Questo libro stabilisce un collegamento costante tra la storia della famiglia e la più ampia e drammatica storia della prima metà del Novecento. Finora nessuna storia del XX secolo aveva posto al centro della propria analisi la famiglia né aveva esaminato i momenti chiave della rivoluzione e della dittatura attraverso le lenti della vita familiare. Ginsborg attinge a un repertorio sterminato di fonti e letture per mettere insieme immagini e storie che fotografano le dinamiche familiari e il loro contesto sociale e politico. Coniugando storia sociale, narrazione biografica e storia della cultura, Ginsborg concentra la sua indagine comparativa su cinque paesi: la Russia, nel passaggio dall'Impero allo Stato sovietico; la Turchia, dall'Impero ottomano alla Repubblica; l'Italia fascista; la Spagna della rivoluzione civile; e la Germania, da Weimar allo Stato nazista. Costruendo ogni capitolo come una piccola biografia di un personaggio emblematico - da Halide Edib e Margarita Nelken, ad Aleksandra Kollontaj; dal gerarca nazista Goebbels al futurista Marinetti e al comunista Gramsci - lascia intravedere sullo sfondo la vita familiare degli stessi grandi dittatori - Stalin e Hitler ma anche Atatürk, Franco e Mussolini. Emerge un quadro in cui le risorse delle famiglie affetti, rete, solidarietà, segreti e lealtà - si fanno sentire anche quando il loro mondo sembra totalmente schiacciato dai regimi dittatoriali.
In questo volume è raccolta - in edizione critica - la corrispondenza intercorsa tra Giorgio Montini e il figlio Giovanni Battista (futuro Paolo VI) nel periodo 1900-1942. Si tratta per lo più di scritti inediti, che offrono al lettore l'occasione di entrare nell'atmosfera di una famiglia intrisa di forti valori religiosi e partecipe della vita e della cultura del tempo. Il carteggio, costituito da centinaia di documenti, apre illuminanti squarci sulla biografia dei due protagonisti, come ampiamente sottolinea e descrive Luciano Pazzaglia nella sua Introduzione. Attraverso lo scambio delle lettere fra padre e figlio è possibile ripercorrere, innanzitutto, l'itinerario di Giorgio Montini, che, dopo aver svolto importanti incarichi nelle organizzazioni cattoliche e civili bresciane, assunse significative responsabilità a livello nazionale fino all'elezione a deputato nelle file del Partito Popolare. L'impegno dell'uomo politico bresciano fu animato dal desiderio che Stato e Chiesa, superata la questione romana, potessero finalmente intessere rapporti di serena e fruttuosa collaborazione. Di questo e di molti altri problemi egli amava discutere con il figlio, cui manifestava i propri pensieri e dal quale attendeva pareri e consigli.
Estate 1900. La Cina è attraversata dalla rivolta anti-straniera dei Boxer e gli ambasciatori di undici potenze sono assediati a Pechino. L'Italia partecipa alla spedizione di soccorso con circa 2500 tra fanti e marinai, più pochi altri che si trovano sul posto dall'inizio del conflitto e sono impegnati nella difesa delle Legazioni e nei tentativi infruttuosi di raggiungerle. È la prima missione internazionale dell'Italia, escludendo l'operazione di polizia a Creta del 1897 e la guerra di Crimea del 1855, combattuta però dal Regno di Sardegna e senza giustificazioni umanitarie: per la seconda missione - in Libano - bisognerà aspettare 82 anni. È anche la prima volta che gli italiani, di fatto, scoprono la Cina e i cinesi: attraverso le testimonianze di giornalisti, come Luigi Barzini, che mandano corrispondenze, di ufficiali, diplomatici e missionari che scrivono diari e scattano foto, di soldati semplici che vivono sulla loro pelle lo scontro tra due civiltà. Di quell'impresa resterà poco: la minuscola concessione di Tien-tsin, che l'Italia conserverà fino alla Seconda guerra mondiale, una lezione che come al solito non insegnerà niente, un ricordo sempre più sbiadito.
Il libro nasce con l'idea di rileggere le complesse relazioni tra Stato e Chiesa nel Messico di inizio '900 attraverso lo specchio della questione indigena. Ne scaturisce un percorso che parte dall'epoca liberale del "porfiriato", attraversa gli eventi rivoluzionari e si concentra sulla fase "ricostruttiva" degli anni Venti, intrecciando storia politica, sociale, culturale e religiosa. In quella stagione di modernizzazione si sviluppò un'azione dirompente da parte dello Stato che arricchì di nuovi elementi, miti e speranze, i progetti di costruzione nazionale e il confronto-scontro tra centro e "periferie". Al contempo la Chiesa cattolica cercò di riorganizzarsi, sia sul fronte sociale che missionario, ridefinendo la propria complessità. Fu in questo periodo di tensioni esterne e rivoluzioni interne, scontri verbali, leggi radicali, esperimenti sociali, scioperi del culto e lotte armate, che si registrò il riemergere della questione indigena, cruciale per gli equilibri (ideali e concreti) della nazione. In questa luce s'è cercato di rileggere fenomeni quali il rilancio missionario, il cattolicesimo sociale, lo zapatismo, le rivolte armate, le "missioni culturali" e le politiche di "defanatizzazione". Chiesa e indigeni erano infatti presenti, nella loro profondissima complessità, su tutti gli scenari verso cui si muoveva l'azione dei governi "rivoluzionari".