
Argomento di questo libro è la vicenda delle arti nella seconda metà del Settecento, quando la cultura dell'Illuminismo stabilisce un collegamento sovrannazionale tra letterati, filosofi e artisti dell'intera Europa. Nel secolo appena trascorso questo periodo è stato oggetto di studi che ne hanno proposto molteplici letture, dalle quali è scaturita la fortunata definizione di Neoclassicismo applicata all'arte che dal Settecento maturo risvolta nel primo Ottocento, in un rinnovato rapporto con la classicità. Le ricerche dell'ultimo decennio hanno tuttavia messo in discussione, grazie a una migliore conoscenza dei protagonisti di quegli anni fondamentali per l'arte europea, tale sistema storiografico. Le Arti e i Lumi privilegia la diretta lettura dei testi figurativi e letterari del tempo, rispetto all'impianto prevalentemente teorico che finora ha caratterizzato gli studi sul periodo. Ne costituiscono tema centrale i dipinti e le sculture interpretati nel contesto delle idee e degli scritti degli artisti stessi, impegnati a rivendicare un ruolo maggiormente incisivo rispetto a quello loro riconosciuto dai ceti intellettuali. Osservatorio privilegiato è la più sovrannazionale di tutte le capitali, Roma, crocevia d'Europa come era definita dai contemporanei e che nella più aggiornata storiografia ha recuperato il suo ruolo di protagonista.
Le arti prodotte a Nord delle Alpi alla fine del Medioevo hanno suscitato fin dall'inizio del xix secolo l'interesse degli studiosi, che però, condizionati dalle proprie categorie spazio-temporali, le hanno per molto tempo associate al declino del "Tardo Gotico", considerandole alla luce della successiva formazione degli Stati moderni. Questo volume si propone di comprendere l'intera dinamica geografica, interpretata secondo le identità politiche del periodo, all'epoca in cui tali identità erano ancora in gestazione. L'autore individua due modelli culturali. Il primo, imposto dal duca di Borgogna, Filippo il Buono, è rappresentato soprattutto da Jan Van Eyck: il suo illusionismo pittorico, che soddisfaceva le aspettative delle persone colte, nutrite della lettura degli antichi, si diffuse rapidamente in tutta Europa. Il secondo, forgiato principalmente alla corte di Massimiliano d'Asburgo, si distingue per lo sviluppo delle arti grafiche (disegno, incisione) e trova il suo emblema in Jheronimus Bosch: le sue invenzioni dimostrano un gusto retorico per la novità e il virtuosismo, e promuovono un fenomeno importantissimo per l'arte occidentale, la rinascita dei generi pittorici.
"Si ha un bel ridire che Caravaggio è il fondatore di tutto il '600 europeo, che è quanto dire dell'arte moderna; un bel domandare come si farebbe a spiegare, storicamente, Velàzquez, o Rembrandt, o Vermeer, o Frans Hals tirando una tenda sui quadri di Caravaggio e lasciando alla vista, accanto, Giorgione, Tiziano, Tintoretto [...] per veder se sia proprio fra di essi ti filiazione diretta, o se non si senta mancar un anello in quella curiosa catena della storia dei pittori [...]; questo delle basi caravaggesche del '600 finirà per doventare un articolo, un domina accettato ma non accetto. Per ciò, forse - poiché anche il sentimento in arte è affare di educazione e di intelletto - è meglio condurre alla spontaneità di questo riconoscimento, attraverso preparazioni mediate; attraverso nessi storici secondari, pure esistenti e che meglio servano a specificare, a controllare, a guidare". Così Roberto Longhi inizia questo suo scritto giovanile dedicato a Orazio Gentileschi "il più meraviglioso sarto e tessitore che mai abbia lavorato tra i pittori" e alla figlia Artemisia "l'unica donna in Italia che abbia mai saputo cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità". Con uno scritto di Mina Gregori.
Sono qui raccolti per la prima volta tutti i principali scritti di Edward Hopper, unitamente alle sue più significative interviste e alle più importanti testimonianze di coloro che lo conobbero. Sia le sue pagine, sia i racconti di critici e artisti che lo incontrarono, nello studio in Washington Square a New York, oppure a Cape Cod, nella casa affacciata sull'oceano che lui stesso aveva costruito all'inizio degli anni Trenta, restituiscono un ritratto suggestivo e illuminante di uno dei maestri della pittura del Novecento. Hopper si riconferma una figura elusiva ed enigmatica ("Non so quale sia la mia identità. I critici ti danno un'identità, e a volte tu gli dai una mano" dichiara lui stesso), ma le sue rare dichiarazioni sono una chiave imprescindibile per conoscerne la personalità, le convinzioni, gli amori intellettuali. Edward Hopper (Nyack 1882-New York 1967) è il maggior esponente del realismo americano del nostro secolo. La sua pittura, ispirata alla scena americana, dove compaiono case vittoriane e binari ferroviari, fari sulla costa atlantica e caffè solitari, distributori di benzina e immagini di strade cittadine, è al tempo stesso quotidiana e metafisica. La sua opera, come è stato detto, è un'icona del mondo contemporaneo.
