Questo breve trattato sull'amore - in tutte le sue accezioni, da quella sensibile alle vette dell'estasi mistica - si colloca nell'ampia analisi compiuta da Josef Pieper sulle virtù, cardinali e teologali. Il testo, che si rifà tanto ai classici della filosofia e della teologia - Platone, Agostino, Tommaso d'Aquino, Francesco di Sales, Karl Barth, Anders Nygren - quanto alla psicanalisi del Novecento, da Freud ai suoi contemporanei americani, fornisce l'impianto architettonico della virtù e, al contempo, della persona umana. è un dialogo con il lettore stesso, che vedrà in queste pagine declinate le varie sfumature dell'amare - carnale, psicologica, spirituale - e insieme un ritratto del suo essere uomo e creatura di Dio. «L'essenza dell'amare e dell'essere amati», scrive nella Prefazione Andrea Aguti, è per Pieper «sentirsi, nonostante tutto, "giustificati nella propria esistenza"».
Nel 1935 la predicazione e l'attività educativa di Romano Guardini lo portano a scrivere queste dieci riflessioni, una sintesi delle dimensioni fondamentali dell'esistenza cristiana. Confrontandosi, da un lato, con l'impostazione teologica dominante e, dall'altro, con il pensiero di John Henry Newman, l'autore affronta la questione del sorgere della fede e del suo contenuto, avendo attenzione anche ai momenti di crisi e tensione della stessa esperienza del credente. Di qui le pagine sulla fede nell'azione, nell'amore e nella speranza, sulla varietà delle forme in cui si concretizza, sul suo sapere e il rischio della gnosi come superbia intellettuale. L'opera si conclude con un approfondimento delle formulazioni dogmatiche nella Chiesa e sul significato del vivere i sacramenti, in quanto trasformazione interiore.
Il volume raccoglie due opere, Pensiero e poesia nella vita spagnola e Filosofia e poesia, composte da María Zambrano durante l'esilio, nel 1939. Per far fronte alla sconfitta dei repubblicani nella guerra civile spagnola e al trionfo del razionalismo nella filosofia moderna e contemporanea, l'autrice muove alla ricerca dell'essenza della Spagna, della sua tradizione viva e di un diverso tipo di ragione, più vicina alla poesia e all'esperienza religiosa. Comincia qui a prender forma la teoria della "ragione poetica" come nuovo metodo di conoscenza: nell'attitudine del poeta, il filosofo riscopre il contatto diretto con la realtà e una forma di pensiero che non pretende di dominare il mondo, ma sa lasciarsi possedere dalla sua varietà. Poesia e filosofia, che hanno un'origine comune nella meraviglia, sono complementari: non c'è poesia senza pensiero né ragione senza poesia e solo la loro unione può indicare il cammino verso la verità.
Con il termine "anima" la teologia cristiana, riprendendo alcune acquisizioni della cultura biblica e della filosofia greca, ha voluto salvaguardare l'identità singolare dell'essere umano e la sua destinazione a superare la morte. Negli ultimi decenni, alcuni orientamenti delle neuroscienze hanno invece ritenuto che anche la dimensione "spirituale" degli esseri umani sarebbe espressione di processi neuronali. Il libro si confronta con questi orientamenti per verificare se quanto la tradizione ci ha lasciato in eredità sia da abbandonare o non piuttosto da interpretare come utile strumento per riaffermare l'originalità dell'essere umano tra i viventi. L'obiettivo che l'autore si prefigge è anzitutto metodologico: di fronte al fenomeno umano qual è la spiegazione che meglio corrisponde all'aspirazione al trascendimento che anche la cultura e la tecnica testimoniano? Il confronto si sviluppa a partire dai grandi pensatori del passato - in particolare Tommaso d'Aquino - e dalla ricerca esegetica attuale.
