Non tutti gli italiani sono stati brava gente. Anzi a migliaia – in Libia, in Etiopia, in Grecia, in Jugoslavia – furono artefici di atrocità e crimini di guerra orribili. Chi furono i volenterosi carnefici di Mussolini? Da dove venivano? E quali erano le loro motivazioni? In Italia i crimini di guerra commessi all'estero negli anni del fascismo costituiscono un trauma rimosso, mai affrontato. Non stiamo parlando di eventi isolati, ma di crimini diffusi e reiterati: rappresaglie, fucilazioni di ostaggi, impiccagioni, uso di armi chimiche, campi di concentramento, stragi di civili che hanno devastato intere regioni, in Africa e in Europa, per più di vent'anni. Questo libro ricostruisce la vita e le storie di alcuni degli uomini che hanno ordinato, condotto o partecipato fattivamente a quelle brutali violenze: giovani e meno giovani, generali e soldati, fascisti e non, in tanti hanno contribuito a quell'inferno. L'hanno fatto per convenienza o per scelta ideologica? Erano fascisti convinti o soldati che eseguivano gli ordini? O furono, come nel caso tedesco, uomini comuni, "buoni italiani", che scelsero l'orrore per interesse o perché convinti di operare per il bene della patria?
Un grande classico della storia del pensiero, che ha colto e indicato alla cultura dei nostri anni il volto più profondo e moderno dell'umanesimo italiano.
La cultura del XV secolo così come venne trasformata dal rifiorire degli studia humanitatis. Non solo, quindi, i nuovi orientamenti e le nuove riflessioni nell’ambito della vita civile, ma anche i nuovi metodi e le nuove mentalità che finirono per cambiare radicalmente le scienze della natura e la concezione della realtà in genere. "Infranto lo schema della filosofia teologizzante - scrive Garin – la meditazione filosofica è un tono, un accento, che circola ed anima ogni problema e ogni ricerca; è ammonimento, all'artista, allo scienziato, al sacerdote, al politico, della sua misura umana.
Se una giornalista torna in una bara da un paese in guerra, sicuramente sarà stata uccisa perché aveva fatto uno scoop, se invece dopo essere stata rapita torna a casa viva, beh, allora se l'era andata a cercare. Giuliana Sgrena se l'è andata a cercare raccontando la violenza e la sopraffazione nei più importanti conflitti degli ultimi trent'anni, dando al giornalismo di guerra anche un punto di vista femminile.
Giuliana Sgrena è stata per quasi trent'anni inviata speciale in tutti i maggiori conflitti: dall'Algeria all'Iraq, dalla Somalia all'Afghanistan, dalla Siria all'Eritrea. I suoi articoli hanno raccontato un mondo dove la guerra stava tornando a essere non più un’eccezione ma la normalità. Dove regimi autoritari reprimevano e violentavano i propri popoli, dove gli stati fallivano, dove gli interventi di peacekeeping dei paesi occidentali si risolvevano in fallimenti e fughe precipitose. Si è esposta in prima linea per svelare le grandi falsificazioni dei governi e dei giornalisti embedded: dalle violenze commesse da chi avrebbe dovuto esportare la democrazia ai traffici osceni che ogni guerra porta con sé. A emergere in questo libro sono soprattutto gli incontri con donne e uomini straordinari, o il ricordo di colleghi, come Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli, che hanno pagato con la vita la loro volontà di testimonianza. E, naturalmente, c'è il peso che tutto questo lascia nella propria esistenza: per Giuliana soprattutto il rimorso per la morte di Nicola Calipari, colui che l'aveva liberata dal sequestro di un gruppo islamista in Iraq e che venne ucciso da un soldato americano sull'auto che li stava portando all'aeroporto di Baghdad. Per anni, alla sindrome del sopravvissuto si è accompagnata l'accusa, da parte del mondo tutto maschile del giornalismo di guerra, di "essersela andata a cercare", perché una donna non avrebbe dovuto essere lí. E questo libro è proprio la rivendicazione, con orgoglio, di una vita spesa da donna in prima linea.
