Sugli attentati orditi contro Hitler esistono altri libri, da quello di Indro Montanelli, apparso nel 1949, a quello di Guido Knopp, pubblicato nel 2004. Ma quello di Roger Moorhouse presenta molte caratteristiche originali. È anzitutto una storia del nazismo e del suo leader, scandita dalle bombe, dai pugnali, dai colpi di pistola e dai minuziosi o fantasiosi complotti con cui un pugno di uomini e di donne cercarono di eliminare lo "spirito del male". È in secondo luogo un ritratto biografico del "bersaglio" e delle sue ossessioni. Pochi uomini furono così dominati dal sentimento del pericolo e dalla necessità di innalzare intorno alla propria persona un baluardo di protezione. Ma pochi furono altrettanto convinti della propria invulnerabilità. Fra gli uomini pubblici del suo tempo, Hitler fu uno dei primi che si servì per i suoi spostamenti di vetture blindate, di aerei gelosamente sorvegliati sino al momento della partenza, e di corpi speciali, composti da fedeli pronti a sacrificarsi per la sua sicurezza. Ma Hitler preferiva le vetture scoperte e dava prova, in molte circostanze, di una irresponsabile audacia. In terzo luogo il libro di Moorhouse è un saggio sulla razionalità e sulla follia dell'assassinio politico. Dallo svizzero Maurice Bavaud, "sicario di Dio", a Claus von Stauffenberg, ufficiale della Wehrmacht e gentiluomo prussiano, "Uccidere Hitler" è una galleria di "assassini" animati da motivazioni diverse.
Questo volume sostiene che la mancata condanna del regime franchista ha impedito alla Spagna democratica, emotivamente succube di quell'ingiustizia, di prendere le dovute distanze dal proprio passato repubblicano e di individuare in modo obiettivo le responsabilità anche repubblicane nel precipitare della guerra civile. Il senso di colpa nei confronti delle vittime del regime, mai risarcite dalle istituzioni, si è intrecciato al risentimento verso una oligarchia mai veramente costretta a pagare per i propri misfatti e ha prodotto non già la rilettura critica di quello scomodo passato, bensì un'abbondanza di luoghi comuni consolatori e di visioni parziali o edulcorate della parte repubblicana.
Vespasiano Gonzaga Colonna, valoroso condottiero e abile diplomatico, ma anche architetto militare e grande mecenate, inseguì un sogno: trasformare la romana Sabbioneta, che sorge dalla umida pianura lombarda, in una straordinaria città, circondata da mura a forma di stella a sei punte, dove raccogliere opere d'arte che rievochino la grandezza dell'antica Roma. Spinto da questo sogno, alla continua ricerca di soldi per realizzarlo, Vespasiano condusse una vita pubblica errabonda, fra i campi di battaglia, la corte imperiale asburgica e quella spagnola, e una vita privata turbolenta, che verrà segnata da molti lutti. Ma quando Vespasiano morì, a sessant'anni, nel 1591, il sogno di costruire dal nulla una perfetta città rinascimentale, inno alla potenza militare e alla bellezza classica, era compiuto. Sabbioneta, dopo trentasei anni di continui lavori, era un ideale divenuto realtà. In questa biografia avvincente come un romanzo, Edgarda Ferri fa rivivere le suggestive atmosfere del Rinascimento italiano, ricostruendo la vita di un uomo tormentato, di un grande principe, di uno spirito forte e visionario, che lasciò come memoria di sé una città intera, di tale stupefacente bellezza da rimanere intatta fino ai giorni nostri, troppo perfetta per subire le offese del tempo.
Nel 1915 il governo Ottomano, presieduto dal partito dei Giovani Turchi, deportò la maggioranza degli Armeni dalle loro terre in Anatolia. Secondo alcune stime, quasi il 40% della popolazione morì, molti in brutali massacri. Gli Armeni lo considerano il primo genocidio del Novecento (un milione e mezzo di morti), per i turchi la deportazione fu una risposta alla ribellione di massa armena, supportata da Russia e Inghilterra: una guerra regionale sottostante a frizioni internazionali; le morti, il risultato di malattie o inedia. Il saggio intende esaminare i fatti storici senza preconcetti politici, equidistante dalle due parti in causa.