«Siccome l’importanza della Sacra Scrittura è di essere per gli uomini un interprete del divino e la sua esigenza è di voler insegnare al credente tutto dall’inizio, è ovvio che i suoi termini ed espressioni risuonino ripetutamente nei luoghi sacri. Ma pure nei discorsi quotidiani e profani si ode talvolta un’espressione biblica che dal sacro si è smarrita nel mondo – smarrita perché il modo in cui viene usata mostra a sufficienza che non ha lasciato volontariamente casa sua, bensì che è stata rapita. Chi la impiega non è commosso dall’espressione biblica, non risale indietro col pensiero per trovare il suo luogo serio nel contesto sacro, non atterrisce all’idea che è un sacrilegio usare in questo modo l’espressione anche se l’uso, lungi dall’essere un’impudenza, è agli occhi degli uomini soltanto una leggerezza perdonabile». Questo incipit di uno dei discorsi edificanti vale anche per gli altri diciassette pubblicati da Soren Kierkegaard a suo nome tra il 1843 e il 1844 – qui per la prima volta tutti tradotti in italiano –; e ancor più vale quanto posto in premessa a spiegazione del titolo: «Discorsi, non prediche, poiché il suo autore non ha autorità per predicare; Discorsi edificanti, non discorsi di edificazione, poiché il parlante non presume affatto di essere maestro». Con questo spirito Kierkegaard, il quale si era prefisso nella vita «una cosa sola, rendere attenti alla dimensione cristiana», li compose in controcanto alle contemporanee opere pseudonime – le celebri Enten - Eller, Timore e tremore, Il concetto di angoscia, per citarne alcune –, che vengono così illuminate di luce nuova.
In queste pagine è per la prima volta ricostruita la storia del musar, l'ideale ebraico della moralità come centro della religione. Nell'Ottocento, in Europa, questo concetto fu il motore di un movimento, avviato dal rabbino Vira'el Lipkin detto il Salanter, che riformò le scuole rabbiniche ortodosse con un curriculum ispirato ai classici del musar, dal medioevo (Yonah Gerondi e Bahya ibn Paqudah) al XVIII secolo (Mose Hayyim Luzzatto e Naftali Wessely). Il libro analizza i testi enucleando i valori e le prassi religiose di questa corrente della filosofia ebraica, che nel XIX secolo mise enfasi sulla dimensione psicologica della fede, e non solo sullo studio dei testi sacri, anticipando persino alcune intuizioni sviluppate più tardi dalla psicoanalisi freudiana. La pedagogia del musar si pose sempre lo scopo di arricchire spiritualmente l'approccio razionale tipico deli studi talmudici e di valorizzare la dimensione motivazionale e morale, quella che si suol chiamare "1a sapienza del cuore", mirando a una più alta sintesi tra ragione e sentimento, esteriorità e interiorità, corpo e anima, legge e intenzione, timore e amore. In tal senso il volume si profila come una vera e propria "filosofia ebraica della religione" e non solo come una filosofia della religione ebraica.
I testi qui proposti cercano di dare una risposta alla "questione ebraica". Interpretata come esigenza di una rinascita spirituale e culturale prima che politica, essa è meta di un cammino personale che muove da spunti diversi, tutti volti a superare, con uno sguardo universale, la crisi del rapporto dell'uomo con la realtà: il sionismo di Theodor Herzl; la responsabilità verso la verità di Achad Haam; il tentativo, compiuto da Hermann Cohen, di conciliare l'amore per Dio e la filosofia, la Scrittura e le verità di Platone e Kant; la possibilità, testimoniata da Franz Rosenzweig, di un dialogo fecondo tra religiosità ebraica e cultura occidentale. Queste figure dell'ebraismo sono per Martin Buber, ciascuna a suo modo, maestri, se maestro è colui che crede nella verità anche in "un tempo in cui gli uomini vivono in illusioni di comodo".
Martin Buber (1878-1965) è stato uno dei più importanti pensatori tedeschi del Novecento. Tra le sue opere nel catalogo Morcelliana: Amicizia nella Parola. Carteggio (con F. Rosenzweig, 2011); Religione come presenza (2012); Israele e i popoli. Per una teologia politica ebraica (2015); La vita come dialogo (Scholé, 2019).
