanismo. A esso sono stati connessi i valori del benessere, della ricchezza, del successo, della sopravvivenza.
Qualunque politica, qualunque regime, qualunque apparato ha dovuto accettare il meccanismo della qualità formale dei processi e dei prodotti. Ci si è preoccupati di metabolizzare le dissonanze soltanto dentro questo grandioso scenario: tra Hollywood, la Corazzata Potëmkin e le grandi parate naziste esiste uno stesso cerimoniale.
Franco Battiato è stato un artista unico nel suo genere. Capace di rendere popolari teorie complicate e concetti filosofici di diversa provenienza, ha portato il grande pubblico a canticchiare sulle spiagge le teorie di Gurdjieff, diventando il primo artista in Italia a vendere un milione di copie con l'album La voce del padrone. Innumerevoli i suoi successi, da Centro di gravità permanente a Bandiera bianca, da Voglio vederti danzare a Prospettiva Nevski, passando per Gli uccelli, Segnali di vita, E ti vengo a cercare, La stagione dell'amore, L'ombra della luce, fino ad arrivare alla canzone d'amore più bella di sempre, La cura. Nel campo musicale Battiato ha composto di tutto: pop, rock, classica, opera e non ha mai smesso di sperimentare. La sua incontenibile curiosità, però, l'ha portato a frequentare anche i linguaggi del cinema e della pittura. Roberto Tardito ripercorre la vita e la parabola artistica del cantautore siciliano, raccontando gli interessi e le passioni, la sterminata produzione e l'attività concertistica di quello che non è stato un semplice «prodotto» discografico, ma un autore postmoderno, profondamente autentico nella sua continua tensione verso l'alto e verso l'altrove. Postfazione di p. Guidalberto Bormolini.
C'è chi prende tutto sul serio, anche le cose comiche. C'è chi si domanda chi è e dove va. C'è chi suona, chi canta e chi si distrugge di alcol e sostanze varie. C'è chi si ritiene vecchio a 30 anni e chi rinasce a 75. Sono le rockstar: guadagnano miliardi, vengono adorate da ragazzi di ogni estrazione sociale e spesso finiscono con il non sapere più chi sono e cosa stanno facendo. Circa trent'anni di interviste, recensioni, concerti, festival, incontri e reportage dal mondo del rock, e poi ancora rap e blues, country: è il contenuto di questo libro scritto da un cronista che nel corso della sua professione ha incontrato, e raccontato, alcuni abitanti del pianeta musicale, fra i quali Pink Floyd e Francesco Guccini, Eric Clapton e Giovanni Lindo Ferretti, Eagles e Giorgio Gaber, Metallica e Antonello Venditti, Vasco Rossi e Bob Dylan, e molti altri. Walter Gatti non si limita però a comporre una rassegna (per altro ricca di informazioni e curiosità inedite) di personaggi e storie, piuttosto descrive l'evoluzione culturale del fenomeno "rock" e ne propone un'interpretazione cristiana che sorprenderà parecchi lettori. In questo genere musicale, infatti, le pulsioni autodistruttive di tanti suoi protagonisti e i meccanismi alienanti del mercato e del business si intrecciano spesso con una aspirazione spirituale, che ha portato moltissimi musicisti a dichiarare che è Gesù il loro più autentico punto di riferimento. Prefazione di Andrea Monda. Postfazione di Giuseppe Frangi.
Non di rado il volto della povertà viene raccontato attraverso la povertà dei volti che dovrebbero comporlo; volti anonimi, stereotipati, vuoti come gli approcci generalizzati al fenomeno. Non di rado la voce della povertà si manifesta mediante il timbro sordo di chi la vita di strada l'osserva da lontano, certamente con onestà professionale, ma infine con distacco. Essere testimoni di un accadimento significa invece operare dalla giusta distanza, come un equilibrista in bilico tra l'eccesso di empatia (da cui scaturisce la retorica) e quello di alterità (da cui derivano gli stereotipi): ed è proprio da questa cautela che si sviluppa "Il volto (e la voce) della strada". Le precisazioni, storiche o statistiche, operate dai professionisti, accompagnano un viaggio intimo e personale all'interno delle nuove povertà, dove la macchina fotografica e un orecchio attento ci restituiscono i meccanismi di autorappresentazione di chi vive per strada. Un percorso che parte dal basso, rigoroso ma interessato, affinché un tema pericolosamente attuale non continui a nutrirsi del disinteresse sociale e politico. Immagini e parole strappate alla miseria senza morbosità, ma con una rispettosa complicità senza cui non potrebbe costruirsi alcuna riflessione sul disagio abitativo ed economico; un'occasione, infine, per vedere da vicino un profilo d'umanità con cui dovremmo confrontarci con maggiore diligenza. Prefazione di Paolo Pezzana.
Questa è una storia che attrae e fa paura. Sembra che i protagonisti siano Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, i due attori che furono fucilati dai partigiani in una via di Milano; ma è così solo in parte. Più di altri personaggi, vittime della guerra e della guerra civile che imperversarono in Italia dal 1940 al 1945, i due divi più cari al pubblico del fascismo appartengono a una lacerante vicenda che stenta a chiudersi. La loro fine è stata chiarita, ma non abbastanza; le loro colpe sono state accertate, ma non abbastanza; la decisione di fucilarli è stata motivata, ma non abbastanza. Il dramma continua, alimentato dal senso di colpa di un'Italia che fu fascista in massa e che non sa staccarsi dal passato. La luce su un periodo su cui è stato scritto molto, e di tutto, si fa a volte sfocata, confusa, e comunque sempre cupa, terribile, carica di ambiguità. Come tante vicende italiane, di ieri e di oggi.