La domanda che, con angolazioni diverse, ci si pone nel libro è questa: in che modo la sfera dei modelli e delle regole comportamentali, la pratica della gestualità quotidiana, la concezione dei sentimenti e delle emozioni si incontrano e si intersecano nell'arte greca? Gli artisti greci elaborano una "grammatica" capace di far sì che le immagini non siano solo oggetti da ammirare, ma strumenti per aprire una relazione con lo spettatore: l'immagine artistica diviene, così, mezzo per orientare l'osservatore verso norme e valori etici, per consentirgli la pienezza dell'esperienza religiosa e una partecipazione anche emotiva al racconto mitico.
I Cavalieri Teutonici furono potenti e fieri sostenitori della guerra santa. La loro storia fu una catena di crociate, campagne e lotte. Temuti dai nemici e rispettati dalla Cristianità del Medioevo, i Cavalieri ed il loro Ordine controllarono fermamente la regione baltica e la Germania del Nord, istituendo un sistema di governo forte ed autorevole, che prosperò per oltre trecento anni in tutta l'Europa Centrale. Questo testo è un importante contributo alla ricostruzione della storia dei Cavalieri Teutonici e del loro Ordine sotto il profilo militare: l'ascesa al potere, la lotta contro i pagani prussi, la sequela di guerre contro Polonia e Lituania, lo scontro con la Russia di Alexander Nevsky, la graduale stagnazione dell'Ordine durante il Quattordicesimo secolo. Il libro è ricco di episodi drammatici - la battaglia sul ghiaccio del Lago Peipus nel 1242, o la disfatta di Tannenberg - ma è soprattutto un racconto della continua lotta, anno dopo anno, che i Cavalieri sostennero per mantenere il potere, respingere incursioni e bande di predatori, e per lanciare crociate contro i nemici infedeli. Fu infatti la crociata, in cui i Cavalieri poterono dimostrare sempre il loro valore, la loro audacia e le loro virtù cavalleresche, che diede vita e animò nel tempo quest'Ordine religioso e militare. William Urban ci fornisce una mappa dell'evoluzione storica dell'Ordine. L'edizione italiana è arricchita da una estesa introduzione di Franco Cardini.
L'itinerario della evoluzione urbanistica, sociale ed economica di Trapani, che Salvatore Costanza ha seguito nei suoi precedenti lavori lungo l'arco della storia moderna e contemporanea, dal Cinquecento al secolo XX, si conclude con questo saggio sul Tramonto delle egemonie urbane, ricostruendo le convulse fasi della lotta politica nel primo dopoguerra e dell'avvento del fascismo. Esaurita l'euforia industriale che spinse la borghesia locale, tra Otto e Novecento, a inserirsi attivamente nel mercato nazionale e mediterraneo, si determinò, con la massima adesione del ceto alto/borghese al regime mussoliniano, la formazione del nuovo "blocco agrario" e la crisi del sicilianismo democratico di Nunzio Nasi. Il saggio che utilizza un'inedita documentazione archivistica e le Carte del fondo Nasi, ricostruisce il ventennio 1919-1940 sui tre livelli della storia politica, urbanistica ed economica, evidenziando gli aspetti del nuovo ordine sociale. In Appendice è la storia di una famiglia notabilare, consegnata nei Diari di Antonietta Dalì Platamone, dove s'intravede in scorcio la vita sociale della città e ce ne vengono restituite le declinanti atmosfere ideali e morali.
Sullo sfondo della complessa situazione politica (le grandi monarchie assolute), religiosa (il clima da dopo Controriforma) e sociale dell'Europa nel XVII secolo, si sviluppa e concretizza la civiltà dell'immagine, in una ricerca forzata della novità nelle forme esteriori ed estetiche. Per i suoi miglioramenti non solo in campo creativo (arte, teatro, poesia), ma anche scientifico, questo periodo è conosciuto come il "secolo d'oro". Il volume analizza l'arte in Europa con i suoi protagonisti e le sue evoluzioni principali.