«La gravidanza, poi il parto, e - soprattutto - il primo periodo della maternità semplicemente non combaciavano con gli insegnamenti ricevuti; non riuscivo a ricollegare la mia esperienza personale alle nozioni che avevo assimilato riguardo a corpo, mente, individuo e io relazionale, e alle nostre strutture di vita collettive. All'inizio credevo di essere impazzita. Cercavo disperatamente di comprendere che cosa mi stesse succedendo. Poi ho cominciato a capire che la mia mente era stata colonizzata da idee inadeguate sull'essere donna, sulla maternità, sul valore e persino sull'amore. Avvertivo un cambiamento inquietante. Sprizzavo di felicità perché ero incinta, e una creatura cresceva dentro di me, ma con il passare delle settimane mi accorgevo di essere più sommessa, più introversa, sempre più confusionaria. Era come se qualcuno si fosse trasferito dentro di me, avesse messo casa nel mio utero e nel mio cervello. Di certo era solo frutto della mia immaginazione, pensavo; credevo che la gravidanza fosse un processo fisico relativamente lineare, con qualche giornata 'ormonale' qua e là. Pensavo che il bambino sarebbe cresciuto dentro di me, come in un vaso di fiori, e io sarei rimasta la stessa di sempre. Ma le cose non stavano così. Scoprire la matrescenza mi ha dato il coraggio di parlare apertamente con altre madri, e ho scoperto che molte erano colte alla sprovvista dall'esperienza quanto me. Molte credevano che le difficoltà fossero colpa loro». Attingendo a vari ambiti di ricerca - neuroscienze e biologia evolutiva, psicoanalisi e terapia esistenziale, sociologia, economia ed ecologia - Lucy Jones racconta in prima persona la sua esperienza di questo periodo di trasformazione, paragonabile quanto a complessità solo all'adolescenza.
Sono numerose e si moltiplicano giorno dopo giorno in un autentico processo di gemmazione. Le comunità della conoscenza stanno cambiando il modo in cui le persone vivono i libri. Cosa sono concretamente? Sono realtà che prendono forma in contesti e luoghi molto diversi: biblioteche 'normali' e di condominio, gruppi di lettura analogici e digitali, librerie tradizionali e associative, silent reading party, ritiri letterari, human libraries. Sfiorano le gerarchie tradizionali della filiera del libro, ma più frequentemente nascono completamente al di fuori di essa, in spazi inusuali che ritrovano nuova vita grazie alla lettura condivisa. Le comunità della conoscenza fanno del libro il loro motore e delle storie il loro carburante. Storie che diventano strumenti di cura e agenti di sviluppo per le comunità. Chiara Faggiolani, attraverso conversazioni con decine e decine di pionieri della lettura nel nostro paese (e oltre), racconta micro-storie che vedono nella lettura l'agente di sviluppo per la comunità, lo strumento di rigenerazione urbana, di innovazione sociale, di contrasto alla solitudine e di promozione della salute. "Libri insieme" si rivolge a chi lavora nel mondo del libro e vuole cogliere nuove opportunità, ai professionisti che vogliono comprendere i cambiamenti culturali in atto. Ma è anche un libro che parla al cuore dei lettori, a chi crede nella forza trasformativa delle storie.
