Non sono molti gli autori della letteratura cristiana antica che, come Agostino, possono vantare anche oggi un seguito così largo e fecondo. Non è solo perché egli si trova all’incrocio di tante strade della teologia e della filosofia su cui ha lasciato la sua originale impronta. È anche perché alcune sue opere continuano ad esercitare un particolare richiamo, per il dono che hanno di saper sempre parlare in modo nuovo all’intelletto e al cuore. Nel novero di tali scritti ci sono indubbiamente Le Confessioni: un libro di grande intensità spirituale e umana, che questa edizione aiuta a scoprire in tutta la sua ricchezza e profondità.
La famiglia afroamericana dei Watson vive a Flint, nel gelido Michigan, affrontando le difficoltà quotidiane con una buona dose di umorismo. Kenny è un ragazzino ingenuo e studioso, spesso preso in giro dai compagni, Joetta una bambina docile e allegra. A dare grattacapi a mamma e papà è invece Byron, l’esuberante figlio maggiore. Per evitare che Byron si cacci ancora nei guai, i genitori decidono di mandarlo dalla nonna a Birmingham, in Alabama. Così, approfittando delle vacanze scolastiche, tutta la famiglia parte per il Sud degli Stati Uniti. È l’estate del 1963. Folle di neri protestano pacificamente contro la segregazione razziale in atto. Per i Watson sarà un viaggio memorabile, che li vedrà coinvolti in uno degli avvenimenti più drammatici della storia del Movimento per i diritti civili e della lotta contro il razzismo. Di lì a poco Martin Luther King pronuncerà il suo immortale discorso: «Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per ciò che la loro persona contiene. Io ho un sogno oggi!» Età di lettura: da 10 anni.
In Italia il carcere fa "notizia" solo quando si segnalano, con poche righe di commento, l’ennesimo caso di suicidio di un detenuto (o di un agente di Polizia Penitenziaria), o la violenza degli agenti contro i detenuti, oppure un episodio di protesta che agita la popolazione in custodia dello Stato costretta a condizioni di vita inaccettabili per un Paese civile. La nostra gestione della pena e del reinserimento dei condannati è sotto osservazione da molto tempo da parte delle autorità europee e ha anche subito gravi condanne per la mancata difesa dei diritti umani in carcere. Il quadro descritto da questa situazione potrebbe far pensare che — oltre a una messa in discussione dello strumento carcere — sia necessaria una radicale riforma del sistema penitenziario, complessa e di difficile attuazione. Ma non è così. La "rivoluzione normale" che Luigi Pagano illustra e motiva in questo libro consiste nell’applicazione coerente delle leggi che riguardano il sistema penitenziario che già fanno parte del nostro ordinamento. Esse applicherebbero alla pena il dettato dell’art. 27 della Costituzione (che definisce che essa deve mirare al recupero e al reinserimento del detenuto nella società), ma non vengono rispettate e applicate. Se ciò avvenisse, potremmo dire che, se proprio abbiamo bisogno di un carcere, esso sarebbe all’altezza della civiltà di un Paese democratico.
Nell’esperienza di vita quotidiana, è inevitabile imbattersi nella dialettica io-noi. In un tempo segnato dalla lacerazione del tessuto sociale e dalla radicalizzazione dei conflitti, nel quale l’io è sempre più centrale ed è stimolato ad accrescersi a discapito di un noi che sembra dover scomparire, tale binomio sta soffrendo una profonda crisi. La riflessione sulle relazioni diventa, più che mai, urgenza culturale e spirituale. Emilia Palladino affronta questo nodo essenziale e riflette sulla costruzione di un sistema paritario di relazioni, sulla possibilità di ricucire gli strappi e di ridare vita a un noi che si configuri come uno spazio di costruzione e di rischio condiviso. Si disegna qui un itinerario che, senza facili ottimismi, restituisce concretezza alla possibilità di una convivenza sociale fondata sulla cura, sulla prossimità e sul rispetto radicale dell’altro e dell’altra. L’autrice fornisce strumenti analitici per comprendere la complessità delle relazioni umane, nella consapevolezza che il noi non è un dato immediato, ma una costruzione fragile inserita in una trama relazionale che, per essere davvero umana, non può mai ridursi a dinamiche di potere, di prestazione o di scarto.
Una parola scorre sotto tutte le parole della Bibbia, come una corrente sotterranea, una nervatura delle pagine. Questa parola è "vita". A partire dal libro della Genesi, quando Adamo divenne un essere che ha vita (Gen 2,7), proseguendo con i racconti dell’Esodo quando, nei giorni dell’alleanza, il Signore disse: «Hai davanti a te la vita e la morte, scegli!» (Dt 30,19), attraversando i Salmi, la cui supplica più ripetuta è: «Fa’ che io viva!», fino ai Profeti, che rivelano il volto del Dio della vita, tale parola agisce da protagonista nascosta. Queste pagine ci accompagnano lungo un itinerario che culmina nella figura di Gesù: questi ha l’audacia di attribuirsi, come suo nome proprio, come sua identità, la vita: «Io sono la vita» (Gv 14,6); anzi, ne fa la sua missione specifica: «Sono venuto perché abbiano la vita in abbondanza» (Gv 10,10).
