Il 25 febbraio 1943 Pio XII riceve in Vaticano le Lettere credenziali dell'Ambasciatore cinese accreditato presso la S. Sede, un evento di straordinaria portata storica e insieme il frutto di una lunga schiera di sforzi per stimolare delle relazioni fraterne tra la S. Sede e la Repubblica Cinese. Ma la vera domanda è sul "come" si è arrivati a questo obiettivo. In che modo il papa e i suoi collaboratori sono riusciti, nella prima metà del Novecento, a raggiungere questo scopo già oggetto di mille tentativi nei secoli precedenti? Al quesito cerca di rispondere l'autore di questa pubblicazione, che con perizia storica e giuridica individua i grandi cardini del cambiamento missionario fortemente voluto dalla S. Sede tra il 1919 (con la magna charta di Benedetto XV Maximum illud) e il 1939: fondamentale è stata la istituzione della Delegazione apostolica, con precisi obiettivi pastorali; la valorizzazione del clero indigeno, con le prime consacrazioni episcopali indigene; il grande primo concilio plenario della Cina (1924); i tentativi di addivenire a relazioni diplomatiche con la S. Sede ad opera di mons. Celso Costantini; la soluzione della secolare questione dei riti cinesi. Il Papa e il suo delegato in Cina hanno tentato di coadiuvare l'opera dei missionari creando un ponte con la Cina; un ponte di fraternità, di pace, di concordia.
In questo testo, che raccoglie il corso del semestre invernale 1919/20, Martin Heidegger - giovane docente presso la facoltà di Filosofia dell'Università di Friburgo - espone, per la prima volta, in modo esteso e puntuale, la struttura portante e i concetti chiave della sua prima dottrina fenomenologica, che si pone l'obiettivo di proporre una scienza filosofica in grado di cogliere la vita nella sua originarietà e radicale concretezza: il fenomeno della vita nel suo «essere di fatto» - così lo definisce precisamente Heidegger. In aperta contrapposizione alle tendenze filosofiche e scientifiche del tempo, che cercavano in genere di "oggettivare" il fenomeno della vita, inquadrandolo in una qualche rigida cornice epistemologica, Heidegger propone invece una modalità d'accesso esattamente opposta: penetrare la vita nella sua «fatticità» e nelle sue effettive manifestazioni - come vita che si presenta da sé nel mondo-ambiente, nel mondo collettivo e nel mondo-del-sé - evitando a ogni costo di renderla "oggetto" di studio; coglierla nella sua pulsante vitalità, riuscendo così a restituirla, sul piano conoscitivo, senza alcuna alterazione. Si delinea, in tal modo, l'enorme posta in gioco del tentativo filosofico condotto in questo corso friburghese, che per Heidegger dovrebbe aprire la strada a una «fenomenologia come scienza originaria della vita in sé»: come elaborare un afferramento conoscitivo della vita che, lungi dal ridurla a oggetto, sappia accompagnarla nella sua vitalità fino al punto di coglierla intatta nella sua figura originaria, nel suo «mysterium tremendum»? Svolta decisiva nel cammino speculativo del giovane Heidegger, questo corso - di cui si offre qui la prima edizione italiana integrale - non è soltanto uno strumento indispensabile per ricostruire la genesi di quel pensiero che, nel 1927, confluirà in Essere e tempo. Nell'opus magnum, infatti, non tutti i sentieri aperti in questa prima esplorazione potranno trovare adeguato sviluppo. Proprio la centralità della vita, anzi, sarà messa parzialmente in ombra, per fare spazio alla nuova analitica del Dasein. Dai "sentieri interrotti" di questi esperimenti giovanili, possono emergere, così, delle potenzialità ancora inesplorate, in grado di incidere in modo del tutto originale sul pensiero contemporaneo.
Il libro è incentrato sul rapporto iniziale tra la Chiesa cattolica e il fascismo. Ricostruisce il clima sociale e politico dell'Italia tra la Grande Guerra e il dopoguerra, per rintracciare le origini culturali del fascismo, inizialmente molto legato alla cultura combattentistica e al mito della guerra rigeneratrice. Descrive il mutevole atteggiamento di Benito Mussolini verso la religione e la Chiesa cattolica, dalla fase giovanile della polemica ateista e anticristiana, sino alla svolta filocattolica dei primi anni Venti. Analizza le reazioni di parte cattolica di fronte all'avvento del fascismo e descrive i cambiamenti che intercorsero dopo la marcia su Roma e la nascita del governo Mussolini. Una parte del libro è dedicata alle diverse posizioni del cattolicesimo politico e alle vicende del Partito popolare italiano, con particolare attenzione al tema della nazionalizzazione dei cattolici, al loro ingresso nella vita politica nazionale e al binomio "fede e patria". Il libro affronta anche la questione della "religiosità" fascista, soffermandosi sul vasto apparato di riti, credenze, devozioni e simboli che fondava una fede alternativa alla fede cristiana. Descrive inoltre il tentativo mussoliniano di contrapporre cattolicesimo e cristianesimo e d'inglobare il primo, in chiave identitaria, nell'idea fascista di nazione.
