Le "Melodìe ebraiche", scritte da Heinrich Heine (1797-1856) quando era ormai prostrato dalla malattia, concludono il "Romanzero", la sua ultima raccolta poetica, e rappresentano per certi versi il suo testamento spirituale nonché l'omaggio alla religione dei padri. In quest'opera il poeta cerca di far rivivere il mondo, che tanto lo affascinava, degli ebrei spagnoli nell'epoca aurea della cultura ebraica entro la sfera intellettuale araba. Le "Melodie ebraiche" rappresentano pertanto una sorta di approdo spirituale dopo i tentativi di sganciarsi, attraverso la conversione, dal mondo ebraico, sentito come ostacolo alla piena integrazione nella società e nella cultura tedesca. Cantando i poeti ebrei di Spagna Heine riesce a ridare voce a una tradizione millenaria. Sarà dunque proprio il linguaggio della poesia il luogo privilegiato in cui l'ebraismo di Heine troverà una "patria" e un rifugio. Il saggio introduttivo di Liliana Giacoponi si sofferma in particolare su un'identità scissa tra ebraismo e germanesimo, mostrando come il rapporto complesso con l'ebraismo, a partire dall'opera giovanile "Almansor" del 1820 e dal "Rabbi di Bacharach" (già iniziato negli anni fra il 1824 e il 1826 ma pubblicato solo nel 1840), caratterizzi comunque l'opera di Heine. La traduzione di Giorgio Calabresi qui utilizzata è accompagnata da un apparato di note che permette di ricostruire, in maniera meticolosa, il contesto in cui si muove l'autore.
"Frutto di un ciclo di catechesi trasmesse su Radio Maria, in queste pagine l'autore presenta le più importanti ricorrenze ebraiche, evidenziando alcuni tratti della liturgia ebraica non solo antica ma anche attuale, e mostrandone il compimento in Gesù Cristo. Un contributo per il vasto pubblico, che conosce ancora troppo poco la ricchezza della tradizione e della liturgia ebraiche, affinché la Chiesa, per usare una felice espressione di Papa Francesco, consideri sempre più «il popolo dell'Alleanza e la sua fede come una radice sacra della propria identità cristiana» (Evangelii Gaudium, n. 247)." (dalla prefazione del Card. Paul Josef Cordes)
Il mondo giudaico antico viene descritto attraverso una testimonianza eccezionale: l’apparato di norme elaborato attorno al 200 d.C. e attribuito a Giuda il Patriarca.
Pur vecchia di quasi duemila anni, la Mishnah porta con sé il futuro di un popolo che si costituì attorno ad essa come attorno a una seconda Torah: sulla base della Scrittura, la Mishnah istituisce, infatti, un modo di vivere mondano santificato in ogni suo momento e in ogni suo aspetto, dalla vita religiosa ai più minuti problemi.
I capitoli del volume descrivono e interpretano le tracce lasciate dalla storia e dall'ordinamento sociale nelle sei grandi divisioni della Mishnah: agricoltura, tempi stabiliti-feste, donne, danni-interessi, cose sacre, purificazioni. Preliminare alla trattazione è l'identificazione dei gruppi sociali che secondo l'autore potevano riconoscersi in questa compilazione. Ai loro interessi, opportunamente contestualizzati nelle drammatiche fasi storiche del I-II secolo, va riportato quel particolare «principio di selezione» che guida il rapporto della Legge d'Israele con la Scrittura.
Benedizioni e maledizioni, salmi e inni, esorcismi e formule apotropaiche. Una selezione di preghiere che si trovano in manoscritti databili tra il II secolo a.C. e il I d.C., mostra il sostrato da cui è scaturita la predicazione di Gesù. Lo studio del pensiero religioso del periodo finale del giudaismo del Secondo Tempio consente, infatti, di comprendere meglio le origini cristiane e di considerare la preghiera come il modo d’intendere Dio nella forma di un’alta espressione letteraria. Ogni capitolo di questo volume propone i testi originali, le traduzioni, le note, la bibliografia e un commento di carattere teologico che evidenzia, quando è possibile, i collegamenti con i testi del Nuovo Testamento​.
