Come si alimentano le disuguaglianze? Quali processi psicologici impediscono a chi è in condizione svantaggiata di ribellarsi? E chi domina, come giustifica a se stesso e agli altri il proprio privilegio? Una chiave nuova e originale per capire a fondo una delle questioni centrali del nostro tempo. Le disuguaglianze sono tra le cause principali dell’infelicità collettiva: seminano sfiducia, indeboliscono la coesione sociale e mettono a rischio la democrazia. Perché, allora, i tentativi di contrastarle sono pochi e deboli? Questo libro esamina come le disuguaglianze vengono costruite, occultate, accettate, interpretate, contrastate. Esplora il gioco dei meccanismi di assoluzione o di colpevolizzazione rispettivamente dei dominanti e dei dominati seguendo due diverse prospettive: la prima si sofferma sui processi cognitivi e motivazionali che fanno sì che i privilegiati, che della disuguaglianza beneficiano, si convincono di possedere la ‘stoffa giusta’ e di meritare i propri vantaggi. La seconda ricostruisce i processi di chi subisce la disuguaglianza e la accetta, interiorizzandola.
Secondo il Talmud, nella città di Roma vi sono 365 piazze, in ognuna delle quali vi sono 365 palazzi, e ognuno di essi ha 365 piani, di cui ognuno contiene di che nutrire il mondo intero. Andiamo allora alla scoperta di questa storia speciale, quella dei nostri antenati, gli antichi romani.
La storia di Traina ha la capacità di rimettere la latinità nella dovuta prospettiva, di ristabilire un argine tra ‘loro’ e ‘noi’, che dei romani non siamo gli eredi né materiali né spirituali come ci piace pensare.
Andrea Marcolongo, “Tuttolibri”
Scritto con prosa vivace e sicura competenza, il libro di Traina è soprattutto un sincero atto d’amore verso un periodo grandioso e terribile, la cui conoscenza si va affievolendo in modo preoccupante.
Antonio Carioti, “la Lettura – Corriere della Sera”
Dopo la fine dello Stato indipendente asmoneo ad opera di Cneo Pompeo, nel 63 a.C., l'ampia vicenda storica delle rivolte degli ebrei di Palestina e della diaspora contro la dominazione romana assunse caratteristiche e dimensioni fino ad allora inedite: da una mera lotta per l'indipendenza nazionale si passò talvolta a una guerra d'ispirazione apocalittica, coinvolgente cielo e terra, Dio e Satana (Belial), intesa come chiave di volta per l'instaurazione del regno messianico. La radicalità di questa posizione, in certa misura, fu la premessa per i drammi successivi: un insegnamento eloquente anche per chi vive esperienze analoghe ai nostri giorni.
In Italia lo chiamiamo san Nicola da Bari, i russi gli hanno dato il nomignolo un po’ sproporzionato di Russkij Bog (il ‘Dio russo’) e un mito globale lo identifica (impropriamente) con Santa Claus, ma la verità è che la sua lunga parabola ha avuto inizio nella tarda Antichità, più o meno ai tempi di Costantino, in un angolo periferico dell’impero, nell’antica metropoli anatolica di Myra, città di cui Nicola fu vescovo. Michele Bacci indaga la vicenda che ha portato un oscuro religioso della costa licia a vestire i panni del ‘grande taumaturgo’, il santo globale protagonista di un culto ancora oggi tanto sentito da superare le divisioni tra cristiani e ortodossi. In queste pagine, fra traslazioni di ossa, narrazioni leggendarie e progressive trasformazioni iconografiche (fino all’identificazione del vescovo di Myra con il portatore di doni più amato dai bambini), una intricata e affascinante storia di devozione interculturale si intreccia con un’attenta riflessione sul sentimento del sacro, sulle dinamiche con cui viene orchestrato, sul suo rapporto con luoghi santi e immagini prodigiose e sui differenti percorsi attraverso cui si afferma e dilaga.
