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<tr><td align="right">Date:</td><td>Friday, August 11, 2023 at 12:09:23 PM</td></tr>
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<tr><td bgcolor='#eeeeec' align='center'>3</td><td bgcolor='#eeeeec' align='center'>21.0633</td><td bgcolor='#eeeeec' align='right'>335112</td><td bgcolor='#eeeeec'>Database->oops( )</td><td title='C:\wamp64\www\demo\used_book\classes\db\Database.singleton2.php' bgcolor='#eeeeec'>...\Database.singleton2.php<b>:</b>87</td></tr>
<tr><td bgcolor='#eeeeec' align='center'>4</td><td bgcolor='#eeeeec' align='center'>21.0633</td><td bgcolor='#eeeeec' align='right'>335160</td><td bgcolor='#eeeeec'><a href='http://www.php.net/function.mysqli-error' target='_new'>mysqli_error</a>
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<table align="center" border="1" cellspacing="0" style="background:white;color:black;width:80%;">
<tr><th colspan=2>Database Error</th></tr>
<tr><td align="right" valign="top">Message:</td><td><b>WARNING:</b> No link_id found. Likely not be connected to database.<br />Could not open database: <b>libreriacoletti</b>.</td></tr>
<tr><td align="right">Date:</td><td>Friday, August 11, 2023 at 12:09:23 PM</td></tr>
<tr><td align="right">Script:</td><td><a href="/demo/obtain_abstract.php?codice=978883394081">/demo/obtain_abstract.php?codice=978883394081</a></td></tr> </table>
Il nostro tempo sembra aver dissolto ogni confine, compresi quelli stabiliti dai tabù. Non esiste più un limite che non sia possibile valicare. La trasgressione è divenuta un obbligo che non implica alcun sentimento di violazione. La disinibizione diffusa ha preso il posto della reverenza passiva e sacrificale di fronte alle nostre vecchie credenze. Ma i tabù devono semplicemente essere smantellati dalla nuova ragione libertina che caratterizza il nostro tempo oppure conviene provare a ripensarli criticamente senza nutrire alcuna nostalgia per il passato? Ci sono parole chiave come preghiera, lavoro, desiderio, colpa, eutanasia, famiglia, che sono state in modi diversi associate ai tabù e che esigono oggi di essere riattraversate criticamente. Vi sono anche figure mitologiche, storiche o letterarie che sono divenute crocevia essenziali della nostra storia individuale e collettiva e che ci spingono a incontrare in modo nuovo lo spigolo duro del tabù: Ulisse, Antigone, Edipo, Medea, Amleto, Isacco, Don Giovanni, Caino. Dal riferimento a grandi autori dell'Occidente - da Platone a Hegel, da Dostoevskij a Sartre, da Freud a Lacan, da Marx a Calvino, da Molière a Beckett - così come nelle miserie della nostra vita quotidiana, Recalcati rintraccia la sparizione del tabù e l'apparizione delle sue nuove maschere.
Abitiamo un sottile guscio sferico, di pochi chilometri di spessore, intorno alla superficie della Terra. Anche se esploriamo gli abissi più profondi dell'oceano o scaliamo le vette dell'Himalaya, il nostro regno ha dimensioni ridicole. Per questo, se riflettiamo su quelle dell'universo, ci resta una sensazione di lieve sgomento. Non solo. Il nostro piccolo mondo è anche popolato di chimere, fantasmi e terribili inganni: pensiamo che quello che percepiamo sia reale, invece tutto cambia appena ci allontaniamo dall'angolo tranquillo in cui si svolge la nostra esistenza. Quando cerchiamo di capire i fenomeni che si osservano nel meraviglioso tappeto di galassie che ricopre la volta stellata, o quelli che caratterizzano la materia nei suoi componenti elementari, dobbiamo rinunciare alle certezze che governano la nostra vita e intraprendere un viaggio vertiginoso che lascia senza fiato. Guido Tonelli, fisico al Cern di Ginevra e uno dei padri della scoperta del bosone di Higgs, ci fa compiere questo viaggio irripetibile, al cospetto di fenomeni straordinari. Fino a raggiungere il non-luogo del non-tempo da cui tutto ha avuto origine e dove possiamo dar voce a quell'istinto che si annida dentro di noi quando continuiamo a chiederci da dove viene la meraviglia che ci circonda. Il mito e la scienza hanno in fondo la stessa funzione, dal momento che "ogni società si costituisce attorno a una cosmologia. E nessuna civiltà, grande o piccola che sia, può reggersi senza il grande racconto delle origini".