In Italia le bollette sono tra le più care d'Europa. È la dipendenza dall'estero a condannarci, come se dalla crisi energetica non avessimo imparato nulla. Eppure, sappiamo che il fossile è responsabile dello sconvolgimento climatico. E che liberarsi di gas, petrolio e carbone è l'unico modo per risanare il pianeta e il nostro portafogli. Ma su quali fonti conviene investire? Se c'è un tema che lascia interdetti è proprio quello dell'energia. Le questioni sono tante e chi ha interessi in gioco non fa che confondere le acque. Così i dubbi abbondano: fotovoltaico ed eolico bastano davvero a produrre l'elettricità che ci serve? E come si fa quando non c'è sole o vento? Non dovremmo piuttosto tornare al nucleare? Oppure passare tutti alle auto elettriche? E perché non puntare su biocombustibili o idrogeno? Sono solo alcune delle domande che trovano risposta in questo libro, un vero e proprio compendio di tutto ciò che c'è da sapere sull'energia, dal riscaldamento domestico ai trasporti, fino ai danni e agli sprechi di un sistema dominato dal fossile. Guardando ai dati e confrontando le diverse opzioni, Gianluca Ruggieri ci aiuta a farci un'opinione informata, evitando i tranelli tesi da chi vuole mantenere lo status quo. Perché il segreto di cui nessuno parla è che l'era delle rinnovabili è già iniziata. Ed è una trasformazione che ci chiama tutti in causa, fin nelle scelte di ogni giorno.
I voti ci accompagnano per tutta la nostra carriera scolastica, che siano espressi in numeri o in giudizi. È convinzione diffusa che essi costituiscano un incentivo all'apprendimento e che studiare per ottenere un 'ottimo' o un '10' consenta di sviluppare in maniera adeguata le conoscenze e le competenze fondamentali per affrontare la vita adulta. D'altra parte, si è sempre fatto così. Ma è una buona ragione per continuare a farlo? Siamo sicuri che un sistema scolastico che mette al centro i voti sia il più efficace? O è invece preferibile valutare diversamente? Scopriremo in questo libro che è possibile usare la valutazione non per erogare classifiche, ma per arricchire la didattica e per favorire un clima più sereno in classe e non solo.
La conoscenza dei meccanismi fondamentali dell'economia - oggi più che mai - è essenziale per orientarsi in un mondo sempre più complesso e per fare le scelte giuste, individuali e collettive. In questo libro, di assoluta chiarezza, due economiste da tempo impegnate nel diffondere i principi dell'educazione finanziaria ci aiutano a impadronirci di una materia che spesso risulta ostica e oscura. Che cosa devono sapere i giovani per orientarsi nel modo migliore nel mercato del lavoro? Come investire adeguatamente i propri risparmi in un mondo finanziario così incerto? Come costruirsi una discreta sicurezza finanziaria nell'età anziana? Perché disporre di competenze economiche è prezioso più che mai per le donne? Sulla base di quali criteri condivisi si contribuisce alle risorse collettive? Sono alcune delle domande a cui questo efficace libro cerca di dare risposte, ritagliate sulle esigenze di persone diverse per età, condizione sociale, livello di istruzione.
La scuola non stampa moneta, non crea lavoro, non garantisce felicità, ma è il luogo in cui si forma la nostra coscienza linguistica, critica, storica, etica, politica. È alla scuola che spetta l'educazione dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze, che sono la bellezza, l'unità e la speranza del Paese. Smettiamola di credere che il mondo, come scriveva Eliot, sia «proprietà esclusiva dei vivi», senza trapassati, né posteri. Disegniamo, invece, il volto di una scuola inedita che recuperi i perché interrogativi, che insegni a cogliere la profondità e la relazione tra le cose, che consenta di scoprire il valore del passato e della memoria e al contempo di inventare il mai visto e l'inaudito. "Interrogare, intelligere, invenire": queste, dunque, le tre 'i', i fondamenti su cui costruire la formazione. Per teste ben fatte piuttosto che teste ben piene, come auspicava Montaigne, si deve frequentare il pensiero dei classici, fondativo e al tempo stesso antagonista del presente. Si comprende allora il significato della frase di Manara Valgimigli: «La scuola la fanno i maestri, non i ministri». Per tanti ha significato cambiare le sorti della loro vita perché è solo nel rapporto tra maestro e allievi che si sprigiona il campo di energia dell'educazione. Un'utopia? Una necessità vitale. Possiamo bearci dei trionfi della tecnica, ma è necessario che l'interrogazione di Socrate riequilibri lo slancio di Prometeo.