Berakhòt (Benedizioni) è il primo trattato del Talmud e fa parte del Séder Zera‘ìm (Ordine delle Sementi) che ha come oggetto l’insieme dei precetti relativi all’agricoltura, come le norme sulle decime dei prodotti agricoli, l’anno sabbatico, le primizie, l’angolo del campo da destinare al povero e allo straniero. Leggendo il trattato Berakhòt si comprende prima di tutto come il significato di "benedizione" abbia nell’ebraismo numerosi significati, rituali, religiosi e filosofici, che conducono il lettore a riflettere sul rapporto tra l’uomo, Dio e il creato. Questo trattato che apre il Talmud, considerato tra i più profondi e interessanti, affronta anche molti altri argomenti oltre alle norme agricole e le regole relative alle benedizioni. La prima parte del trattato è dedicata alle regole concernenti la più importante preghiera ebraica, lo Shemà. La prima frase di questa preghiera rappresenta l’essenza della fede ebraica: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno”. Essa afferma l’unicità e l’unità di Dio, ed è alla base del concetto di monoteismo. Dopo la preghiera dello Shemà si affrontano le norme relative a un’altra preghiera centrale nella liturgia ebraica: la Amidà. In particolare si trattano le regole che traggono origine dalla preghiera di Channà, la donna sterile che si recò al Santuario per pregare il Signore di concederle un figlio. La preghiera fu efficace e da lì a un anno nacque un bambino, Samuele, il profeta alla cui vita e opere sono dedicati i due libri biblici omonimi. All’inizio del primo libro è riportata la preghiera di Channà la cui storia viene raccontata nel trattato. In seguito si affrontano le norme relative a tutte le altre benedizioni, da quelle sul cibo a quelle della vita quotidiana e quelle particolari come quando si assiste a un miracolo, a un particolare fenomeno atmosferico o a uno spettacolo della natura o quando ci si salva da un pericolo o si riceve una buona o una cattiva notizia. Ma il trattato Berakhòt è famoso anche per le sue numerose parti di racconto, di Aggadà. Si tratta di passaggi che aprono lo spazio a considerazioni filosofiche, alla conoscenza storica, archeologica e scientifica, con brani di grande interesse anche economico e sociologico, sempre senza censure nei confronti di qualsiasi argomento. E infine troviamo un’affascinante disamina dei sogni, della possibilità di interpretarli e del valore che può essere loro attribuito. Leggendo i nove capitoli di Berakhòt si entra, nella migliore tradizione talmudica, in una sorta di “universo” nel quale nessun argomento è escluso dalla discussione dei Maestri.
Non la si può toccare e non ha un odore (a meno che non si tratti di una minestrina di pollo fatta in casa). Non la si può comprare e la si riconosce dalla calda sensazione di felicità che proviamo nei nostri cuori quando facciamo delle buone azioni. Ma cos’è? In questo delicato libro si spiega con l'aiuto di tanti amici animali il significato della parola ebraica "Mitzvà". Un modo per suscitare curiosità in un'ottica di condivisione culturale e per stimolare i giovani lettori all'attenzione verso i buoni sentimenti e le buone azioni.
Quando il 13 aprile 1986 Giovanni Paolo II entrò nella sinagoga di Roma la notizia fece il giro del mondo. Non accadeva dai tempi di Pietro che un papa entrasse in sinagoga. Quel gesto, che marcava un eccezionale avvicinamento fra cristiani ed ebrei, era opera di due personaggi a loro volta d'eccezione, papa Wojtyla e il rabbino capo di Roma Elio Toaff. Per Toaff era il coronamento di una vita spesa per intero a servizio dell'ebraismo e degli ebrei. Egli volle allora ricapitolarla in questa memoria, che con un racconto sereno e saggio, ma non indulgente, attraversa il fascismo, la persecuzione, la guerra, la nascita di Israele, il rapporto della società italiana con l'ebraismo, l'antisemitismo ritornante. Arricchito da testi e testimonianze, il ritratto della maggiore e più amata figura dell'ebraismo italiano.
L'opera di John Barton è uno studio del pensiero etico nell'Israele antico fra l'VIII e il II secolo a.C. La documentazione alla base della ricerca è costituita primariamente dalla Bibbia ebraica e dalla letteratura giudaica di età ellenistica sia rabbinica sia di lingua greca come anche dagli scritti di Qumran. Se nei lavori dedicati alla storia dell'etica la Bibbia di solito non compare, Barton mostra al contrario come nella letteratura espressa da Israele si possano incontrare stili diversi di pensiero etico e come il pensiero razionale sia molto più frequente di quanto perlopiù si pensi. Non è azzardato affermare che il divario fra il pensiero israelitico antico e la filosofia antica non è tanto profondo come solitamente si suppone. Dallo studio di Barton emerge come le fonti rivelino un pensiero profondo e articolato riguardo a questioni di etica, uno stile di pensiero che ancor oggi è stimolante e che regge il confronto con le concezioni dell'antichità classica e dei tempi moderni.