"Tra me e il mondo" è una lettera che l'autore scrive al figlio Samori nel giorno del suo quindicesimo compleanno. Coates racconta: la storia della sua infanzia nella parte sbagliata di Baltimora, della paura delle strade e delle gang, della scuola, della violenza, della polizia. Vincere questa paura, la paura di perdere il proprio corpo, diventerà lo scopo della sua vita. Per la prima volta la ricostruzione della storia americana riparte da zero; e riparte proprio da Ground Zero - dove ben prima del crollo delle torri gemelle c'era la sede del mercato degli schiavi della città di New York - per arrivare alle continue uccisioni ingiustificate di neri da parte della polizia, una violenza che diventa in questo racconto la storia universale del razzismo. Questo è un libro da cui nessuno uscirà indenne.
Il mondo è unico e dobbiamo condividerlo, ma quali sono le nuove pratiche di condivisione per garantire un futuro sostenibile? In queste pagine otto grandi studiosi italiani e stranieri provenienti dalle più diverse discipline - dalle neuroscienze alla linguistica, dalla politologia alla geografia - ragionano su come possiamo rinnovare il nostro modo di vivere insieme. In vista di un obiettivo comune: un mondo sostenibile.
Bombardati di appelli e notizie allarmanti, siamo stati portati a credere che ormai ambiente e sviluppo economico siano definitivamente incompatibili. La tesi di Francesco Vecchi è che non debba per forza andare così. Ma dovremmo smetterla di farci accecare della crociata "per salvare il mondo" condotta dai fanatici dalla religione 'green': non ha senso contrapporre noi cattivi e dannosi esseri umani al povero pianeta messo a rischio, perché non è la Terra a dover essere salvata, siamo noi. Questo libro è un appello ad abbandonare riti e articoli di fede tipici del millenarismo verde alla moda, per abbracciare la scienza, e di conseguenza un ambientalismo pragmatico. Il primo passo: cominciare a basarsi su fatti e numeri per misurare - e mettere sulla bilancia con vera consapevolezza - i problemi sociali, economici ed ecologici che si intrecciano tra loro. Basterebbe questo per accantonare sia le illusioni sia il catastrofismo della religione 'green'. Scopriremmo che è impossibile affidare l'intero approvvigionamento energetico di un paese come l'Italia alle sole rinnovabili, che l'auto elettrica è di fatto controproducente in termini di impatto ambientale, che gli otto miliardi di persone che popolano il pianeta non potranno mai sfamarsi di cibo "bio". Ecco perché dovremmo accogliere senza pregiudizi ideologici le tecnologie che davvero potrebbero farci vincere la sfida contro il riscaldamento globale, senza precipitare in una decrescita economica tutt'altro che felice: in particolare, il nucleare di quarta generazione e l'agricoltura geneticamente modificata. Potrà piacere o meno, ma è l'unico modo per evitare entrambe le catastrofi: quella ambientale e quella della fame e della povertà.
«Sarebbe bello venire al mondo e trovare per noi amore, se c’è. E’ bello venire al mondo e trovarlo, ma in alcuni casi l’amore non c’è. È bello trovarlo anche continuando a essere e a camminare per il mondo, anche al momento di andarsene [...]. “Amatevi come io ho amato voi?”. Ah sì, e come? Dove sono i segnali dell’amore? Non sono certo la prima ad aver notato una contraddizione tra gli attributi divini, soprattutto tra quello di bontà e quello di potenza. Di fronte a questo argomento, teologi moderni preferiscono pensare che Dio non sia onnipotente» (Francesca Rigotti).
