DESCRIZIONE: Del confratello fra Cristoforo di manzoniana memoria, Giovanni Pozzi aveva la passione e il rigore. E una smisurata cultura nella letteratura profana e in quella sacra che, congiunta a una acuminata strumentazione critica e a una originale sensibilità, ne hanno fatto un saggista di fama internazionale. Ma dopo aver studiato scrittori medievali e barocchi, romantici e novecenteschi, il suo vero auctor lo trova in un confratello, Agostino Venanzio Reali (1931-1994). I suoi studi più maturi, qui riuniti, indagano la poesia scoperta di fatto dopo la morte del lirico e artista. È attratto dalla sua «anomalia»: l’ordine che s’ispira a san Francesco si è distinto nella pittura e nella scultura, nell’intaglio e nelle vetrate assai più che nella poesia, mentre in Reali la dedizione alle arti figurative si concilia e in certo senso nutre la sua parola poetica. E nella sua opera Pozzi sorprende, interrelati, i nodi cari a lui e ai suoi lettori: il rapporto tra pittura e poesia, come nei Bozzetti per creature ove brillano i colori della letizia francescana; il confronto intertestuale con Libro sacro (esperito nell’analisi della splendida versione realiana del Cantico dei cantici); il filo tematico mariano; la dialettica parola-silenzio della scrittura mistica... Ma Reali è caro a Pozzi soprattutto perché «la sua non è poesia del sacro, ma realtà religiosa che si esprime in forma poetica». Con questo libro, quasi testamentario, il grande critico ci guida verso la scoperta dell’alta poesia del confratello, preannunciando un “caso” postumo di grande respiro.
(Pietro Gibellini)
COMMENTO: La scoperta di uno dei più importanti poeti italiani della seconda metà del '900, frate cappuccino (1931-1994) in Emilia Romagna, biblista, pittore e scultore.
DESCRIZIONE: Già studiata dal Fe’ d’Ostiani nella seconda metà dell’Ottocento e dal Guerrini alcuni decenni or sono, la personalità di Domenico Bollani è stata affrontata da Christopher Cairns con viva sensibilità storica e sulla base di un’ampia documentazione, reperita con pazienti e puntigliose ricerche d’archivio.
Nato a Venezia nel 1513 da una famiglia aristocratica, non più ricca, ma pur sempre dotata di prestigio, Domenico Bollani compì gli studi di diritto nell’università di Padova. Entrò ben presto al servizio della Serenissima, assolvendo numerosi uffici politici e diplomatici. Entrato a far parte del Senato veneziano, fu riconosciuto «senator di grandissima prudenza» e pertanto investito nel 1555 della luogotenenza del Friuli in una situazione difficile per epidemie, carestie, fermenti popolari e diffusione dell’eresia, e nel 1558 dell’ufficio di podestà di Brescia.
Il 15 marzo del 1559, alla morte del card. Durante Duranti, il Bollani fu nominato da Paolo iv Carafa vescovo di Brescia, con una prassi, non nuova nella Repubblica veneta, di trasferimento da un ufficio secolare ad un ufficio ecclesiastico.
L’abilità diplomatica, il realismo, la capacità di mediazione, lo spirito pragmatico del Bollani si rivelarono anche nella trama dei complessi rapporti, fatti di tensioni, di polemiche e di rappacificamenti, tra la Serenissima, gelosa della sua sovranità, e il Papato. In Bollani era vivissima la devozione agli ideali sia della Riforma cattolica sia dello Stato veneziano, cosicché nelle dispute tra Roma e Venezia, a proposito della pubblicazione nei domini veneziani della bolla In Coena Domini e delle attività inquisitoriali, la sua azione fu mediatrice e pacificatrice.
COMMENTO: Una ricognizione sulla figura di Domenico Bollani, grande vescovo riformatore di Brescia, che getta luce sul ruolo della Chiesa nella politica veneziana del XVI secolo.
