L'ordo amoris è per Scheler il nucleo fondamentale dei valori (distinti dai beni empirici), degli atti d'amore e odio dell'individuo e la fonte originaria di ogni sua autentica esperienza etica. Un ordine soggettivo, il centro dinamico della persona, cui corrisponde un ordo amoris assoluto e universale, capace di strutturare l'intera realtà "dal granello di sabbia fino ad arrivare a Dio". Mutuando il tema da Agostino, e alla luce della riflessione pascaliana su un ordre du coeur distinto dall'intelletto, il filosofo tedesco si domanda: è possibile un concetto quale "ordine dell'amore" senza cadere in contraddizione? Una riflessione che, condensata in queste pagine inedite pubblicate postume (da un manoscritto del 1916, con inserto del 1914-1915), illumina con sguardo fenomenologico il vissuto etico dell'uomo e il tentativo di elaborarne una dottrina.
DESCRIZIONE: Il problema da cui prende le mosse il libro è se sia possibile una teoria fenomenologica della soggettività capace di dar conto della fisiono- mia della soggettività stessa, o se invece questa possa soltanto essere presupposta ma non autenticamente indagata. Ci si deve chiedere se quella che Husserl chiama l’«oscurità» del soggetto sia tale per disporsi a ricevere la luce del chiarimento fenomenologico, essendo la dimensione dell’inconscio essa stessa parte integrante della soggettività. Di qui il confronto con Freud, che più di altri ha scavato nel cono d’ombra della psiche. Un confronto che investe non solo gli stili conoscitivi della fenomenologia e della psicoanalisi – l’epoché e l’archeologia – ma anche categorie quali coscienza, passività, ritenzione, rimozione, tempo. Emerge un’immagine paradossale della soggettività, divisa tra necessità di rischiarare il vissuto e suo impossibile compimento: un paradosso sul quale la filosofia deve sostare.
COMMENTO: Il primo confronto tra il padre della fenomenologia e il padre della psicoanalisi.
FRANCESCO SAVERIO TRINCIA è professore di Filosofia morale nella Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza”. È autore di: Il Dio di Freud (Milano 1992); Freud e il Mosè di Michelangelo (Roma 2000); Normatività e storia. Marx in discussione (Milano 2000); Il governo della distanza. Etica sociale e diritti umani (Milano 2004).
Se volere, nella prospettiva di Tommaso, è volere il bene e il bene è tale buono - perché determina il movimento di una volontà, come può la volontà, in quanto inclinatio boni, volere il male? Può darsi la possibilità di una libera umana malvagità? Bernhard Welte, prendendo le mosse dal fatto indubitabile del male attestatoci dall'esperienza, individua nella tensione, scoperta da Tommaso, tra l'essenza e il modo d'essere della volontà umana la radice del male morale. Un male reso possibile dalla tentazione diabolica dell'uomo di considerarsi come qualcosa di infinito, dimenticando la sua natura creaturale e la destinazione ultima - destinazione che pertiene alla Grazia. È un paradosso: "proprio questo assoluto volere il bene è un male, poiché è realizzato assolutamente nella separazione dall'Assoluto, da Dio". Un'innovativa interpre-tazione di Tommaso che, al di là della ripetitività di tanta Scolastica, è un modello di ermeneutica in grado di far interloquire l'Aquinate con Schelling e Kierkegaard.
DESCRIZIONE: Il volume intende giocare esplicitamente la relazione maschile/femminile nel confronto fra religioni, scegliendo come campo di indagine specifico la correlazione fra poteri e saperi. Potremmo dire si sia seguito, sia pure implicitamente, il suggerimento di Anna Scattigno: «un passo avanti per restituire allo studio dell’esperienza religiosa delle donne un approccio meno ideologico, oltre la realtà ormai individuata e descritta di una costante tensione tra discorsi normativi e pratiche di mediazione o trasgressive, potrebbe essere l’approfondimento della cultura e del sapere religioso delle donne». La struttura del volume riflette la volontà di contribuire, con un approccio comparatistico e multidisciplinare, ad approfondire temi ben presenti nella storiografia, a partire dalle motivazioni antropologiche, sociali, teologiche, che sono alla base della diversità, complementare o conflittuale, e di conseguenza a una diversa trasmissione dei saperi e a una diversa conoscenza della realtà, a un diverso esercizio di poteri, a pratiche spirituali e comportamentali differenziate, ma spesso interrelate, all’interno o all’esterno delle istituzioni ufficiali delle religioni monoteiste come pure nelle religioni antiche, orientali, africane, afro-americane.