«Venire al mondo è un incrocio di responsabilità perché quando qualcuno viene al mondo vuol dire che qualcun altro lo ha voluto. Esserci. Noi ci siamo e non è scontato, né qui, né altrove. Un istante e il coro di chi resta potrà recitare salmi di meraviglia. Era giovane... certo è anziana, ma stava bene... ha due figli... non si sa mai quando capita.... Come se morire fosse una sorpresa, eccezione alla regola di un restare perenne. C’è del vero in questo pensare un po’ sprecone alla nostra vita, che tanto il tempo ce l’abbiamo. C’è il desiderio che questo continui» (Mariapia Veladiano).
Prefazione di Silvano Zucal
«Il credente è [...] un uomo che sa stare con gli altri uomini, quali che siano le loro credenze e le loro incredulità, perché condivide con loro l’umanità, perché condivide con loro la passione per l’umano, la passione per la vita, la passione per la storia. Anzi, sarebbe ora che la smettessimo di parlare di credenti e non-credenti: si tratta di uscire dalle contrapposizioni ideologiche, ormai stantie, e ritrovare nel comune terreno dell’umano, nella comune opera di ricostruzione di una grammatica dell’umano, il compito che ci sta davanti. Che siamo monaci o banchieri» (Luciano Manicardi).
«Lo stare al mondo si configura come un cambiare lo stato delle cose [...]. Sono convinto che ognuno di noi gestisce del potere in qualche forma, anche in famiglia, o nella comunità [...]. Dobbiamo cancellare l’accezione negativa che usualmente diamo alla parola “potere”. Chi dunque ha potere credo debba avere il desiderio di cambiare il mondo; ma per cambiare il mondo ti devi compromettere, devi accettare che esiste l’altro: devi cambiare gestendo il consenso e gestendo quella capacità di dialogo che è basata sull’ascolto» (Alessandro Profumo).
Prefazione di Francesco Ghia
Nel settembre del 1993, a Norfolk (Virginia), le acque del fiume Lafayette restituiscono il corpo senza vita della diciassettenne Sarah Wisnosky. Fin dal principio i sospetti ricadono sul fidanzato, il ventiseienne italo-americano Derek Rocco Barnabei, che, al termine di un processo indiziario durato tre settimane, è condannato a morte per violenza sessuale e omicidio. Barnabei si dichiarò innocente e vittima di un complotto. In molti si mobilitarono contro la sentenza. Intervennero esponenti politici, il Parlamento europeo - che adottò all'unanimità una risoluzione sulla pena di morte citando nel documento il caso Barnabei, definendolo controverso, e chiedendo di commutare la condanna in ergastolo -, persino papa Giovanni Paolo II si unì agli appelli. Tuttavia gli estremi tentativi di bloccare l'esecuzione non sortirono alcun effetto. La Corte suprema rigettò i ricorsi presentati e Derek Rocco Barnabei fu giustiziato in Virginia il 14 settembre 2000. Alessandro Milan, agli inizi della sua carriera in una appena nata Radio24, intervistò più volte Barnabei e collaborò a due straordinarie dirette dal braccio della morte. In queste pagine, Milan fonde la puntualità dell'inchiesta giudiziaria con il racconto autobiografico, perché la vicenda di Barnabei non è per lui solo una prova giornalistica, ma un incontro umano che lo investe e lo segna personalmente. Per vent'anni ha cercato risposte agli interrogativi e ai dubbi sulla verità di Derek, seppure nella convinzione che nessuna risposta possa giustificare la barbarie di una condanna a morte. La pena capitale «è sbagliata, sempre e comunque, anche per chi si è macchiato di un crimine efferato oltre ogni ragionevole dubbio». È soltanto una vendetta, «di Stato, ma pur sempre vendetta».