CRISTOPHER CAIRNS insegna Storia del teatro italiano all’Università di Westminster (Londra). I suoi studi spaziano dalla letteratura del Rinascimento alla storia religiosa nell’età del Concilio di Trento, alla storia del teatro contemporaneo. Tra le sue pubblicazioni: Pietro Aretino and the Republic of Venice. Researches on Aretino and his Circle in Venice (1527-1556), Olschki 1985; Dario Fo e la «pittura scenica». Arte, teatro, regie 1977-1997, Edizioni Scientifiche Italiane 2000.
DESCRIZIONE: L’idea dell’ebraismo come di una religione monolitica, da tempo immemorabile uguale a se stessa e dalla quale si sarebbe separata solo la novità del cristianesimo, cede il passo ad una ricostruzione storica che esalta il grande pluralismo e la grande vivacità intellettuale dei “giudaismi del Secondo Tempio”. Ebrei e cristiani possono oggi finalmente insieme riconoscere le proprie origini. I loro comuni antenati si chiamano sadociti, samaritani, enochici, sapienziali: sono essi i principali protagonisti dello sviluppo del pensiero giudaico “da Ezechiele a Daniele”. La storia dei loro conflitti e del loro competere getta le premesse per la nascita parallela del giudaismo rabbinico e del cristianesimo quali movimenti intellettuali di riforma.
COMMENTO: Una innovativa storia dell'origine del giudaismo, alla luce delle più recenti interpretazioni della Bibbia, inserita nella nuova collana Antico e Nuovo Testamento.
GABRIELE BOCCACCINI insegna dal 1992 presso la University of Michigan, USA. È autore e curatore di numerose opere sul giudaismo del Secondo Tempio e le origini cristiane, tra cui: Il medio giudaismo (Marietti 1992), Oltre l’ipotesi essenica (Morcelliana 2003), e Il messia tra memoria e attesa (Morcelliana 2005). È direttore della rivista «Henoch» e promotore dell’Enoch Seminar.
DESCRIZIONE: Un titolo pregnante e promettente, quello che, con semplicità, Romano Guardini ha aggiunto a una ricca raccolta di saggi, di trattati, di conversazioni culturalmente ambiziose sulla scia di quanti in Germania e altrove hanno sviluppato il concetto goethiano di Bildung, di “formazione”. Poiché per lui, nel 1923, assumeva un’importanza cruciale l’applicazione delle sue idee pedagogiche generali, messe alla prova nel cantiere educativo del Castello di Rothenfels e nella creazione dell’associazione giovanile Quickborn [fonte viva], all’ambito della liturgia cattolica.
Da tale necessità nacque Formazione liturgica che si proponeva – scavando più a fondo rispetto a Spirito della liturgia (1918), con un processo sobriamente fenomenologico, e non di meno inserito in una prospettiva di antropologia metafisica – di mostrare come la liturgia abbia fondamenti inconcussi nella natura dell’homo religiosus, per giungere poi in una piena espansione nell’area della grazia “soprannaturale”, una sfera di gratuità “positiva”, quella della fede rivelata, al cui centro è l’incarnazione del Verbo di Dio, di Cristo.
Giulio Colombi
COMMENTO: Il testo chiave di Guardini in una nuova edizione critica. Un testo che rivela il senso profondo della liturgia cristiana.
ROMANO GUARDINI (1885-1968) è stato una delle maggiori figure della storia culturale europea del sec. XX. Presso la Morcelliana è in corso di stampa l’Opera Omnia.