Israele stava già attraversando un periodo di crisi drammatica prima del criminale attacco del 7 ottobre 2023. Grandi manifestazioni chiedevano a gran voce le dimissioni di Netanyahu e del suo governo e il paese era praticamente bloccato. La risposta al gesto terroristico di Hamas con la guerra di Gaza rischia però di essere un vero e proprio suicidio per Israele. Da un lato, infatti, abbiamo l'involuzione del sionismo, o meglio dei sionismi: da quello originario della fine del XIX secolo, passando per quello liberale e favorevole alla pace con gli arabi, fino alla crescita del movimento oltranzista dei coloni e all'assassinio di Rabin. Dall'altro, il resto del mondo ebraico - la diaspora americana e quella europea - si confronta oggi con un crescente antisemitismo che, contrariamente alla propaganda di Netanyahu, non è la stessa cosa dell'antisionismo, ma che certo dalle vicende della guerra di Gaza trae spunto e alimento. Per salvare Israele è necessario contrapporre al suprematismo ebraico, proprio dell'attuale governo Netanyahu, l'idea che lo Stato di Israele deve esercitare l'uguaglianza dei diritti verso tutti i suoi cittadini e deve porre fine all'occupazione favorendo la creazione di uno Stato palestinese. Qualunque sostegno ai diritti di Israele - esistenza, sicurezza - non può prescindere da quello dei diritti dei palestinesi. Senza una diversa politica verso i palestinesi Hamas non potrà essere sconfitta ma continuerà a risorgere dalle sue ceneri. Non saranno le armi a sconfiggere Hamas, ma la politica.
All'inizio del XXI secolo, trapassato il comunismo, disperso il socialismo, rarefatto il liberalismo, il fascismo avrebbe oggi una straordinaria rivincita sui nemici che lo avevano sconfitto nel 1945. Ma cos'è fascismo? Si sta ripetendo aggiornato e mascherato? Oppure il 'pericolo fascista' distrae dalle cause vere della crisi democratica? Chi e cosa è fascista oggi? Stiamo assistendo al ritorno del fascismo? La nostra democrazia è in pericolo?
Non esiste una filosofia medievale, ma, come in ogni altra età della storia, nel medioevo esistono filosofie differenti che si confrontano, a volte aspramente". In questo volume, la pluralità dei contesti storici e degli interessi teorici della riflessione del mondo cristiano medievale, il progressivo definirsi degli interessi disciplinari e dei settori della riflessione culturale, privilegiando l'assenza di una gerarchia di importanza tra gli autori e i problemi considerati. La trattazione è interamente contenuta nel testo privo di note e permette una lettura senza interruzioni, godibile pur nell'approfondimento dell'informazione specialistica.
Dai tempi delle guerre persiane, Oriente e Occidente sono fratelli coltelli, amici e nemici, sogno e incubo. «L'Oriente è l'Oriente, l'Occidente è l'Occidente: e nessuno potrà mai accordarli», dichiara Rudyard Kipling al tempo della fondazione dell'impero britannico d'India. Sulla base dei troppi malintesi generati dal loro confronto sono emersi anche 'ismi' ideologici, tanto accaniti tra loro quanto ambigui: orientalismo e occidentalismo, avvolti nel dilatare delle loro contraddizioni. Già Oswald Spengler aveva decretato il 'tramonto dell'Occidente'; ma immediatamente, dietro l'Occidente-Europa spengleriano, se n'era andato profilando un altro, quello americano, che dopo aver soggiogato il Pacifico si apprestava a trangugiare anche l'Atlantico: Leviathan di terra e di mare secondo Carl Schmitt, contrapposto a Behemoth, compatto Oriente tutto terragno. Ma intanto però, altrove, dal Giappone alla Cina e all'India si andavano proponendo altri Occidenti, fondati su presupposti differenti da quello euroamericano e portatori di altre 'modernità'. Con la guerra in Ucraina, la Russia viene definitivamente spostata verso l'Asia ed esclusa dalla sua dimensione cristiana ed europea. Ma questa definizione di Occidente ha senso o è soltanto utile oggi per ragioni strumentali?
"Ascoltare Verdi" ci accompagna sapientemente nella conoscenza delle opere del grande compositore: dal "Nabucco" al "Falstaff", ogni capitolo del libro è dedicato a una fondamentale composizione di Giuseppe Verdi, della quale si raccontano la trama, la genesi e il contesto, ma soprattutto si approfondisce la sostanza musicale e drammatica. Il lettore, risalendo cronologicamente l'evoluzione del pensiero drammatico del compositore, lo sviluppo della sua poetica, la costante volontà di guardare il mondo attraverso le note, scopre la sua visione allo stesso tempo artistica, morale e politica - il modo in cui, secondo molti studiosi, Verdi ha contribuito a fare l'Italia e soprattutto a fare gli italiani.