La funesta profezia del 21 dicembre 2012 è solo un esempio. L'ultimo, se i Maya avevano ragione. Il fatto è che periodicamente l'umanità si prepara a sloggiare dal pianeta Terra. Millenarismi di ogni tipo per secoli hanno alimentato la credulità popolare, e ogni scampato pericolo è sempre servito solo come carburante per la profezia successiva. In particolare, però, è la generazione di noi contemporanei quella che sta coltivando con maggiore convinzione l'idea di essere l'ultima della storia del mondo. Dopo di noi, il diluvio: e pazienza per i posteri, fossero anche i nostri figli. Potrà essere un collasso finanziario, oppure un drammatico stravolgimento climatico, forse un'ondata migratoria devastante, uno tsunami di spazzatura, una guerra mondiale, la fine delle risorse petrolifere. Oppure tutte queste cose assieme, senza escludere i classici del cinema: impatto con un meteorite o invasione di extraterrestri. Se pure i Maya avessero torto, un'apocalisse sembra davvero alle porte se non altro la fine dei mondo così come siamo abituati a viverlo da qualche secolo a questa parte. Ecco lo specifico contemporaneo: ci sentiamo talmente sicuri di un'imminente apocalisse (una qualsiasi apocalisse) che ci siamo convinti di non poter fare nulla per fermarla. Se ne ricava la più classica delle profezie che si auto verificano: siccome la fine del mondo ci sarà, ci sarà la fine del mondo.
Uno dei grandi rompicapo della scienza contemporanea è spiegare come la vita sia emersa dalla materia inorganica. Possiamo affidarci esclusivamente al rigore della fisica e della biologia, com'è stato fatto negli ultimi decenni, nella convinzione che "là sotto" un insieme di leggi governa tutto ciò che accade nell'universo? Secondo Stuart Kauffman, personaggio chiave del Santa Fe Institute, il pensiero riduzionista ormai non basta: la vita che nasce e si evolve non è una macchina, e la sua creatività e fantasia ci impongono di guardarla in modo nuovo, come organismi, come totalità. Nessuna legge del moto, infatti, potrà mai rendere conto delle possibili configurazioni di una biosfera, e delle infinite interazioni tra gli esseri viventi che la popolano. Con "Un mondo oltre la fisica" Kauffman porta a compimento il suo trentennale studio sulle origini della vita, e ci propone un radicale cambiamento di visione del mondo.
Il lockdown è stato una forzata, lunga pausa, in cui per legge sono state sospese attività produttive, incontri sociali, manifestazioni culturali. "Sospendere" non è di certo un'idea estranea alle società umane: per esempio, la vediamo teorizzata dagli scettici del mondo antico in contatto con l'India, applicata nella cultura ebraica, praticata dai BaNande del Congo. La differenza è però notevole tra le sospensioni programmate, il cui scopo è di arrestare periodicamente le più importanti attività economiche, obbligando le società a ripartire da zero, e il nostro recente lockdown, un'esperienza straniante e inattesa, del tutto estranea al nostro modo di pensare. Una parentesi che si vorrebbe chiudere definitivamente per riprendere il cammino interrotto, quel "progresso infinito" con cui la civiltà occidentale ha voluto segnare la sua storia e la sua presenza nel mondo. In questa situazione, che cos'ha da offrire il pensiero antropologico? Deve salire sul carro del progresso o, al contrario, lavorare "contro" l'accecamento prodotto da questo mito? L'antropologia si fa portatrice di testimonianze spesso lontane nel tempo e nello spazio, in grado di mettere in luce le "vie di fuga" tracciate da ogni cultura, le sospensioni, anche traumatiche, con cui si pongono domande cruciali sul presente e sul futuro. Non è vero che le società da noi definite "tradizionali" e "premoderne" abbiano lo sguardo rivolto soltanto al passato: al contrario, non è raro trovare al loro interno un confronto esplicito tra generazioni allo scopo di garantire ai giovani un futuro vivibile. Dall'osservazione partecipante del lockdown e dalle riflessioni sulla "cultura dell'Antropocene" in cui siamo invischiati, emerge drammaticamente il "furto di futuro", l'impressionante debito economico ed ecologico che gettiamo sulle spalle delle nuove generazioni. Come venirne fuori, se non ideando un altro modo di vivere, una rivoluzione che abbia come obiettivo quello di rifondare la convivenza tra noi e gli altri abitanti della Terra, tra noi e la natura?