In questo straordinario testo emerge quello che potremmo definire il discorso sul metodo di Guardini maestro di ermeneutica: l'interprete vi appare come colui che cerca di chiarire a sé ciò che un altro ha plasmato a suo modo. Ma l'approccio a un testo non deve ridursi a filologismo o estetismo: il rapporto con il linguaggio testuale deve saperne apprezzare la molteplicità di strati e l'ampiezza di significati. Per tutto ciò occorre andare incontro al testo con empatia: l'interpretare per Guardini è un incontro dialogico, un guardarsi l'un l'altro, un volgersi reciprocamente lo sguardo. La sorpresa sarà allora che il poeta - Rilke, Shakespeare, Hopkins, Dante, Raabe - avrà espresso qualcosa che trascende la sua concreta individualità - qualcosa che addirittura lo sorprenderebbe. È il fascino di ogni incontro, sia esso con una persona o con un testo letterario. Per Guardini l'opzione ermeneutica non nasce mai da debolezza teoretica, da un rifugiarsi dietro un altro, ma è un modo originale di ritrovare uno sguardo sul mondo, per cui vale per lui quanto diceva Goethe: «Se non avessi portato già il mondo in me mediante l'anticipazione, sarei rimasto cieco anche con gli occhi "veggenti"». (Silvano Zucal)
Se per definizione paradigma è per lo più un sistema fisso che pare contraddire il movimento stesso della storia, qui invece esso serve a narrare un'epoca oltre la sua contingenza, esplicitando gli elementi divenuti assi portanti, per alcuni secoli, dell'istituzione "Chiesa" come storicamente si è sviluppata con e dopo il Concilio di Trento. Proseguendo la ricerca del maestro Hubert Jedin - iniziata ancor prima del 1940 sulla base della convinzione che «l'epoca tridentina della Chiesa era tramontata» -, Paolo Prodi rimedita su quel modello storiografico a lungo da lui approfondito, tenendo conto del permanere di molti elementi del passato a cinquant'anni dalla fine del Vaticano II e della fatica con cui stenta ancora a emergere la conclusione di quella fase della Chiesa nei travagli dei nuovi tempi. In queste pagine, l'autore riprende le discussioni storiografiche dei decenni precedenti «per rispondere a un interrogativo semplice e difficilissimo a un tempo: quali sono gli elementi che hanno caratterizzato la Chiesa tridentina come una fase di una storia bimillenaria ben più lunga e complessa?». Questo libro è un capitolo di storia della Chiesa e di storia dell'Occidente moderno, dove l'una aiuta a decifrare l'altra. «Un'esposizione problematica - scrive nella Prefazione Marco Cavarzere - di antiche e nuove questioni e un lascito per il futuro».
Questa Storia del mondo islamico fornisce un'analisi inedita della formazione del mondo islamico e dei principali sviluppi che hanno caratterizzato la storia dell'Asia occidentale dalla tarda antichità fino all'inizio dell'era moderna. Suddivisa in due parti cronologiche e quattordici capitoli, l'ampia panoramica offerta esamina la salita al potere di varie dinastie nell'ambito della storia islamica, attraverso molteplici pratiche nonché discorsi di potere e autorità in un'epoca teocratica. L'opera di Steenbergen, che trascende numerosi stereotipi comuni sulla storia dell'Islam, adotta un approccio che coniuga storia degli eventi e storia delle idee al fine di comprendere, interpretare e insegnare la storia premoderna dell'Asia occidentale islamica. In particolare, l'autore evidenzia la connessione asiatica dei paesaggi socioculturali compresi tra il Nilo a sud-ovest e il Bosforo a nord-ovest, e tra l'Oxus (Amu Darya) e il Jaxartes (Syr Darya) a nord-est e l'Indo a sud-est. Il volume, riccamente illustrato e corredato da mappe e tabelle dinastiche, consente di acquisire una conoscenza approfondita di questa vasta regione del mondo.
Dalle riunioni educative per i giovani cattolici tedeschi avvenute nel 1929 al castello di Rothenfels nascono queste dieci meditazioni di Romano Guardini, che trattano altrettante dimensioni del volto del Dio di Gesù Cristo, offrendo un percorso carico di afflato spirituale. Le riflessioni toccano i temi della Provvidenza, della volontà di Dio, della grazia e della contrizione, del cuore e del Dio che consola, dando corpo alle grandi parole della fede e mettendo in luce il loro apporto vitale per l'esistenza. Grande è l'attenzione per l'umanità del credere, per i tratti che dicono la "carne" della fede e il midollo delle giornate: le domande, la morte, la coscienza della colpa, il perdono, la speranza. Con uno guardo profondo sulla realtà della creazione, Guardini testimonia e annuncia il Dio Vivente, il Dio della vita, appunto, che guarda il mondo e l'uomo con benevolenza.
Nei capitoli di questo volume Romano Guardini espone le sue riflessioni sull'ansia del vivere come motivo esistenziale e spirituale. Sono pensieri che non nascono da preoccupazioni teoretiche, ma da una dolorosa sollecitudine per i problemi e le minacce che incombono sui singoli e sull'umanità. L'autore mette in discussione le fondamenta di alcuni idoli della cultura di massa, prima fra tutti l'idea di un incessante progresso economico e tecnico-scientifico che erroneamente si presume anche umano. All'acuta osservazione dei fenomeni che inaridiscono la fede si affiancano riflessioni filosofiche sulla struttura del potere, la libertà, la capacità di decisione richiesta dal pluralismo, l'avvilimento del valore dell'uomo. Ne risulta una prospettiva sulla civiltà e sulla cultura che ancora oggi interpella l'intelletto, la volontà, la fede.