Sono un centinaio, e quasi tutti sconosciuti. Eppure scrivono le leggi che regolano le nostre vite e decretano come applicarle. Sono al vertice dei ministeri, dove a volte contano più degli stessi ministri. Le loro sentenze possono cambiare i destini di interi settori dell'economia nazionale, invalidare i risultati di un concorso pubblico, far decadere un presidente di Regione, cancellare la nomina di un procuratore della Repubblica. Governano anche la passione più grande degli italiani, il calcio: amministrano infatti la giustizia sportiva, decidono le squalifiche e le vittorie a tavolino, stabiliscono se una squadra si può iscrivere a un campionato. Presiedono i comitati delle grandi aziende commissariate, come l'Alitalia. E sono arbitri nelle liti fra enti pubblici e imprese private, con parcelle a parte. Da tempo immemore rappresentano la scheggia più autoreferenziale e intoccabile della magistratura, la più vicina alla politica. Sono i consiglieri di Stato. Ovvero, il nocciolo duro del potere in Italia. In questa inchiesta Sergio Rizzo svela storie, protagonisti, conflitti d'interesse e retroscena inediti della casta più nascosta e potente del Paese.
Ricostruire la fiducia tra magistrati, politici e cittadini. Circuiti di potere chiusi in sé stessi finiscono per diventare tecnocrazie autoreferenziali che corrodono la democrazia. Ordinamento giuridico e politico confinano: all'arretramento dell'uno corrisponde l'avanzamento dell'altro. La stagione di Mani pulite e delle stragi di Palermo segna l'apice di uno squilibrio tra giustizia e politica i cui antecedenti erano ravvisabili già in precedenza e che vengono ripercorsi nel dialogo tra un osservatore di lungo corso della politica e un protagonista della magistratura prima e della politica poi. Nella crisi susseguitasi a quella destabilizzazione la dimensione del potere ha prevaricato quella del servizio. L'intreccio tra regole confuse, prassi arbitrarie, apatie professionali e insipienze politiche ha generato un inaccettabile disordine normativo che oggi fa barcollare il sistema giudiziario, rendendolo privo di legittimazione. Da qui la necessità di una ricomposizione su cui gli autori, ragionando con ampiezza di scenario, avanzano le proposte necessarie.
Ottobre 2020: per la prima volta nella storia della magistratura un ex membro del Csm viene radiato dall'ordine giudiziario. Chi è Luca Palamara? Una carriera brillante avviata con la presidenza dell'Associazione nazionale magistrati a trentanove anni. A quarantacinque viene eletto nel Consiglio superiore della magistratura e, alla guida della corrente di centro, Unità per la Costituzione, contribuisce a determinare le decisioni dell'organo di autogoverno dei giudici. A fine maggio 2019, accusato di rapporti indebiti con imprenditori e politici e di aver lavorato illecitamente per orientare incarichi e nomine, diventa l'emblema del malcostume giudiziario. Incalzato dalle domande di Alessandro Sallusti, in questo libro Palamara racconta cosa sia il "Sistema" che ha pesantemente influenzato la politica italiana. "Tutti quelli - colleghi magistrati, importanti leader politici e uomini delle istituzioni molti dei quali tuttora al loro posto - che hanno partecipato con me a tessere questa tela erano pienamente consapevoli di ciò che stava accadendo." Il "Sistema" è il potere della magistratura, che non può essere scalfito: tutti coloro che ci hanno provato vengono abbattuti a colpi di sentenze, o magari attraverso un abile cecchino che, alla vigilia di una nomina, fa uscire notizie o intercettazioni sulla vita privata o i legami pericolosi di un magistrato. È quello che succede anche a Palamara: nel momento del suo massimo trionfo (l'elezione dei suoi candidati alle due più alte cariche della Corte di Cassazione), comincia la sua caduta. "Io non voglio portarmi segreti nella tomba, lo devo ai tanti magistrati che con queste storie nulla c'entrano."
Agli occhi delle sinistre europee la Revolución Ciudadana di Rafael Correa può sembrare un modello: una presa del potere pacifica e democratica, una Costituzione fra le più avanzate del mondo in quanto a riconoscimento dei diritti delle minoranze indigene e tutela dell'ambiente, politiche sociali che hanno ridotto la miseria e restituito dignità ai poveri. Ma la realtà del "socialismo del XXI secolo" è meno idilliaca: le opposizioni di sinistra contestano il regime, accusandolo di avere imboccato la via della dell'efficienza tecnocratica, di preferire la magia nera del petrolio alla magia bianca del "buen vivir", la modernizzazione di un capitalismo "dal volto umano" alla cultura tradizionale andina e ai suoi valori di cooperazione e solidarietà sociale, democrazia diretta e armonia uomo/natura.
Qual è oggi il ruolo dei giudici nella società e nello Stato? La perdita di credibilità della politica e l'indebolimento dei valori morali hanno portato la sfera di influenza del diritto a espandersi a dismisura. La politica guarda con sospetto l'intraprendenza della magistratura, mentre i cittadini incoraggiano i giudici che colpiscono i politici, almeno finché non vedono toccati i propri interessi. Come evitare il conflitto permanente e garantire invece un ragionevole equilibrio tra politica e giustizia?
Contestare il fondamento stesso di indagini che possano delegittimare gli eletti dal popolo è sbagliato, ma alla magistratura si richiede una nuova responsabilità. Ai valori di uguaglianza e promozione sociale, che hanno portato nel tempo dall'età della legge all'età dell'interpretazione della legge, è opportuno affiancare i valori di unità e responsabilità, privilegiando nel quotidiano esercizio della propria funzione la certezza del diritto e della sua interpretazione. Non c'è altro modo per evitare il conflitto permanente con la politica e il rischio di delegittimazione della stessa magistratura.
"Giustizia e potere non possono coincidere, in quanto la giustizia, per realizzarsi, si mette contro i poteri. I poteri di per sé tutto realizzano fuorché la giustizia. Basti pensare al potere economico, finanziario, a quello statuale, governativo o parlamentare, che realizzano anche le più profonde ingiustizie. La realizzazione della giustizia è qualcosa che non deve appartenere solo alla magistratura come ordine. Ma deve appartenere a un percorso di tutti, il perseguimento e le finalità di giustizia devono animare ognuno alla partecipazione alla vita pubblica".