Dalla grande e discussa risistemazione degli assetti europei e internazionali tentata a Versailles alla fine della Grande Guerra al "nuovo disordine internazionale" in cui stiamo vivendo con la scomparsa del bipolarismo della guerra fredda, il libro propone una nuova visione della storia delle relazioni internazionali contemporanee. Non più in una prospettiva tradizionale di storia diplomatica, ma secondo un'impostazione più inclusiva che non dimentica gli aspetti economici, sociali e culturali, i processi transnazionali e i forti legami fra politica interna e politica estera.
Siamo nel 1919. La Prima guerra mondiale è finita da poco. Comincia un decennio di eccezionale creatività, che cambierà per sempre il corso delle idee in Europa. Wolfram Eilenberger mette in scena l'esplosione del pensiero, sullo sfondo di una Germania divisa tra l'esuberanza e la voglia di vivere del dopoguerra e l'abisso della crisi economica, tra la lussuria delle notti berlinesi e i complotti reazionari della Repubblica di Weimar, mentre il nazionalsocialismo si trasforma velocemente in una minaccia. I quattro protagonisti di questi anni decisivi sono giganti di ogni tempo. E le loro vite straordinarie si intrecciano nella necessità di rispondere alla domanda che ha orientato nei secoli la storia del pensiero: che cos'è l'uomo? Eilenberger mostra che la vita quotidiana e i dilemmi della metafisica fanno parte della stessa storia. E racconta la più grande rivoluzione del pensiero occidentale attraverso quattro dei suoi protagonisti assoluti, ciascuno con il proprio sguardo penetrante e il proprio modo di concepire la vita, il linguaggio, il tempo e il mito. Quattro grandi filosofi: Wittgenstein, Heidegger, Benjamin e Cassirer. Seducenti e geniali, sono gli attori di una rivoluzione senza precedenti. Un racconto che ci rivela come siamo diventati quello che siamo.
Il 12 settembre 1919 un poeta, alla testa di duemila soldati ribelli, conquista una città senza sparare un colpo. Vi rimarrà oltre un anno, opponendosi alle maggiori potenze sotto gli occhi di un mondo ancora sconvolto dalla Grande Guerra. Lo scopo di Gabriele d'Annunzio e dei suoi legionari non era solo rivendicare l'italianità di Fiume: il Vate sognava di trasformare la sua «Impresa» in una rivoluzione globale contro l'ordine costituito, e nell'avveniristica Carta del Carnaro - una costituzione avanzatissima - teorizzò un governo della cosa pubblica lontano da quello dello Stato liberale, socialista, fascista. Per sedici mesi Fiume fu teatro di cospirazioni, feste, beffe, battaglie, amori, in un intreccio diplomatico e politico sospeso tra utopia e realtà. Militari, scrittori, aristocratici, industriali, femministe, sovversivi, politici, ragazzi fuggiti di casa componevano l'esercito del «Comandante», inconsapevoli di quanto avrebbero influenzato l'immaginario del Novecento. Nelle luci e nelle ombre dell'Impresa ritroviamo, a distanza di cento anni, molti aspetti del mondo di oggi: la spettacolarizzazione della politica, la propaganda, la ribellione generazionale, la festa come mezzo di contestazione, la rivolta contro la finanza internazionale, il conflitto tra nazionalismi, il ribellismo e la trasgressione. Mussolini, che a Fiume tradì d'Annunzio, saccheggiò quell'epopea adottandone la liturgia della politica di massa: i discorsi dal balcone, il dialogo con la folla, il «me ne frego», l'«eia eia alalà», riti e miti: così l'Italia democratica ha voluto dimenticare che la «Città di Vita» fu anzitutto una «controsocietà» sperimentale, in contrasto sia con le idee e i valori dell'epoca sia - e tanto più - con quelli del fascismo. Eppure, se molti legionari aderirono al regime, come Ettore Muti, molti altri furono irriducibilmente antifascisti, confinati o costretti a morire in esilio, come il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris. Giordano Bruno Guerri ricostruisce quei sedici mesi attraverso migliaia di documenti custoditi negli Archivi del Vittoriale, intrecciando la grande storia con le vicende degli uomini e delle donne che hanno vissuto quell'irripetibile avventura, e portando alla luce un aspetto inedito della poliedrica personalità dell'uomo che ne fu l'ispirato animatore e l'indiscusso protagonista.