La prima traduzione italiana delle Sentenze di Isidoro di Siviglia si giustifica come un documento di primaria importanza non solo della sua epoca, ma della cultura medievale. Innanzitutto esse costituiscono la prima "summa", ispiratrice di un genere letterario che si sarebbe poi sviluppato con grande fortuna. Esse parlano a tutti, all'uomo comune come persona, al monaco come tipo dell'ascetismo, all'ecclesiastico come responsabile della vita religiosa, alla autorità civile come investita della missione di organizzare la società. È il primo trattato di morale politica. Presenta una visione organica della verità dogmatica e della sua incarnazione nella pratica, porgendola in una concisione essenziale; non sono trattazioni diffuse, ma messaggi che tendono a concentrarsi in un motto: Isidoro non diluisce, lancia delle illuminazioni che debbono fissarsi nella memoria per diventare viatico alla spiritualità quotidiana.
I nomi degli dèi. Saggio di teoria della formazione dei concetti religiosi del 1896 costituisce, insieme ai due volumi delle Religionsgeschtliche Untersuchungen del 1889, il contributo più significativo di Usener ad una storia delle religioni fondata su di una filologia comparata che permetta di ricuperare “le tracce spirituali di un tempo scomparso”. Usener vi affronta il classico problema delle origini del monoteismo dal politeismo attraverso l’ipotesi di un triplice passaggio evolutivo. All’inizio stanno gli dèi momentanei (Augenblicksgötter) che si manifestano soltanto per un istante in eventi particolari come la semina o il raccolto per poi svanire. Vengono poi gli dèi particolari (Sondergötter), sorta di dèi funzionali che agiscono in situazioni che si ripetono regolarmente. Infine, in una fase successiva in cui il nome del dio non è più collegato con la sua funzione, compaiono i tipici dèi personali del politeismo: in essi si sono fuse differenti divinità speciali con i loro nomi particolari. In questo modo è aperta la via per la formazione del monoteismo.
(Giovanni Filoramo)
IN QUESTO NUMERO
Faust nelle letterature europee
a cura di Lucia Mor
Metamorfosi di Faust. Introduzione (L. Mor)
DALLAPIAZZA M., Motivi “faustiani” nella letteratura medievale
D’AGOSTINI M.E., Il Volksbuch
CAMERLINGO R., Il Faustus “furioso” di Christopher Marlowe
RODRÍGUEZ DE ARCE I., El mágico prodigioso di Calderón de la Barca. Una variante iberica del tema di Faust
NEVA M., «In principio era l’azione». Faust il traduttore
FROLA M.F., «Dall’abito eterico scaturisce la prima forza giovanile». Dei modi del morire nel Faust di Goethe
LIEVI C., La rappresentabilità del Faust goethiano. Riflessioni
COMETA M., Don Giovanni è Faust. L’ateismo mistico di Ch.F. Grabbe
VERNA M., Baudelaire e Faust. Storia di una (falsa) incomprensione
CECCUCCI P., Faust negato o la scrittura dell’esclusione. Il Faust di Fernando Pessoa
DELL’ASTA A., Nulla accade mai «così, senza una ragione». Il diavolo «operatore di bene» in Michail Bulgakov
VALENTI S., Il «Faust» di Paul Valéry
ROLI M.L., Dürer e Michelangelo. Ékphrasis e motivi pittorici nel Doktor Faustus di Thomas Mann
CHIARINI P., Thomas Mann e il Faust. Modernità come parodia del classico
GALLI M., «Mefistofele è una parola troppo grossa a Manhattan». Su alcuni film faustiani degli ultimi vent’anni
GOBBER G., Note per un’analisi semantica di faustisch
BIGNOTTI L., Bibliografia
NOTE E RASSEGNE
GIULIANI M., La complessità di Primo Levi. Conoscere Primo Levi attraverso le sue interviste, gli articoli di giornali e altri testi brevi
PIERACCI HARWELL M., Del clown. Enzo Agostino e Henry Miller
CRONACHE
GHIA F., Politica e secolarizzazione. Su un seminario di E.-W. Böckenförde a Roma
Nel 1841 fu pubblicato il libro di Ludwig Feuerbach, L'essenza del Cristianesimo, nel 1907 quello di Adolf von Harnack con lo stesso titolo. I due celebri scritti, che tante controversie accesero nel mondo cristiano e fuori di esso, appaiono, il primo, distruttivo e, il secondo, riduttivo di ciò di cui intendevano precisare l'essenza: né certo la religione "umanistica" feuerbachiana, né l'orientamento "liberale" harnackiano con la limitazione drastica del kérygma evangelico alla sola proclamazione del Regno, sono adeguati all'oggetto della loro indagine. Con quest'opera, che in brevi ma incisive pagine affronta il medesimo sgomentante tema, Romano Guardini propone alcune idee fondamentali sull'essenza di quella realtà che ha inserito nella storia del mondo l'esigenza tormentosa e beatificante della scelta: il messaggio di vita divina, l'annuncio di salvezza, la rivelazione della verità trascendente nel Cristo. Quest'essenza, messa a confronto con la sostanza di altre predicazioni "religiose" come quella buddhistica, l'eleva da esse nella sua assoluta eterogeneità: non è un discorso di consolazione, non è un metodo etico, non è un'elaborazione teoretica dell'esistenza umana e del mondo.
