Vi è oggi una via della medicina cinese che va ritrovando nel mondo l'antica sacralità che le è propria. Il medico, l'agopuntore, ritrova così il coincidere delle funzioni di scienziato e di filosofo, di persona pia, e attraverso il compendio cinese si scopre riunito secondo le proprie regionalità alle radici culturali da cui proviene, finalmente se stesso. La vera medicina cinese è nuova antica via, calata nell'odierna realtà culturale e sociale, plasmata nell'ideazione e nell'elaborazione sviluppate secondo i modi e i modelli tradizionali, forgiata nella concretezza, nella correttezza, dalla fiducia e dalla certezza, radicata nel fertile terreno culturale cinese, sua verde odierna globalizzata fronda, fiore, bocciolo. Scienza di connotazione a un tempo logica e sovralogica, esperienziale nella pratica, correlata filosoficamente alla teoria generale dei sistemi, in deferente ascolto dell'armoniosa voce dei maestri, è solidamente ancorata alla mistica occidentale oltre che orientale. La rivisitazione degli antichi e dei recenti percorsi della medicina cinese sviluppata da Moiraghi nei volumi che ha dedicato alla vera medicina cinese, e specie in questo in cui il naturale raffronto considera l'odierna rigida scena cinese e il grave scenario planetario che ne viene, può anche aiutare a pervenire alla risoluzione del problema sull'agire medico, che in tutti i tempi deve basarsi tanto sulla conoscenza scientifica quanto sull'ethos umanitario.
Contributi di: Armogathe, Bruguès, Cazzago, Coutagne, Crippa, Dalmasso, Lafforgue, Marion, Petrosino.
Il 16 ottobre 2010 a Buenos Aires, nella XIII Giornata di Pastorale Sociale, il cardinale Jorge Mario Bergoglio, futuro papa Francesco, ha tenuto il discorso da cui è nato il libro "Noi come cittadini noi come popolo". Si tratta di un discorso diretto a tutti, ma Bergoglio si rivolge esplicitamente ai governanti. L'Argentina è un grande Paese che in quell'occasione iniziava a festeggiare i 200 anni della sua indipendenza. L'Argentina veniva dalla catastrofe della dittatura e dalla crisi economica dell'inizio del XX secolo. Questo testo, rivolto anzitutto al suo Paese e ai suoi governanti, è premonitore della responsabilità che papa Francesco ha assunto di fronte a tutto il mondo. Non c'è piena cittadinanza senza giustizia e ricerca del bene comune, non c'è giustizia se non c'è cosciente solidarietà col popolo, non c'è un popolo se un Paese non riscatta i poveri: "Non possiamo ammettere che si consolidi una società duale". Presentazione di Mario Toso.
Il volume racconta il confronto tra la politica costantiniana, la tradizione imperiale romana e le grandi tradizioni religiose mediterranee. Nel tessuto della città antica a lungo le appartenenze religiose si erano sovrapposte e intrecciate, con scambi fecondi e convergenze inattese. Vi prendevano parte piena anche i fedeli cristiani, sempre più numerosi. Quando sancì la pace religiosa, Costantino scelse il Dio cristiano come protettore dell'impero e garante della coesione sociale. Non volle sottomettergli a forza gli altri culti e fedi poiché pensava che nella concordia e nel tempo tutti si sarebbero convinti della sua verità. Governò i culti tramite la legge e cercò netti confini nella dottrina e nella pratica tra le diverse comunità religiose. Il suo progetto fu in parte assecondato e in parte contrastato da cristiani, pagani ed ebrei. Del precario equilibrio di antico e di nuovo realizzato in quei decenni restano testimonianze evidenti nelle immagini auliche e di uso comune negli interventi urbanistici e architettonici dell'imperatore a Roma, Costantinopoli e Gerusalemme. Il mondo costantiniano durò poche generazioni. L'esigenza delle autorità cristiane di definire in modo certo l'appartenenza dei fedeli, la loro volontà di affermare la propria libertà dal rapporto imperiale e la mancanza di imperatori della levatura politica e culturale di Costantino, in grado di governare la complessità religiosa, ne causarono la fine.