SAGGI DI: Sofia Boesch Gajano, Giulia Sfameni Gasparro, Lone Fatum, Kari Elisabeth Børresen, Birgit Heller, Edoardo Dieni, Laurent Kondratuk, Simon C. Mimouni, Michela Pereria, Ileana Tozzi, Sara Cabibbo, Cristina Galasso, Stefania Pastore, Manuela Marín, Isabella Gagliardi, Adelisa Malena, Guido Mongini, Hilaire Multon, Stefano Franchini, Ari Pedro Oro, Marina Caffiero, Clara Gallini, Enzo Pace.
COMMENTO: Un'indagine del rapporto tra donne e saperi nella storia delle religioni.
A quali condizioni si può parlare di un'etica in Platone? Esiste un oggetto un aspetto coerente e organico, distinguibile da altri rinvenibili nei dialoghi - che si possa definire, almeno per come noi oggi lo comprendiamo, quale "etica" platonica? Due opinioni sono state predominanti negli interpreti: la prima è che non sia ascrivibile a Platone un'etica ritenuta autonoma e distinta dalle altre discipline come sarà poi in Aristotele. La seconda opinione è che siano parziali gli approcci all'etica platonica correnti oggi, in particolare in area anglosassone.I testi qui raccolti, andando oltre questi modelli interpretativi, dimostrano che Platone parla di etica dialogicamente, come di ogni altro tema: tutti gli aspetti di una problematica filosofica etica paiono affrontati da Platone non sistematicamente, ma sempre nel dialogo, con un'urgenza radicale, e ciascuno ha un collegamento con le altre "parti" della filosofia platonica. D'altro canto ogni altro tema di cui egli parla ha un coinvolgimento, di volta in volta da chiarirsi, con l'etica.SAGGI DI: Linda M. Napolitano Valditara Enrico Berti - Francisco Bravo - Luc Brisson - Giovanni Casertano - Bruno Centrone - Michael Erler - Franco Ferrari - Silvia Gastaldi - Lloyd P. Gerson - Christopher Gill - Maurizio Migliori - Noburu Notomi - Giovanni Reale Christopher Rowe - Maria Isabel Santa Cruz - Samuel Scolnicov - Mauro Tulli Mario Vegetti - Maurizio Migliori - Davide Del Forno .
Il confronto tra Platone ed Aristotele è stato interpretato, per lo più, come una opposizione tra modelli conoscitivi: da un lato la dialettica, intesa come il culmine del sapere, dall'altro la logica, intesa come l'insieme delle tecniche per ben argomentare, al di là delle pretese platoniche di una supremazia della dialettica. Ma ha ancora un fondamento filologico e storico questa contrapposizione? Un interrogativo che - nei saggi qui raccolti di alcuni dei più autorevoli interpreti del pensiero antico - mette capo a una pluralità di scavi, storiografici e teoretici. Scavi che invitano a una lettura dei testi platonici ed aristotelici nella loro complessità: emergono inaspettati intrecci e molteplici significati dei termini stessi di dialettica e logica in entrambi i pensatori. Non solo la dialettica platonica ha un suo rigore, ma la stessa logica aristotelica ha affinità, pur nelle differenze, con le procedure argomentative della dialettica. Una prospettiva ermeneutica che interessa non solo lo storico della filosofia antica, ma chiunque abbia a cuore le radici greche delle nostra immagine di ragione.
DESCRIZIONE: Un intellettuale, un educatore, si riconosce attraverso gli autori più amati – assiduamente letti. Autori che disegnano una linea di pensiero, un modello pedagogico, morale. Classici nel senso che ad essi costantemente ritorniamo per meglio formulare le nostre domande essenziali. Ai suoi “maggiori” Matteo Perrini ha dedicato la vita, e negli ultimi giorni aveva ultimato l’insonne confronto con Socrate, Seneca, Agostino, Erasmo, Thomas More, Bergson. A ciascuno ha consacrato, nei lunghi anni del suo insegnamento, una monografia o una traduzione, quasi fossero ricerche in preparazione di questo libro. Un testo dal titolo programmatico: Filosofia e coscienza. Come se nella tradizione occidentale si potesse rintracciare un filo rosso rappresentato dalla coscienza, sia essa la psyché greca, la conscientia latina o la syneídesis cristiana. Consapevole delle ineliminabili differenze, Perrini ha cercato di mostrare in quale modo nella tradizione dell’agostinismo, che fa della coscienza l’orizzonte di senso della vita terrena, fosse confluita l’istanza socratica – e stoica, con Seneca – della responsabilità dell’uomo verso se stesso in quanto responsabilità per gli altri. Responsabilità, da respondeo: ottemperare alla chiamata dell’altro – il daimònion, il prossimo o, per chi crede, il Dio trascendente.
COMMENTO: Una riflessione su filosofia e coscienza attraverso la rilettura di alcuni classici: Socrate, Seneca, Agostino, Erasmo, Tommaso Moro, Henri Bergson.
