Circa vent'nni fa crollava uno storico muro, eretto nel cuore dell'Europa. Con quel muro collassa l'impero sovietico, e il comunismo si trasforma in reliquia. Una reliquia ingombrante, che ha influenzato il corso della storia. Robert Service muove da Marx per arrivare fino all'oggi, passando per la Russia bolscevica, l'Internazionale comunista degli anni Venti e Trenta, la politica dei blocchi contrapposti, i regimi comunisti al tempo della Guerra Fredda, dalla Cuba di Castro al Cile di Allende, dalla Cambogia di Pol Pot all'Urss di Gorbacev. Il suo racconto, la prima storia del comunismo in prospettiva mondiale, basata su una selezione vastissima di fonti e documenti è attraversato da un filo rosso di sangue. "In tutti i casi in cui il comunismo è rimasto al potete abbastanza a lungo ha eliminato o tarpato le ali ai partiti politici rivali. Ha attaccato la religione, la cultura e la società civile e calpestato ogni rivendicazione nazionale di indipendenza. Ha abolito l'autonomia della magistratura e della stampa e accentrato il potere. Ha istituito reti di informatori e sistemi di polizia segreta. Ha rinchiuso i dissidenti nei campi di lavoro, ha proclamato l'infallibilità della propria dottrina e ha isolato la società bloccando accanitamente le frontiere. Ha allungato la propria ombra su ogni aspetto della vita sociale. Questo permette di parlare di un 'sistema comunista'. Ed è alla storia di questo sistema che è dedicato il libro".
In queste pagine Laclau, teorico della politica internazionalmente noto, offre al lettore una sorta di compendio del suo pensiero filosofico e politico sui rapporti tra democrazia, populismo e dinamiche di formazione delle identità collettive. Il volume si struttura in tre parti. La prima ripercorre a grandissime linee la storia primonovecentesca della psicologia delle masse. Nella parte centrale Laclau elabora un modello teorico del tutto originale, che si muove a cavallo tra la teoria politica di Gramsci e quella psicanalitica di Freud e Lacan. Nella terza e ultima parte l'autore passa in rassegna una interessante casistica storica di "incroci" tra democrazia e populismo: dalla vicenda italiana della Lega Nord - la cui ascesa è esaminata sullo sfondo della crisi del Partito Comunista Italiano e del crollo simultaneo della Democrazia Cristiana, all'inizio degli anni Novanta - ai regimi populistici dell'America Latina, da Perón a Vargas.
Gli autori hanno adottato una diversa periodizzazione, fra le molte possibili per segnare il problematico termine a quo della storia contemporanea, e di partire dall'ondata rivoluzionaria del 1848 - evento senza dubbio epocale a livello europeo, e avvertito come tale anche dai contemporanei - per raccogliere in un unico volume l'intera materia che comunemente viene ricompresa in questa disciplina. Rispetto ad altre altrettanto legittime (come quelle che fanno riferimento alle grandi rivoluzioni di fine Settecento, al congresso di Vienna o all'unificazione tedesca), presenta alcuni indubbi vantaggi: consente di includere in un'unica e organica trattazione, problemi ed eventi imprescindibili per la comprensione del mondo contemporaneo.
Il Novecento fa discutere. La sua eredità è controversa. la sua memoria divisa. Dal regicidio alla Grande Guerra, dal delitto Matteotti all'8 settembre, dal miracolo economico alla contestazione, al terrorismo, al maxiprocesso e a Tangentopoli il corso della storia ha accelerato il passo, impresso svolte, segnato l'identità del nostro paese in un vortice di eventi che ci riguarda tutti da vicino.