Editoriale
Il sangue dei martiri che ci interpella
di Roberto de Mattei
2
Attualità, politica e società
La Scienza riconosce i segni della passione – Intervista al dott. Franco Serafini
di Mauro Faverzani
4
Cristianità tra passato e futuro – Intervista al prof. Giovanni Turco
di Mauro Faverzani
8
Notizie
Rap – «Impiccate i bianchi», condanna blanda per rapper nero
di Corrispondenza Romana
11
LGBT – Attore si finge vittima di omofobia, arrestato
di Corrispondenza Romana
11
Francia – Emulo dell’Isis minaccia di morte, ma è libero
di Corrispondenza Romana
11
Cile – Un disegno di legge vuole violare il segreto confessionale
di Corrispondenza Romana
12
Olanda – Per legge matrimonio civile prima di quello religioso
di Corrispondenza Romana
12
Dossier
La caduta dei tre Imperi. Dall’ordine al caos
di Massimo de Leonardis
14
Cronaca di un fallimento annunciato
di Luigi Bertoldi
17
Il Trattato sui giornali
di Luigi Bertoldi
21
Frutto di un crogiuolo ideologico
di Francesco Corradi
25
Arte e Cultura
Forest Lake
di Francesca Bonadonna
25
San Paolo in trono
di Sara Magister
72
Andrea di Bartolo a Toscanella
di Mauro Loreti
75
Fede, Morale e Teologia
L’amore del Signore Eucaristico. Per noi nella Chiesa
di card. Raymond Leo Burke
32
L’arma invincibile – Intervista a padre Donald Calloway
di Aurelio Porfiri
36
Storia
Chateaubriand a Roma
di Carlo Levanti
40
Tesori d'Europa
Liechtenstein Dio, il Principe e la Patria
di Antonio Lambertini
45
Un cammeo prezioso
di Lorenzo Benedetti
50
Tesori d'Italia
Una fede santa, cattolica e apostolica
di Lorenzo Benedetti
56
Il santuario di Santa Maria di Leuca
di Cinzia Notaro
60
Le ville ottocentesche
di Cinzia Notaro
65
Recensioni
Il complesso occidentale. Piccolo trattato di de-colpevolizzazione
di Gianandrea de Antonellis
78
L’antitesi perfetta della rivoluzione. Gli scritti sul Carlismo della «Civiltà Cattolica» (1873-1875)
di Gianandrea de Antonellis
78
Un lembo di vita buona. Come riposare nel cuore di Dio
di Gianandrea de Antonellis
78
I miei anni sul monte Discorsi, lettere, incontri del Papa emerito
di Mario Parmigiani
79
Lettere
Dio è puro bene
80
Agenda
Palio dei borghi
81
Carosello storico
81
Festa dei Quattro Altari
81
Il 23 marzo 1919 è una data cardine nella storia d'Italia. Quel giorno, a Milano, in piazza San Sepolcro, al primo piano di Palazzo Castani, elegante edificio di fine Quattrocento, l'ex socialista Benito Mussolini fonda i Fasci italiani di combattimento. Sulla scena politica irrompe un movimento di tipo nuovo, aggressivo e dinamico, che non solo mescola estremismo di destra e radicalismo di sinistra ma raccoglie simpatizzanti di ogni genere: Arditi, futuristi, reduci, massoni, socialisti, sindacalisti rivoluzionari, anarchici. La maggior parte di loro sono giovani. Il programma è avanzato e decisamente riformista: si propongono la Costituente repubblicana dei combattenti, l'abolizione del Senato, il suffragio universale maschile e femminile, l'introduzione delle otto ore lavorative. Mussolini, in particolare, vuole affidare la guida del Paese a una nuove élite, l'aristocrazia dei combattenti. L'obiettivo è spodestare la vecchia classe dirigente liberale, scongiurare il pericolo bolscevico e conquistare il potere. Dalle colonne de «Il Popolo d'Italia», il quotidiano interventista creato nel 1914 grazie ai finanziamenti degli industriali, Mussolini rivendica l'annessione di Fiume e della Dalmazia, soffia sul fuoco della crisi economica, legittima l'uso della violenza come strumento di lotta politica (il primo assalto alla sede dell'«Avanti!» avviene il 15 aprile 1919). Eppure, per il fascismo delle origini le elezioni di novembre si rivelano un insuccesso: Mussolini non viene neppure eletto alla Camera ed è addirittura arrestato per violenze. Come il leader fascista reagì alla sconfitta e riorientò il suo movimento verso nuove prospettive? Chi lo aiutò in quel frangente? Lo spiega in maniera chiara ed esauriente Mimmo Franzinelli, ponendo al centro della sua analisi proprio il "diciannovismo", ossia quella pericolosa miscela di violenza verbale e fisica che avvelenò il clima sociale dell'epoca, scatenando lampi di guerra civile. Sulla base di inedite fonti d'archivio, l'autore ha potuto ricostruire le variegate identità e i tortuosi percorsi biografici di chi, quel 23 marzo 1919, partecipò all'«adunata», un evento che la propaganda di regime - inventando il «brevetto di sansepolcrista» - innalzerà a vero e proprio mito fondativo del fascismo. A un secolo esatto di distanza dalla fondazione dei Fasci italiani di combattimento, le pagine di Franzinelli hanno il merito di gettare nuova luce sull'avventura politica e personale di Mussolini e di ricostruire, in maniera scrupolosa, il preludio di una dittatura.
