Una lettera appassionata, quella che l'Arcivescovo Mario Delpini ha dedicato ai ragazzi nel pieno dell'adolescenza: un'età fatta di grandi slanci, sogni e desideri, ma caratterizzata anche dall'incertezza, dal sentirsi incompiuti, sopraffatti da una moltitudine di domande. Un'età in cui pregare sembra una pratica desueta, ormai lontana, di cui si può fare a meno e vivere bene lo stesso, al più da "usare al bisogno", come una sorta di terapia per stare meglio. Un'età in cui ci si chiede perché credere in un Dio che "non è presente e vicino" come si vorrebbe e chi è veramente questo Signore, che dicono "Padre di tutti"... L'Arcivescovo va dritto al cuore dei ragazzi: «Anch'io mi sono fatto - e mi faccio - le stesse domande. Ma ricordo anche momenti della mia adolescenza, quando lo sguardo rivolto al crocifisso della mia chiesa mi ha come trafitto il cuore; quando una sera di vento mi ha fatto giungere una parola commovente, come una confidenza sorprendente; quando le parole "solite" sono diventate come fuoco; quando in un momento di adorazione mi sono sentito dire: "Io vi ho chiamato amici...". Era forse preghiera?». Ecco, allora, il messaggio che Mario Delpini vuole arrivi agli adolescenti: «La preghiera non è una cosa da fare ma un incontro che cambia la nostra vita in profondità. Per questo preghiamo: perché il nostro cuore si trasformi e si apra. Pregare permette al cuore di vivere e di sentire la vita». Non manca nulla a chi accoglie l'invito a credere e pregare. Ed è lo stesso Gesù a suggerirci le parole per allacciare una relazione con Dio, nel Vangelo secondo Matteo (6,9-13). Parole che riempiono di stupore, che stringono cielo e terra in un unico abbraccio che sa di speranza. Una speranza, ci dice ancora l'Arcivescovo, che è come l'adolescenza: un desiderio in attesa di germogliare. Ma che cosa vale la pena desiderare, in un mondo che offre di tutto? Vogliamo la felicità che non finisce mai, ma spesso ci accontentiamo di molto meno. Ecco, la preghiera viene a salvarci: dal sottovalutare la nostra esistenza, la nostra libertà, infine noi stessi. Perché la libertà è frutto di una relazione buona, di un potersi chiamare per nome, affidandosi all'altro senza paura. Dio non pretende nulla: se consegni a lui il tuo desiderio di felicità ti camminerà accanto ogni giorno, come un amico vero, disposto a donarti la vita.
La tradizionale Lettera che l'Arcivescovo dedica alle famiglie in occasione del Natale invita a pensare a tutto ciò che "abita" le nostre case: persone, relazioni... ma anche oggetti! L'Arcivescovo ci propone di abitare tra le pareti domestiche con l'atteggiamento di chi sa sorprendersi e si dispone a esplorare; con «l'atteggiamento di chi si lascia istruire non solo dalle persone, non solo dalle visite attese, ma anche dagli oggetti scontati, dalle ovvietà insignificanti». La porta, le fotografie, il divano del salotto, l'attestato, la tavola, il vecchio libro, il crocifisso, la ciotola di teak, la finestra: una riflessione su nove oggetti che generalmente si trovano nelle nostre case e che "prendono voce", dandoci messaggi e segni, in questo Natale! «Ascoltare la voce delle cose di casa è un aiuto ad andare oltre la banalità, oltre la fretta, per accorgersi di quante memorie si possono custodire, di quanta saggezza si può attingere, di quanto sia bello "avere una casa", forse anche un privilegio e una responsabilità. Si deve quindi riconoscere che la gioia di lodare Dio non viene solo dai momenti felici e dalle prospettive promettenti, ma da una misteriosa forza e grazia che permette di resistere anche nelle tribolazioni estreme. E in questa situazione i giovani giudei danno voce a tutte le cose perché si innalzi la lode di Dio».
Nella proposta pastorale per l’anno 2020/2021, l’arcivescovo Delpini invita tutti a far emergere le domande profonde che interpellano la nostra fede e il pensiero del nostro tempo, ancora segnato dall’esperienza drammatica della pandemia.
I fedeli sono esortati a interpretare e discernere prima ancora che a programmare. «Non è più tempo di banalità e di luoghi comuni, non possiamo accontentarci di citazioni e di prescrizioni. È giunto il momento per un ritorno all’essenziale, per riconoscere nella complessità della situazione la via per rinnovare la nostra relazione con il Padre», scrive l’Arcivescovo. La proposta pastorale intende, in sostanza, incoraggiare l’invocazione, la ricerca, l’esperienza della sapienza, attingendo al patrimonio dei Libri Sapienziali.
Il volume è suddiviso in due parti: una prima parte introduttiva, che affronta i temi sopra citati, e la lettera vera e propria di apertura dell’anno pastorale, in cui si fa più assiduo e puntuale il riferimento al Libro del Siracide, suggerito come guida di questo cammino, e alla vita della comunità cristiana.