Un progetto di umanesimo moderno è effettivamente esistito nel secondo dopoguerra, oppure l'attribuzione della qualificazione di umanistica all'architettura moderna di quel periodo è in realtà propria della storiografia più recente, a noi contemporanea? Il quesito, sotteso a questo studio, consente di costruire percorsi che si svolgono fra scritti sull'architettura di circa due decenni, quando lo sguardo critico verso il passato si focalizza soprattutto sul Quattrocento e sulla sua capacità di rifondazione culturale della società attraverso le arti. Senza cadere nella riproposizione formale e anacronistica di modelli del passato, gli architetti confermano, in questa stagione, la loro opzione per la modernità nella tensione a valori fondanti di una filosofia umanistica. I principi di un nuovo umanesimo trovano allora possibilità di esprimersi in una progettualità che riesce a evidenziare il primato del metodo, il proprio ruolo didattico e le ragioni culturali e sociali dell'architettura europea.
Un "florilegio" di feste proposto come un'umile e minuta guida, quasi un "breviario", per l'Anno della Fede. E il senso di queste brevi pagine che, ripassando le festività cristiane, espongono i misteri principali del Credo, che ne sono il contenuto e la sostanza. Tali festività, infatti, sono un'esposizione chiara e multiforme della fede della Chiesa, non solo dottrinalmente, ma concretamente, in particolare con l'ausilio del ricorrere e dell'alternarsi del tempo, con l'attrattiva e lo spessore dei segni, con gli accenti della preghiera. Il credente, però, non si limita a imparare dalle feste: egli è chiamato a condividerle, così che divengano il vissuto della sua fede, e quindi il luogo e il tempo in cui egli fa esperienza dei misteri celebrati. Potremmo, allora, parlare dell' "affezione" delle feste, che si iscrivono nella mente, nei sentimenti e nella vita di chi vi prende parte. Ognuna di esse si presenta con la sua grazia, perché venga accolta e cosi renda conformi al Figlio di Dio fatto carne, crocifisso e risuscitato, ossia al Crocifisso glorioso che di tutte le celebrazioni è il Festeggiato. La liturgia senza dubbio parla ai credenti. E, tuttavia, anche chi non ha mai creduto, o non crede più, potrebbe restare impressionato dinanzi alle celebrazioni.
Il tema dell'immagine ha sempre accompagnato la storia del cristianesimo: un iniziale aniconismo, influenzato dal divieto veterotestamentario di farsi immagini di Dio, si sarebbe aperto, con il passare dei secoli e non senza resistenze, a una piena accettazione dell'arte sacra figurativa, a cui la tradizione dell'Oriente bizantino riconobbe una natura teologica di primaria importanza in ordine alla rivelazione del mistero cristiano. In questa ricostruzione l'iconoclasmo e la negazione delle immagini sono stati letti come una crisi, un'interruzione dolorosa in un mondo ormai votato al culto dei tratti di Cristo e dei santi fissati nelle icone. Il cristianesimo delle origini tuttavia, pur tra ostacoli e discussioni, ha realmente accolto e promosso la possibilità delle raffigurazioni religiose? Le lotte iconoclaste furono davvero un momento di crisi o piuttosto l'apice di un cristianesimo spirituale come fu quello dei primi otto secoli? Gli imperatori iconoclasti imposero la propria linea teologica a un clero favorevole alle immagini sacre, o piuttosto furono i difensori convinti di un aniconismo che nel contesto del cristianesimo bizantino rappresentava una tendenza diffusa? Da quando la Chiesa d'Oriente ha iniziato a credere che le icone fossero "irruzione dell'eternità nel tempo"?
L'opera di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore, illustre rappresentante dell'antica aristocrazia romana ma anche della nascente cultura cristiana, è l'espressione d'una nuova sensibilità per la conservazione e il restauro delle eredità del passato. E proprio, infatti, dal sincretismo fra il diritto romano e la cultura cristiana che si svilupparono già a cavallo fra V e VI secolo significative anticipazioni di quel moderno sentimento di conservazione e di consapevole trasmissione al futuro, nella loro concreta materialità, delle vestigia "autentiche" del passato a cui Cassiodoro dedicò tutta la sua vita e che, ancora oggi, caratterizzano il contributo italiano e, più in generale, quello dell'intera cultura occidentale, alla disciplina del restauro.
Dopo l'estinzione della casa di Teodosio I (450), nella parte orientale dell'Impero romano si innesca un affannoso meccanismo in base al quale la continuità del potere politico si regge su un sistema dinastico, pur non esistendo più alcuna dinastia. Con la morte di Marciano (457), già marito dell'augusta Pulcheria, viene nominato imperatore un soldato semisconosciuto, Leone, che ha una figlia di nome Ariadne, o Arianna. Di colpo la ragazza è catapultata in un mondo fatto di protocolli e raffinatezze, ma anche di intrighi, passioni e rancori. Imparando a destreggiarsi tra i pericoli, il destino di Arianna si lega a quello dell'uomo scelto come suo sposo. La sua funzione di grembo per una nuova dinastia non basta a metterla al riparo da congiure e usurpazioni. E mentre corre il rischio di soccombere sotto questi colpi, giunge la notizia che in Occidente non vi è più un imperatore.