Nell'arco breve del primo '900, sull'orlo entusiasta della modernità, divampò uno straordinario incendio nell'arte e nella letteratura, nel pensiero e nelle ideologie, che rapidamente si propagò nell'Europa delle nazioni e nella storia mondiale. Epicentro di questa scossa creativa fu l'Italia, Firenze e Milano in particolare. Il decennio del futurismo non fu solo un laboratorio degli anni a venire ma anche il cimitero del futuro, l'arco in cui si bruciarono in anticipo sulla vita e sulla storia i serbatoi di speranza e i sogni d'avvenire che si spargeranno per tutto il '900. Marcello Veneziani scandaglia le tappe di questi anni incredibili, del decennio che uccise il passato e sconvolse il futuro.
Durante l'ultimo World Economic Forum di Davos si è scritto che un fantasma stesse perseguitando i potenti della terra, riuniti nella cittadina svizzera: lo spettro di Karl Polanyi, lo scienziato sociale che, con "La grande trasformazione", raccontò l'impatto della società di mercato e dell'industrializzazione sulla civiltà occidentale, e colse meglio di chiunque altro gli effetti politici, culturali e antropologici della crisi degli anni trenta. Oggi, mentre imperversa una nuova Grande recessione, idee che parevano ormai relegate alle librerie polverose dei dipartimenti universitari sono riemerse in tutta la loro attualità. Prima fra tutte, la questione, fondamentale, del ruolo dell'economia nella società. Al centro dei saggi raccolti in queste pagine, scritti tra il 1919 e il 1958 e inediti a livello mondiale, c'è il tentativo di indicare la strada per tornare a un'economia ancorata alla società e alle sue istituzioni culturali, religiose, politiche, in aperta polemica con l'ideologia del "laissez-faire". Storico, giurista, antropologo ed economista, decenni fa Polanyi parlava già dei problemi del nostro presente: le distorsioni della democrazia generate dal liberismo sregolato, le conseguenze del capitalismo sull'ambiente, la tendenza alla mercificazione di ogni cosa, il ruolo del potere pubblico nell'affermazione e nella tenuta del sistema economico.
Il cinema è non solo presenza ricorrente nella narrativa di Roth, ma anche oggetto di splendidi feuilleton e recensioni - nell'insieme un centinaio di interventi, compresi per lo più fra il 1919 e l'inizio degli anni Trenta, di cui si offre qui una ampia e rappresentativa scelta. Appassionato di Buster Keaton, capace di liquidare il sentimentalismo di un'epoca intera, cultore di documentari e film etnologici, Roth sa essere sferzante come pochi e non risparmia perfidi strali a osannati registi, si chiamino Lang o Ejzenstejn né, ovviamente, ai più turgidi colossal: come "Messalina", contraddistinto da "una noia colossale", sicché, egli confessa, "abbiamo il nostro bel daffare a tenerci svegli. Ci sentiamo stanchi come dopo una festa di matrimonio o un banchetto funebre durati giorni e giorni". Quando visita i set, poi, è un grandioso, rutilante bestiario che si offre al suo sguardo implacabile: registi onnipotenti, operatori pedanti, comici presenzialisti, ricchi produttori, dive irresistibili e tiranniche che si scelgono ruoli cuciti sul loro corpo: senza che di quel corpo "il povero sceneggiatore abbia potuto cogliere anche un solo barlume". Ma quel che più conta è forse l'attenzione, acutissima e preveggente, rivolta sin dai primi testi alla capacità del cinema di creare simulacri: i meravigliosi prodigi dello schermo significano per Roth che la realtà, così ingannevolmente imitata, non era poi tanto difficile da imitare...