Lo spirito della liturgia è una classica interpretazione della spiritualità liturgica, germinata da una straordinaria potenza d'intuizione e da una perspicacia anticipatrice dei movimenti storici, quale il Guardini ha sempre testimoniate. Il volume, che uscì nel 1919 nella collezione "Ecclesia orans" promossa dall'abate Ildefons Herwegen di Maria Laach, nulla ha perduto a tutt'oggi della sua forza di penetrazione, del suo vigore di sintesi. Nei santi segni l'autore avvia ad una calda comprensione della liturgia e del suo simbolismo. Gli si apre dinanzi così, intatta, la ricchezza di allusione e di appello religioso insita nel segno della croce, nell'inginocchiarsi, nel vario atteggiarsi della mano di chi prega, nell'incedere processionale, nel battersi il petto, nel cero, nell'acqua benedetta, nella fiamma sacra, nella cenere penitenziale, nell'incenso, nella luce, emblema della verità di Dio, nel pane e nel vino, nell'altare coi suoi lini, nel calice e nella patena, nella benedizione, nelle campane. Lo spazio nelle sue direzioni, il tempo con l'avvicendarsi dei ritmi quotidiani, rivelano, essi pure, un'arcana consacrazione liturgica. Profondità cristiana e sensibilità lirica si fondono armonicamente in queste pagine.
Una insanabile opposizione sembra sussistere tra il 'comandamento d'amore' e la 'regola di giustizia' che sovrintende alla vita sociale e politica. Ma davvero, si chiede Ricoeur, vi può essere solo contraddizione tra la logica paradossale dell'amore biblico e la logica dell'equivalenza propria dell'idea occidentale di giustizia? In queste pagine di intensa riflessione e di esegesi biblica, Ricoeur mostra come, senza togliere la discordanza di principio tra le due logiche, si possa giungere ad una loro integrazione pratica.
DESCRIZIONE: Tra pluralità irriducibile delle lingue e possibilità di una reciproca comprensione: è questo lo spazio in cui si pone il problema filosofico, teologico ed etico della traduzione.
Nell'atto del tradurre, per Ricoeur, non solo si evidenziano le ragioni dell'ermeneutica e del dialogo interreligioso - in quanto ascolto e interpretazione della lingua di un altro testo, di un'altra fede - ma anche il senso stesso della relazione etica. I paradossi etici non sono tutt'uno con i paradossi della traduzione? Come accostarsi all'altro, lo straniero, senza ridurlo a sé? Nella mia identità non riconosco i segni di altre identità, trasmesse dalle differenti lingue? Una sfida che si compendia nella categoria di ospitalità linguistica: «ospitalità linguistica... ove al piacere di abitare la lingua dell'altro corrisponde il piacere di ricevere presso di sé, nella propria dimora d'accoglienza, la parola dello straniero».