MATTEO PERRINI (1925-2007), per decenni insegnante di filosofia nei licei di Brescia e fondatore della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura, ha curato per La Scuola l’edizione di classici più volte ristampati: Confessioni di Agostino (1977), A Diogneto (1985), Le due fonti della morale e della religione di Bergson (1996), Ritratti di Thomas More di Erasmo da Rotterdam (2000); inoltre ha pubblicato Seneca. L’immagine della vita (La Nuova Italia 1998) e, in collaborazione con P. Miquel, Le preghiere dell’umanità (Queriniana 1993). Ha collaborato a riviste («Humanitas», «Pedagogia e Vita», «Studium», «Nuova Secondaria») e quotidiani («L’Osservatore Romano», «Giornale di Brescia»).
Se il linguaggio ci caratterizza come umani, esso si concretizza solo nella particolarità di una lingua storicamente determinata. Nelle lingue e nel loro reciproco riconoscersi e tradursi vive quell'umanità una e plurale che ci appartiene da sempre, ma che il nostro mondo globalizzato rende oggi straordinariamente evidente, densa di rischi e di pericoli, ma anche ricca di straordinarie opportunità. Traduciamo, nel senso ampio del termine, non solo nello scambio fra le lingue, ma tutte le volte che parliamo e incontriamo l'altro in noi e fuori di noi. Questo libro mira a elaborare una filosofia della traduzione, che solo da poco tempo è diventata tema di riflessione filosofica, ponendosi alla scuola della fenomenologia ermeneutica di Ricoeur.
Fin dai primi contributi sistematici negli anni Quaranta, la Teoria dei Giochi ha suscitato la speranza che lo sviluppo di metodi e modelli rigorosi potesse contribuire alla comprensione dei meccanismi di cooperazione e conflitto tra individui, imprese, partiti, nazioni. Robert Aumann ha partecipato da protagonista alla costruzione della teoria, come consulente dell'agenzia per il disarmo durante la guerra fredda e poi in una serie di contributi teorici che hanno ridefinito la nostra comprensione del funzionamento dei mercati e della comunicazione e cooperazione tra agenti razionali. In questa lunga intervista, condotta da uno dei suoi allievi, Aumann ripercorre le principali tappe del proprio cammino umano ed intellettuale. Oltre alla testimonianza di una vita che ha attraversato le grandi speranze e tragedie del Novecento, il lettore troverà in queste pagine una discussione appassionata e non tecnica di alcune idee importanti della teoria dei giochi e delle loro possibili applicazioni in campi molto diversi come le scienze sociali, la biologia, la medicina e l'informatica.
DESCRIZIONE: Da tempo la ricerca storico-religiosa e antropologica ci ha insegnato che la mitologia non è una prerogativa del mondo greco, e soprattutto che il “mito” – quale forma del pensiero espressa mediante la figura e il racconto – è almeno in certi casi emblematici la maniera forse unica possibile per dare rilievo ai temi nodali dell’esistenza umana, per rappresentare quanto vi è di enigmatico nel rapporto dell’uomo con ciò che sta al fondo dell’esperienza, con Dio. Vi sono però culture religiose, come quelle di tipo monoteistico a cominciare dal giudaismo, che sono refrattarie al pensare mediante il mito perché ciò è giudicato incompatibile non solo con la loro visione di Dio, ma anche e soprattutto con il ruolo in essa svolto dalla morale.
Il mito tuttavia si può scorgere nella preistoria del testo biblico, e talvolta riconoscere come materiale inerte riciclato in un lavoro redazionale che comunque ne ha provveduto a neutralizzare o a snaturare il significato originario in vista di finalità diverse. Un esempio quanto mai interessante di questo lavoro demitizzante della Bibbia è fornito proprio dal racconto sul giardino di ‘Eden – con i suoi protagonisti, Dio Adamo ed Eva, e i suoi eventi, il peccato e la cacciata – alla cui indagine è dedicato questo libro.
COMMENTO: Il racconto del Paradiso terrestre e del peccato originale in una innovativa lettura filosofica, nella quale la relazione tra Dio e il Serpente assume nuovi significati.
ALDO MAGRIS insegna Filosofia della religione all’Università di Trieste. Tra le sue pubblicazioni: Carlo Kerényi e la ricerca fenomenologica della religione (Milano 1975), L’idea di destino nel pensiero antico (Udine 1984-85); Plotino (Milano 1986); Fenomenologia della trascendenza (Milano 1992); presso la Morcelliana: La logica del pensiero gnostico (1997); Il Manicheismo. Antologia dei testi (2000), La filosofia ellenistica. Scuole, dottrine e interazioni col mondo giudaico (2001); Nietzsche (2003).