La vita umana ha un senso? E se sì, quale? Da che cosa o da chi proviene? E che senso ha, o può ricevere, la nostra vita, l'unica che davvero ci appartiene? In uno stile chiaro e divulgativo, il testo va alla ricerca di possibili risposte con l'aiuto della filosofia e del cinema, considerate due attività sorelle, in costante e serrato dialogo tra di loro. Sette film famosi (Il Gladiatore; Carlito's Way; Se mi lasci ti cancello; Déjà vu; Oxford Murders; Una settimana da Dio; lo, robot) sollecitano e introducono altrettante riflessioni filosofiche sul mistero dell'esistenza che chiamano in causa Aristotele, Marco Aurelio, Leibniz, Nietzsche, Heidegger, Wittgenstein, e tanti altri ancora. I temi affrontati - la libertà e la necessità, la memoria e la progettualità, l'etica dei principi e quella delle conseguenze, la razionalità e il sentimento - sono argomenti cari al dibattito filosofico di ogni tempo, ma in questo caso sono considerati a partire dalla loro concreta incarnazione nelle vicende esemplari dei protagonisti dei film. Dall'indagine emerge quale filo rosso decisivo il concetto di biografia, una vita che da puro fatto biologico si trasforma in evento propriamente umano, il cui senso è affidato alla libertà e alla responsabilità di ciascuno.
Pochi musicisti sono così controversi come Richard Wagner, figura emblematica, nel bene e nel male, della cultura nazionale tedesca. In particolare continua a essere molto discusso il suo supposto antisemitismo che, visto con gli occhi dell'oggi, dopo il nazismo e la Shoah, appare un peccato mortale. La vicinanza del cosiddetto circolo di Bayreuth al nascente partito nazionalsocialista, la passione di Hitler per la sua musica, l'appropriazione di simboli wagneriani da parte del regime e il pesante coinvolgimento della famiglia Wagner nelle vicende del Terzo Reich hanno stimolato infatti, dopo la seconda guerra mondiale, un'abbondante letteratura in cui il musicista viene presentato come un campione dell'odio razziale e un precursore del nazismo. Quanto è corretto e argomentabile questo giudizio se ci si basa sui suoi scritti e sulla sua immensa opera musicale? È davvero fondato il giudizio di antisemitismo? E fino a che punto le suggestioni che la sua musica sprigiona hanno una matrice così odiosa? Da raffinato melomane e profondo conoscitore della musica wagneriana, Carlo Alberto Defanti guida il lettore attraverso l'intero corpus di opere del Maestro, analizzando vicende e idee spesso gravate da un pregiudizio ostile e cercando di dare una risposta credibile a una questione che da sempre intriga e inquieta.
L'industria del cinema e quella della fiction (oltre alla letteratura, che le alimenta con i suoi contenuti) hanno un ruolo centrale nella società di oggi: cinema e fiction, dove funzionano, trainano lo sviluppo dell'economia, stimolano l'innovazione, migliorano l'immagine globale di un Paese. In questo saggio - basato ampiamente su interviste inedite e sulla frequentazione diretta e assidua di professionisti del settore - l'autore analizza i meccanismi concreti di impostazione, creazione, sviluppo e realizzazione dei film, mostrando il ruolo ricoperto nella scelta e nella "messa in forma" dei progetti da quell'insieme di aziende e di pratiche realizzative che fanno parte del sistema Hollywood. Ampio spazio è anche dedicato alla descrizione della situazione italiana e alla Pixar, la società che ha prodotto "Toy Story" e altri dodici film di grandissimo successo (un record), costituendo un fenomeno profondamente diverso e innovativo rispetto alla norma hollywoodiana. "Creatività al potere" si rivolge a studenti e docenti di cinema e televisione, ma anche a chi semplicemente vuole capire come funziona davvero questo grande laboratorio dell'immaginario contemporaneo.
Faccenda molto spinosa, nell'Inghilterra elisabettiana, trattare in teatro personaggi della storia recente come, ad esempio, Tommaso Moro, umanista amato e stimato, ma anche mite e tenace oppositore del nuovo matrimonio di Enrico VIII con Anna Bolena, madre di Elisabetta I. Tuttavia la sua ascesa alle più alte sfere della politica nazionale e la sua rovinosa caduta costituivano una trama perfetta per chiunque volesse denunciare la natura corrotta del potere e le sue derive violente. Il dramma Tommaso Moro fu composto da alcuni dei più grandi drammaturghi elisabettiani e fra essi, ormai è assodato, va annoverato Shakespeare, non solo autore delle pagine scritte di suo pugno, ma probabilmente ispiratore dell'opera. Ipotesi, questa, quanto mai suggestiva perché rivelerebbe una stretta vicinanza ideale fra due figure straordinarie: il celebre e ironico statista e uno fra i più grandi poeti di ogni tempo, capace come pochi di leggere lo spirito dell'uomo e di esprimerlo con parole e immagini che non hanno conosciuto oblio. Tommaso Moro è quindi qualcosa di più di un dramma teatrale: dopo essere stato un mistero per molti secoli è stato portato sulle scene dalla Royal Shakespeare Company solo nel 2005 -, oggi appare come un'opera di fondamentale importanza per comprendere a fondo la figura di Shakespeare, in special modo in rapporto alla sua controversa appartenenza alla fede cattolica che proprio queste pagine renderebbero plausibile. Introduzione di Joseph Pearce.