Non basta cercare risposte: serve ascoltare le domande. Quelle vere, che ci abitano nella fatica, nei legami, nei silenzi. In queste pagine di padre Gaetano Piccolo emerge una spiritualità che prende sul serio la vita, con le sue ferite e le sue attese. L’autore, ispirandosi alle chiacchiere degli anziani, udite da ragazzo nei crocicchi del suo paese, ci invita a un dialogo sulle questioni più pressanti della vita, che apra a un cammino senza scorciatoie, dove la fede non sia rifugio, ma spazio di verità. Le domande, così, diventano luogo di incontro con Dio, con sé stessi, con l’altro. Un testo essenziale e profondo, pensato per chi accompagna, per chi è in ricerca, per chi desidera abitare con autenticità le domande che ci fanno umani. Perché solo non sfuggendo alle domande, si può imparare a credere davvero.
«La riscoperta dell’intero discorso, qui riportato, rende omaggio al desiderio di don Tonino che nessuna parola andasse perduta, ma che anzi continuasse a suscitare interrogativi e propositi nella vita del popolo cristiano. Poterlo ascoltare mentre parla di Maria in termini così semplici e al contempo elevati, richiama un’urgenza che vale tuttora: non basta avere grandi proclami di rinnovamento se ciascuno, con la propria specifica vocazione, non si mette in gioco. I laici, sottolineava don Tonino, sono chiamati a seminare il Vangelo nel tessuto civile, a rendere testimonianza di prossimità verso i più fragili, a intrecciare con la società un dialogo fatto di concretezza e di ascolto. Questo volume — con la trascrizione fedele della conferenza, le immagini dei suoi appunti e il video della conferenza stessa — diventa un’occasione imperdibile per immergersi nello stile coinvolgente di un vescovo che non poteva rassegnarsi a una Chiesa autoreferenziale e clericale». Dalla Prefazione di fra Alessandro Mastromatteo.
Educare non significa trasferire conoscenze, ma esporsi al rischio dell’altro, alla fatica della relazione, al peso delle storie che ciascun giovane porta con sé. In queste pagine Eraldo Affinati attinge a decenni di esperienza scolastica per una riflessione radicale sul gesto educativo, tessendo un fitto dialogo con una pluralità di voci — da Jung a Bonhoeffer, da don Milani a Teilhard de Chardin. L’immagine della scuola che l’autore restituisce non è mai quella di un luogo di semplice trasmissione di saperi: è il terreno fragile in cui gli adulti come i giovani si misurano con l’ansia di fallire e il desiderio di trovare un senso. Emerge la coraggiosa prospettiva che la pedagogia si faccia anzitutto incontro, il sapere si faccia responsabilità, la valutazione ceda il passo alla cura. Si compone così il ritratto di un mestiere che si offre ogni giorno al rischio di esporsi, per indicare a chi è ancora in cammino verso l’età adulta una strada, senza mai poterla garantire. Un libro che parla a insegnanti, educatori, genitori, ma soprattutto a chiunque creda che in ogni gesto educativo si gioca sempre una scommessa sul domani, una delle più alte del nostro tempo.
Severino Dianich - tra i grandi protagonisti della Chiesa contemporanea - ha attraversato alcuni dei momenti decisivi della storia recente; scrive infatti: «Tanti sono gli eventi che abbiamo vissuto dagli anni Trenta del secolo scorso agli anni Venti del secolo presente, che mi sembrano troppi per essere contenuti nella manciata di decine di anni da me vissuti». Acuto osservatore del mondo e raffinato teologo, in queste pagine Dianich racconta, attraverso la sua vita, quasi un secolo di storia dell'umanità: «La mia generazione ha avuto la ventura di assaporare due tragiche dittature, quella fascista e quella comunista, una guerra mondiale durata cinque anni, la guerra fredda e il terrore diffuso di un conflitto atomico, l'avvento successivo, nei paesi più fortunati del mondo, di ricchezza e benessere... Data l'altra mia ventura di essere un prete cattolico, parroco, impegnato nella pastorale universitaria e professore di teologia, sarà facile capire con quanta passione abbia vissuto l'evento del Concilio ecumenico Vaticano II». In questa autobiografia riviviamo un mondo che non c'è più, che è passato «dal pennino e il calamaio alla penna stilografica, dalla macchina da scrivere al pc, dal dos al windows e poi ad altri infiniti nuovi marchingegni...»
Un testo ricco di testimonianze, dallo stile emotivo e commovente, in cui l'autore riesce con straordinaria semplicità a restituirci la santità di un ragazzo, ineguagliabile nella grandezza di aver saputo esprimere il meglio della sua generazione e nel poter essere ancora d'aiuto e di modello ai giovani di oggi e di domani. Matteo Farina è modello di fede, di speranza e di positività, in un tempo sempre più complicato e drammatico, e dimostra come la scoperta dell'amore di Dio possa trasformare la quotidianità in occasione e ogni dono terreno in sguardo rivolto verso il cielo, per il bene di tutti coloro che ci circondano.