"All'ingresso di porta Sant'Anna, subito dopo il controllo della gendarmeria, sulla destra, c'è un bancomat dello Ior. Si trova in una nicchia ricavata nel muro e, apparentemente, è come tutti i bancomat di questo mondo. Se però vi avvicinate (e siete in compagnia di chi dispone dell'apposita tessera) scoprite che ha una particolarità. Le istruzioni, oltre che in italiano, francese, tedesco, inglese e spagnolo, sono fornite anche nella lingua dei padri. "Carus expectatusque venisti" dice la videata introduttiva: in pratica, "benvenuto". Dopo di che, ecco l'indicazione operativa: "Inserto scidulam quaeso ut faciundam cognoscas rationem", che sarebbe come dire "inserisci per favore la scheda, per accedere alle operazioni consentite". I latinisti hanno un po' arricciato il naso, perché secondo loro l'adattamento è stato un po' troppo disinvolto, ma bisogna ammettere che non è facile tradurre in una lingua antica concetti moderni. E una volta inserita la scidula che succede? Quattro le opzioni: "deductio ex pecunia" (prelievo), "rationum aexequatio" (saldo), "negotium argentarium" (movimenti) e "retrahe scidulam deposita" (ritirare la tessera). L'unico problema è che se scegliete la prima opzione dopo pochi secondi il bancomat sputerà fuori comunissimi euro e non preziose monete romane d'oro e d'argento". Aldo Maria Valli non lesina dettagli, spiega come si entra in Vaticano, racconta curiosità, stranezze e aneddoti, visita il garage del papa, fa un giro nell'appartamento pontificio...
Diecimila anni fa, nella preistoria, si sono messe in moto trasformazioni che ancora ci riguardano, che ancora influenzano il nostro modo di lavorare, di vestirci, di mangiare, di confrontarci con gli altri membri della nostra comunità. È una rivoluzione che ha cambiato anche l'ambiente intorno a noi e le nostre relazioni con piante e animali, tanto che il DNA - sia il nostro, sia quello di molti animali e piante - ne è uscito diverso. Si chiama rivoluzione neolitica: il momento in cui, più che in qualunque altro, biologia e cultura si sono intrecciate, influenzandosi a vicenda e producendo la nostra storia. È stato allora che un'umanità in precedenza sempre affamata ha cominciato a produrre il cibo di cui aveva bisogno, e quindi a crescere e a diffondersi sul pianeta. Nel giro di qualche millennio la rivoluzione è arrivata ovunque, sulle gambe dei rivoluzionari che dalla Mezzaluna fertile, dalla Cina, dall'America centrale e dalle Ande hanno esportato in tutto il mondo i propri geni, le piante coltivate e gli animali allevati. Abbiamo iniziato ad abbattere foreste, per farne campi e pascoli, modificando il paesaggio; abbiamo smesso di essere nomadi, costruendo villaggi e poi città dove ha preso forma la nostra società, anche in certi suoi aspetti che sembrerebbe difficile collegare alla preistoria. Ma è così: se oggi in Europa molti digeriscono il latte, se abbiamo la pelle chiara e parliamo lingue che si somigliano, è grazie alle migrazioni neolitiche. E non è tutto: abbiamo cominciato a modificare geneticamente piante e animali proprio allora e non abbiamo mai smesso. Ripensarci - oggi che la consapevolezza è cresciuta - ci permette di ragionare più lucidamente su costi e benefici della moderna ingegneria genetica. Allo stesso modo, ricordare come per millenni l'umanità si sia ripetutamente spostata e rimescolata può aiutarci a osservare con meno ansia le trasformazioni che la nostra società sta attraversando, e a spegnere qualche allarme ingiustificato.
La democrazia imperiale ateniese mirava al dominio commerciale nel Mediterraneo: donde la catena di conflitti in cui si impegnò contro i 'barbari', contro i Greci, contro i suoi stessi alleati. L'oligarchia spartana non accettava di vedere scosso il proprio tradizionale predominio. Gli Ateniesi pretendevano di esportare la democrazia imponendola con la forza innanzi tutto ai propri alleati. Gli Spartani proclamavano di portare la libertà ai Greci oppressi da Atene. La guerra - scrisse Tucidide - era inevitabile. Tutto era incominciato con la sfida ateniese a sostegno della rivolta antipersiana dei Greci d'Asia e con la risposta, vent'anni dopo e in grande stile, da parte del Gran Re volta a sottomettere, oltre ai Balcani, la penisola greca. E tutto sembrerà concludersi circa un secolo dopo con la «pace del Re». Una pace imposta ai Greci dalla Persia per il tramite della potenza militare spartana, cui l'aiuto del Gran Re aveva consentito di sconfiggere Atene. Il Gran Re lasciava intendere che solo il suo predominio avrebbe portato la pace ai Greci. E i Greci, finché non affiorò alla storia il regno macedone, la accettarono. Non a torto Arnold Toynbee definì la guerra tra Sparta e Atene «suicidio della Grecia classica». Una vicenda esemplare.