La filosofia sociale del linguaggio nasce con tre obiettivi primari: indagare gli usi del linguaggio in contesti 'non ideali', strategici e asimmetrici; chiarire il ruolo del linguaggio nella costruzione della realtà sociale; ridefinire termini di rilevanza socio-politica per costruire strumenti efficaci per il contrasto a discriminazioni e ingiustizie sociali e per l'esercizio di una cittadinanza critica, attiva e responsabile. Le autrici, usando esempi reali tratti dalla vita politica italiana e internazionale, dalla cronaca, dal linguaggio dei social media e delle serie TV, analizzano i dispositivi linguistici e le strategie comunicative che influenzano la realtà sociale e politica e individuano gli strumenti per contrastarne il potenziale dannoso.
I diritti umani hanno una 'storia breve' e una 'storia lunga'. Quella 'breve' l'hanno scritta i Paesi del Nord, ricchi e sviluppati, e comincia con la seconda guerra mondiale. Quella 'lunga' inizia invece nel 1492, con la cosiddetta 'scoperta' dell'America e la creazione europea di un sistema coloniale e criminale. Un sistema fondato su omicidi di massa (50 milioni di morti solo nelle Americhe), sulla privazione di diritti e sulla deumanizzazione. Zaffaroni propone un percorso critico legato ai molteplici modi in cui il colonialismo ha trovato espressione fattuale e ideologica, mettendo in discussione il suo rapporto con i diritti umani, originariamente celebrati come un trionfo proprio dalla stessa civiltà che ha teso la mano al patriarcato, alla misoginia, alla discriminazione, al razzismo e al classismo. Dallo smembramento dell'Africa al tardo colonialismo finanziario contemporaneo, passando per il colonialismo britannico in India e Oceania o quello francese in Indocina, i crimini dell'espansione americana e russa, i massacri delle repubbliche dell'ex Unione Sovietica e i crimini degli Stati Uniti e della Russia, i massacri delle repubbliche oligarchiche americane, le guerre in Congo, Algeria, Madagascar, Camerun, Malvinas, Iraq, Libia e Balcani, Zaffaroni porta alla luce questa 'storia lunga', occultata per giustificare tali atrocità con la sedicente superiorità della cultura colonizzatrice. Oggi, più che mai, dobbiamo riscattare la memoria di questi crimini e riconoscere che fanno parte della storia dei diritti umani. Le guerre e i conflitti esplosi di recente (dall'Ucraina a Gaza) ci mostrano che i diritti umani come categoria giuridica avranno un futuro solo se usati come strumento di lotta giuridica dei popoli, in grado di emanciparli da una posizione di subordinazione geopolitica.
L'Italia ha partecipato alla Seconda guerra mondiale perché costretta dall'alleato nazista? I soldati mandati in guerra dal fascismo hanno combattuto con coraggio e sono stati sconfitti a causa della sovrabbondanza di uomini e mezzi di inglesi, russi e americani? È stata, dunque, solo la 'sfortuna' a piegare la volontà guerriera del fascismo? In realtà, Mussolini fu un pessimo leader militare circondato da una casta militare connivente che ne assecondò i progetti imperiali nel Mediterraneo e nei Balcani. Il regime aveva sognato di trasformare il nostro Paese in una grande potenza, sovvertendo l'ordine mondiale assieme agli alleati tedeschi e giapponesi. Alla prova dei fatti, questo sogno si rivelò per quello che era in realtà, ovvero una fantasia evanescente, come mostrarono presto sconfitte, fame e bombardamenti. Senza una chiara strategia e frustrate, le forze armate fecero ricorso, nei territori occupati, alla violenza contro i civili e a crimini di guerra. A mancare non furono la fortuna o il valore ma la capacità di fare quella guerra verso cui il fascismo aveva teso per vent'anni.