Anselmo d'Aosta (1033-1109) è riconosciuto come la mente speculativa più originale dell'XI secolo. Nella storia della filosofia è noto soprattutto come autore dell'argomento del "Proslogio" per dimostrare l'esistenza di Dio, il cosiddetto "argomento ontologico" che ha attraversato i secoli fino ad arrivare alla filosofia analitica contemporanea. Il solco del suo pensiero è quello tracciato da Agostino - "Credo ut intelligam" (letteralmente: "credo per capire") - ma per Anselmo diventa una meditazione sulle ragioni della fede (il Monologio) e sulla fede che cerca l'intelligenza (il Proslogio}. Questa edizione offre una raccolta di testi anselmiani, costituita dai trattati e dagli opuscoli più significativi per chi voglia accostarsi al suo pensiero e al suo metodo.
La filosofia dell'educazione, che si occupa del coordinamento pedagogico dei saperi (o scienze) dell'educazione, riveste nella società contemporanea - con le sue complessità e conflittualità - una posizione essenziale, di centralità riflessiva e critica tanto per i singoli che per la collettività. È quindi necessario presentarne i contenuti in modo lineare, rigoroso, organico. A tale scopo questo volume - rielaborazione di una precedente versione - ha semplificato gli orientamenti e la struttura dei diversi capitoli e li ha integrati con schede di documentazione e/o di approfondimento.
Lavoro, produzione, capitale, investimento, reddito, imprenditore, mercato: sono questi i termini-chiave del linguaggio economico moderno. Se li cercassimo in un vocabolario di latino o greco antico non li troveremmo, o meglio scopriremmo che hanno un significato del tutto diverso da oggi. La spiegazione è semplice: al sistema di idee greco e latino mancava del tutto una concezione dell'economia intesa in senso moderno, così come gli erano del tutto estranei anche statistiche, modelli e strumenti per lo studio dei fenomeni economici. In questo volume Finley illustra la profonda differenza che intercorre tra un'economia statica come quella classica e un'economia dinamica come la nostra. Il suo discorso si articola attraverso una continua comparazione tra il sistema antico e quello moderno, paragonando ad esempio la società schiavistica classica con quella americana dell'Ottocento, o il sistema di tassazione spontanea dei ricchi ateniesi con le odierne imposte sul reddito.
La mente non è tutto il nostro animo. È quella componente essenziale che ci permette di pensare, ragionare, decidere. È un sistema di calcolo naturale, ma non solo: oltre a conoscere emozioni e passioni, svolge compiti speciali che ci consentono l'interazione con gli altri e senza i quali la nostra vita sociale sarebbe ben poca cosa. Il libro mostra, attraverso alcuni semplici modelli ed esempi sperimentali, che quando la mente lavora non applica semplicemente un insieme di regole logiche ma si basa anche su abitudini e convenzioni sociali: i contenuti influenzano, e molto, il nostro modo di rappresentarci i problemi. Inoltre anche le istituzioni hanno una mente, anche se il loro "cervello" è distribuito in molte sedi. A tali menti collettive, esattamente come a quelle individuali, è possibile attribuire razionalità strategica, che commisura cioè i mezzi agli scopi. È possibile rintracciare così le basi cognitive di molti fenomeni della nostra vita sociale, da alcune forme di violenza fino ai giochi politici tra alleati e avversari che si riscontrano in ogni esperienza di governo.
Tra l'esplodere della protesta studentesca padovana contro i gesuiti nel 1591 e la chiusura dell'Accademia veneziana degli Incogniti intorno al 1660, Venezia e il suo territorio vivono un'irripetibile stagione di fermento, prefigurazione delle problematiche culturali del Settecento. Libertini, scettici e librettisti d'opera, ma anche liberi pensatori come Galileo e filosofi come Cremonini, difendono apertamente lo scetticismo religioso, la sperimentazione scientifica, la libertà sessuale e i diritti delle donne. Eppure sarebbe semplicistico leggere il loro conflitto con la Chiesa come la schematica contrapposizione di libertà e ordine, innovazione e tradizione. Entrambe le parti esprimono infatti tendenze parallele che si iscrivono a fondamento della cultura occidentale - il desiderio di liberazione e il bisogno di disciplina, l'esplorazione trasgressiva dei limiti della tolleranza culturale e l'orrore per l'anarchia emozionale, intellettuale e spirituale che questa porta con sé. E un conflitto senza tempo che trovò, in quel luogo e in quell'epoca, la sua incarnazione più esemplare.