Il notissimo storico della Chiesa spagnolo Juan María Laboa durante il 2012 scrive un lungo racconto, una parabola: la venuta di Cristo a Roma ai nostri giorni, con tutti gli odierni personaggi della politica, del Vaticano ...Alla festosa accoglienza delle borgate romane e di parrocchie di quartiere si contrappone il turbamento di persone famose.
Accompagnano Gesù vari apostoli e santi. Roma affascinante e barocca appare fuori tono, c’è sproporzione! Eppure l’accoglienza che promana dal nuovo arrivato abbraccia tutti, tutto può tornare possibile. Chi oggi «si imbattesse in Cristo, non ascolterebbe forse la Buona Novelladalla sua stessa fonte?».
Con la suspence di un thriller, l’opera è una parabola che mette il lettore a suo agio. Verso la fine Benedetto XVI prende la decisione di dimettersi, e nell’ultimo capitolo il papa si sveglia: il tutto era stato un suo sogno, e comincia una giornata diversa...
Nell'enorme bibliografia sull'argomento, spesso ha prevalso un atteggiamento tendente a vedere nell'antisemitismo un'eccezione nel quadro complessivo della cultura europea. Al contrario, l'antisemitismo è da leggere quale componente di un pensiero politico "rivoluzionario" ostile alla società borghese liberale e in aperta concorrenza col socialismo e il marxismo. L'antisemitismo si presenta come un'ideologia di mobilitazione dei ceti medi timorosi di uno sviluppo capitalistico che distrugga la proprietà, declinandosi quale progressiva finanziarizzazione dell'economia. Da qui, di conseguenza, la distinzione degli economisti antisemiti fra un capitalismo positivo e il capitalismo aggressivo della "finanza ebraica", la domanda di un "socialismo dei piccoli proprietari", l'elaborazione del concetto di "razza" quale nuovo legame sociale che sostituisca quello, ritenuto ormai corroso, della società borghese liberale, e, soprattutto, il progetto di restituire al "politico" quel primato che, in epoca capitalistica, sembra demandato alla "finanza ebraica". A questo punto, l'antisemitismo, dopo che per decenni, attraverso sociologi ed economisti, da Toussenel a Hamon, da Auguste Chirac a Malynski, aveva polemizzato contro la finanziarizzazione dell'economia, è ormai politicamente maturo per incrociare, subito dopo la prima guerra mondiale, le suggestioni dei movimenti politici totalitari, portando in dote una critica corrosiva della società borghese liberale.
Abù Hàmid al-Ghazâlî (1058-1111) nacque a Tus (Persia). Studiò a fondo la religione islamica e divenne docente a Baghdad. In seguito a una profonda crisi spirituale abbandonò l'insegnamento per dedicarsi alla ricerca di Dio nell'approfondimento della mistica islamica. Viaggiò tra La Mecca, Damasco e Gerusalemme, per tornare infine nella sua città natale e dedicarsi alla scrittura delle sue opere. Il suo pensiero illumina la storia dell'Islam. La conoscenza intellettuale e l'esperienza della fede, unite insieme, guidarono al-Ghazâlî nella ricerca di ciò che stava al di là della realtà apparente e dell'effimero. Esperienza questa che egli descrisse nella sua opera più significativa, "Il ravvivamento delle scienze religiose". La sete spirituale del divino e del suo amore per la creatura; l'obbedienza alle pratiche cultuali e religiose; la ricerca filosofica, teologica e giuridica; l'interesse per l'ordine sociale e politico dello Stato islamico divennero in al-Ghazâlî i campi di ricerca nel tentativo di riportare la filosofia e la mistica nel solco della tradizione islamica. Parliamo quindi di un riformatore del pensiero musulmano, sempre attento ad armonizzare la speculazione scientifica con l'esperienza di Dio, la ragione con la fede. Qui sta, infatti, l'attualità del genio intellettuale e spirituale di al-Ghazâlî, che ancora oggi può lanciare un messaggio positivo al mondo intellettuale e religioso dell'Islam. Prefazione di Maurice Borrmans.