"Non leggerete in questo libro di particolari teorie sulla tutela dell'arte, ma della consapevolezza piena dei nostri tesori che troppo spesso sono guardati con insufficiente importanza, anche nei luoghi più piccoli. Quasi ogni due chilometri, infatti, girando l'Italia, è possibile ammirare, perfino nei luoghi apparentemente più degradati, spettacoli meravigliosi. Ed è questa quantità di cose misconosciute che rappresenta il percorso dell'Italia dei desideri che è proprio, come dice il concetto, il paese che uno vorrebbe sperare ci fosse. E che c'è, se hai la pazienza di scoprirlo. E che una volta scoperto ti fa trovare qualcosa che va oltre il tuo stesso desiderio. Nell'infinità delle bellezze italiane, allora, lasciati guidare dal senso di incompletezza che ogni tuo viaggio in Italia dovrà affrontare, tali e tanto vaste sono le sue meravigliose opere. Solo il sentimento della continua bellezza potrà esserti di guida in quello che non potrai desiderare di vedere in una vita. Tanto breve il nostro tempo, tanto magnifica la nostra terra." (Vittorio Sgarbi)
Le arti visive e la pubblicità, il design e l'architettura, la grafica, il fumetto e il cinema realizzano immagini che sanno coniugare efficacemente percezione e cognizione. Questo libro vuole spiegare come si fa a comunicare con le immagini, in che modo gli elementi percettivi, iconografici, simbolici e stilistici s'incastrano in una grammatica degli effetti, nella capacità di trasmettere informazioni e fare scattare emozioni mediante la loro funzione espressiva.
Cavalli sospesi nel vuoto, bambini impiccati, Giovanni Paolo II abbattuto da un meteorite, un colossale dito medio nella piazza della Borsa di Milano. I suoi lavori spiazzano, indignano, dividono, ma chi è davvero Maurizio Cattelan? L'autore di opere essenziali che definiranno il nostro tempo nei libri di storia o un enfant terrible che si diverte a scandalizzare sebbene sotto sotto sia "serio come la morte"? In questa lunga e serrata intervista, il più noto e insieme il più sfuggente degli artisti italiani condivide per la prima volta con sincerità e ironia i ricordi, i dubbi, le riflessioni e le svolte di una vita avventurosa. Dall'infanzia a Padova segnata dalla malattia della madre all'adolescenza errabonda che lo ha visto lavorare negli obitori e negli ospedali, dalla scoperta della creatività - i primi mobili artigianali nel laboratorio di un cugino - al rifiuto di impiegarsi nel settore dell'arredamento e del design. Perché l'unica costante della sua vita è stata l'aspirazione all'indipendenza, a costo di sentirsi spesso escluso dal coro dei giovani artisti italiani e di andare a cercare idee a New York in attesa della telefonata di un gallerista. Che poi è arrivata, insieme agli inviti alla Biennale di Venezia, alla consacrazione da parte del mercato, alle grandi retrospettive degli ultimi anni e al bisogno di sfuggire ai meccanismi stritolanti della notorietà. "A volte è salutare restare al di fuori di un gruppo", sostiene Cattelan, e ha passato anni a dimostrarlo.
Perché Joseph Beuys si è rinchiuso per tre giorni in una galleria in compagnia di un coyote? Perché Chris Burden si è fatto sparare a un braccio? Perché Alberto Burri dipingeva con la fiamma ossidrica? Perché Mona Hatoum ha proiettato la sua gastroscopia? Perché Marina Abramovic ha trascorso un'intera Biennale di Venezia a scalcare ossi di manzo? Tuo marito sta indugiando perplesso, non capisce per quale ragione dovrebbe seguirti a un temibile vernissage, lui che non distingue un acquerello da un olio. Eppure un modo per fargli cambiare idea c'è. Basta sfogliare queste pagine e lasciare che Mauro Covacich, con allegra semplicità, venga a darti una mano e vi conduca insieme nel mondo dell'arte contemporanea.
"Quando il sole della cultura è basso sull'orizzonte, anche i nani proiettano grandi ombre." Con questa citazione di Karl Kraus si apre questo nuovo saggio di Jean Clair. Con la chiarezza e la lucidità che ne caratterizzano lo stile, l'autore riprende e approfondisce in questo testo alcuni dei temi trattati nel suo libro "La crisi dei musei" (Skira 2008). Le amare riflessioni di un amateur, una passeggiata solitaria attraverso l'arte di oggi, le sue manifestazioni e le sue espressioni. Il ritratto impietoso di un paesaggio saccheggiato, venale e mortificato, di un'allegria vagamente funerea.
"La scultura funeraria" è l'ultima grande opera pubblicata da Erwin Panofsky. È il frutto della rielaborazione di alcune lezioni tenute nel 1956 presso l'Institute of Fine Arts della New York University. Il successo riscosso da queste conferenze e l'insistenza di amici e colleghi convinsero Panofsky a riprendere in mano il lavoro e a trasformarlo in un testo, che vide infine la luce nel 1964. L'uomo ha sempre dovuto far fronte all'enigma e al timore della morte, ponendosi ovunque la stessa, eterna domanda: "Che ne sarà di noi dopo?". Ed è specialmente attraverso la scultura funeraria che ogni cultura esprime le diverse e innumerevoli risposte che associa alla morte. Secondo Panofsky sono due le tendenze principali: quella "retrospettiva" (che mira a perpetuare la memoria del defunto e a renderlo immortale celebrandone gesta e virtú) e quella "prospettiva" (che si rivolge piú al futuro che al passato, cercando di immaginare e soddisfare tutti i bisogni e i desideri che caratterizzeranno la vita nell'aldilà). Sulla scorta di questi due principî, Panofsky tratteggia la storia della scultura funeraria con un'ampiezza e un respiro tali da richiamare alla mente la migliore scienza dell'arte tedesca portando a sostegno della teoria una quantità straordinaria di esempi: dai cippi ai maestosi mausolei, dalle urne piú spartane ai sepolcri piú elaborati, dalle tombe dell'Antico Egitto alle Cappelle Medicee di Michelangelo e alla Beata Ludovica Albertoni di Bernini.