È la fine del settembre 1545 quando Tiziano arriva a Roma. La lascerà un anno più tardi, e per allora la città non sarà più la stessa e anche il Rinascimento avrà perso il suo splendore. Ma per il momento, la Roma di cui racconta Antonio Forcellino è davvero la Città Eterna: misteriosa, avvolgente e sospesa nel tempo, luogo nevralgico di potere, di gelosie private e di pubblici intrighi. La percorrono personaggi formidabili: ambigui uomini di Chiesa come monsignor Della Casa, splendidi mecenati come Paolo III, donne dalla bellezza leggendaria come Giulia Farnese. E infine loro, gli artisti. Tiziano, Michelangelo e gli altri, semidei risplendenti nell'esercizio della propria arte, e al tempo stesso niente più che esseri umani, capaci come chiunque altro di meschinità e grandezze. In queste pagine li osserviamo lavorare, affannarsi, creare, blandire, o semplicemente annullarsi nell'ebbrezza del Bello. Nello spazio ristretto del recinto cittadino, la loro opera si intreccia al respiro della corte papale e si trasforma in realtà: quella di una civiltà all'apice della propria dissipatezza e munificenza, ritratta l'attimo prima di cadere sotto la falce della Controriforma e della storia.
Norberto Bobbio è figura di straordinario e ineguagliato spessore nel panorama del pensiero politico e giuridico novecentesco. Ha fatto dei tre temi più trascurati dalla cultura politica postrisorgimentale - pace, diritti, democrazia - l'oggetto principale della sua opera, coniugando una rigorosa concezione proceduralistica della democrazia a una costante riflessione sui valori e gli ideali della vita associata. I suoi contributi specialistici alla teoria generale del diritto e della politica hanno fatto scuola, consacrandolo in Italia come il maggiore studioso di Hobbes e di Kelsen. Con la sua opera si è confrontato tanto con i protagonisti del dibattito intellettuale italiano del Novecento, da Benedetto Croce ad Antonio Gramsci, che con i classici contemporanei della scienza politica, da Gaetano Mosca a Vilfredo Pareto, ed è stato interprete anche dell'altra Italia, l'Italia civile fustigatrice della miopia e del malcostume nazionale, la patria di Cattaneo, Salvemini, Gobetti. Su questa base eclettica e articolata, Bobbio ha proposto un proprio coerente 'profilo ideologico' del Novecento ed è divenuto un classico lui stesso. In questo volume Pier Paolo Portinaro ne ripercorre gli studi, il pensiero, il prezioso magistero.
"Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere". Il proverbio è notissimo, ma è difficile decifrarlo: come può un ammonimento di saggezza popolare escludere dal sapere il contadino? Qualcosa evidentemente non torna. Lo storico si incuriosisce, si chiede quale origine possa avere un testo del genere, che cosa significhi, a cosa possa servire. Investigando fra ricettari antichi, trattati di agricoltura e di dietetica, opere letterarie e raccolte proverbiali, Massimo Montanari scopre che i palati esigenti e gli stomaci delicati della nobiltà si innamorano del formaggio con le pere sin dal Medioevo. Ma c'è di più. A un certo punto l'abbinamento diventa espressione di un savoir faire socialmente esclusivo. Ciò accade quando l'idea medievale del "gusto" come capacità naturale è sopravanzata dall'idea moderna del "buongusto" come attitudine culturale. Senza questo snodo decisivo il proverbio sarebbe impensabile. Montanari si avventura - non senza colpi di scena - nei delicati territori di confine tra cultura scritta e cultura orale, rapporti economico-sociali e rappresentazioni mentali. E l'enigma si svela: quell'ambigua sentenza non è il deposito di una saggezza condivisa, ma un luogo di rappresentazione del conflitto sociale e della lotta di classe. Chi l'avrebbe mai detto che tanta parte di storia se ne stesse racchiusa in un proverbio?