Il 10 luglio 1941, a Jedwabne, un paese di circa tremila abitanti nel nord est della Polonia, una folla di cattolici uccise la maggior parte dei loro vicini di casa ebrei. Il numero delle vittime varia a seconda delle stime: da trecentoquaranta a milleseicento. Qualunque sia la cifra corretta, pochissimi ebrei sopravvissero. Utilizzando asce, bastoni e coltelli, la folla assassinò in piazza circa quaranta uomini. I restanti ebrei - uomini, donne e bambini, molti dei quali neonati - furono ammassati in un fienile nella periferia della città. Poi, mentre la folla osservava con scherno le future vittime, vennero sbarrate le porte e l'edificio fu dato alle fiamme. Morirono tutti. Le case degli ebrei furono saccheggiate. La giornalista polacca Anna Bikont ha ricostruito nei dettagli questo crimine, dando al tempo stesso conto del tentativo da parte delle famiglie dei discendenti degli assassini, dei politici di destra, degli storici, dei giornalisti e dei sacerdoti cattolici di nascondere nei decenni l'accaduto, deviando la colpa sui nazisti o perfino sulle stesse vittime. Un crimine doppiamente efferato ricostruito attraverso le voci dei protagonisti. Una riflessione sulla memoria collettiva: cosa succede a una società che rifiuta di ammettere una verità che distrugge la sua buona coscienza? Come convivere con un passato cosí orribile?
Le chiamavano Streghe della notte. Nel 1941, un gruppo di ragazze sovietiche riesce a conquistare un ruolo di primo piano nella battaglia contro il Terzo Reich. Rifiutando ogni presenza maschile, su fragili ma duttili biplani, mostrano l'audacia, il coraggio di una guerra che può avere anche il volto delle donne. La loro battaglia comincia ben prima di alzarsi in volo e continua dopo la vittoria. Prende avvio nei corridoi del Cremlino, prosegue nei duri mesi di addestramento, esplode nei cieli del Caucaso, si conclude con l'ostinata riproposizione di una memoria che la Storia al maschile vorrebbe cancellare. Il loro vero obiettivo è l'emancipazione, la parità a tutti i costi con gli uomini. Il loro nemico, prima ancora dei tedeschi, il pregiudizio, la diffidenza dei loro compagni, l'oblio in cui vorrebbero confinarle. Contro questo oblio scrive Ritanna Armeni, che sfida tutti i «net» della nomenclatura fino a trovare l'ultima strega ancora in vita e ricostruisce insieme a lei la loro incredibile storia. È Irina Rakobolskaja, 96 anni, la vice comandante del 588° reggimento, a raccontarci il discorso, ardito e folle, con cui l'eroina nazionale Marina Raskova convince Stalin in persona a costituire i reggimenti di sole aviatrici. È lei a descriverci il freddo e la paura, il coraggio e perfino l'amore dietro i 23.000 voli e le 1100 notti di combattimento. E a narrare la guerra come solo una donna potrebbe fare: «Ci sono i sentimenti, la sofferenza e il lutto, ma c'è anche la patria, il socialismo, la disciplina e la vittoria. C'è il patriottismo ma anche l'ironia; la rabbia insieme alla saggezza. C'è l'amicizia. E c'è - fortissima - la spinta alla conquista della parità con l'uomo, desiderata talmente tanto -e questa non è retorica - da scegliere di morire pur di ottenerla».
Virginia Woolf non fu solo la grande romanziera che tutti conosciamo, ma anche una raffinata saggista, una critica acutissima, un'instancabile pubblicista. Lettrice onnivora e anarchica, cercò nei libri "una forma per il caos", vi trovò universi abitati da creature umane, con cui intrecciare ininterrotte conversazioni. Fin dalle prime recensioni lavorò senza pregiudizi: che si trattasse di epistolari, memorie o biografie, saggi critici o romanzi, autori celebri o emeriti sconosciuti, lo studio preparatorio era accurato, il giudizio schietto. La curiosità la guidava senza alcun preconcetto, alimentava i suoi piaceri più intensi, leggere e scrivere, due atti annodati fra loro, due oscure potenze che, fino alla fine, si definirono e si alimentarono reciprocamente. Le qualità della sua penna erano forza, grazia e trasparenza. La sua lingua, ironica e originale, ha attraversato il tempo e lo spazio con una immediatezza folgorante. Femminista, nel senso proprio della consapevolezza di essere una donna, dalla sua scrittura non traspare mai una lagna, nessuna recriminazione, con lei vediamo al lavoro un occhio lucido e spietato, che non perdona, ma spesso sorride e fa ridere. "Pensare le cose come sono" e "dire la verità" le bussole di sempre. In una parola, integrità: "Seguire il proprio istinto, usare il proprio cervello, trarre le conclusioni da soli".