In un'epoca di crisi, cosa significa appartenere e trasmettere? Contrariamente a ciò che affermano i fondamentalismi, la trasmissione di un retaggio non deve essere una replica dell'identico. Oggi come ieri, per far emergere l'inedito essa dipende da una parziale infedeltà. Coniugando filiazione e rottura, la tradizione ebraica si rinnova nutrita dal suo incontro con gli altri. Ciò implica l'apertura allo straniero, così come l'apertura al femminile. Questo libro è dunque prima di tutto un'esortazione a fertilizzare i testi sacri con letture inedite. Con questa visione aperta della religione, Delphine Horvilleur rivisita alcuni episodi della Genesi, in particolare quelli di Adamo ed Eva, Caino e Abele: la storia biblica dei primi genitori e dei primi figli dell'umanità. Tre sono poi i temi affrontati: come si forma, secondo l'ebraismo, un genitore, una identità e un desiderio, ossia la possibilità di generare il futuro. Con chiarezza e humour, citando la Torà e II Talmud, ma anche Romain Gary e Amos Oz, la Horvilleur conclude il suo libro con una analogia tra il testo sacro e il femminile, dotati entrambi della capacità di crescere e moltiplicare.
La tradizione mistica ebraica insegna che Adamo ed Eva, quando si trovavano nel giardino dell'Eden, possedevano dodici sensi.
Dopo la “caduta”, assieme al rapporto diretto con il divino, l'essere umano vide attenuarsi anche la sua “sensibilità edenica”.
Molti dei sensi posseduti nel giardino vennero celati sotto una “tunica di pelle” e poi, con il passare del tempo, smarriti nelle profondità della coscienza.
Un giorno un uomo, guidato dall'ispirazione divina, ritrovò i sensi perduti.
La sua scoperta fu così importante che decise di inciderla in un libro.
Quell'uomo era Abramo, il primo ebreo, e quel libro era il Séfer Yetzirà, primo e fondamentale testo cabalistico.
Abramo, perché non andassero di nuovo persi, legò quei sensi a dodici sacre lettere dell'alfabeto ebraico e ai dodici segni dello zodiaco.
Questo libro ci porta alla scoperta di quei sensi, di quelle lettere e di quei segni, dimenticati dall'essere umano ma indelebilmente impressi nella millenaria tradizione ebraica.
Per ognuna di queste “Sacre Chiavi” sarà offerto un racconto, una vera e propria storia iniziatica che accompagnerà il lettore in un personale percorso interiore.
Per ognuno dei 12 sensi, attraverso la storia proposta, il lettore avrà l’opportunità di andare oltre le "barriere" della propria parte razionale al fine di ottenere informazioni preziose per il proprio percorso evolutivo.
Il nonno polacco di Eduardo Halfon arrivò in Guatemala nel 1946 dopo essere sopravvissuto alla Shoah e non tornò mai in Polonia. Aveva sempre proibito alla sua famiglia di andarci. I polacchi, diceva, ci hanno tradito. Ma poco prima della sua morte Eduardo disse ancora una volta al nonno che voleva visitare Lodz, la sua città natale. Ma lui ancora una volta si arrabbiò e sbatté la porta. Però, poco dopo, tornò con un foglietto dove c'era scritto l'indirizzo della sua casa a Lodz e lo dette al nipote come un ordine o un'eredità. Questo racconto è la storia di dove quel foglietto ha finalmente portato Eduardo: in Polonia, nelle vecchie strade di Lodz.
La bellezza del pensiero e dell'opera filosofica della Stein è tutta nella sua vita, iniziata, non a caso, in uno Yom Kippur (Giorno dell'Espiazione) del 1891 e conclusasi mirabilmente con la sua offerta in espiazione per il popolo ebraico e per la Chiesa, ad Auschwitz, il 9 agosto del 1942. Parafrasando il libro del Siracide, secondo il quale «un uomo si conosce veramente alla fine», si può dire che un vero filosofo si conosce alla fine, in quanto quest'ultima costituisce il coronamento di una vita e di un pensiero ricolmi di amore per la sapienza.