«Dal Timeo di Platone viene quasi tutto ciò che vale la pena ricordare». Così afferma Piero Boitani fin dalle prime pagine, in procinto di incamminarsi nel percorso interpretativo di uno dei dialoghi platonici più letti e più fecondi, che qui compare in appendice nella nuova traduzione di Federico M. Petrucci. Del resto, cosa avrebbero potuto scrivere, senza il Timeo, Aristotele e Filone d'Alessandria, Agostino e Boezio, Dante e tanti altri sino all'epoca moderna? L'idea è quella di percorrere i sentieri del linguaggio figurato che da Platone portano a Dante, conducendo il Timeo, appunto, fino in Paradiso. Sentieri spesso obliqui, nascosti, mimetizzati, che arrivano all'epoca cristiana, nella quale il linguaggio «per miti verosimili» del dialogo continua ad avere fortuna, ma deve trovare una diversa giustificazione. Leggere la Scrittura con Platone si può, ma occorre cercare i modi giusti, tanto più che il Timeo affronta i nodi capitali della Creazione e della Bellezza. Boezio e la Scuola di Chartres sono gli eredi diretti di questa tradizione, con esiti sorprendenti dal punto di vista poetico e filosofico. Ma esistono anche discendenze indirette, che qui Boitani ricostruisce con maestria: Plotino, con la sua devozione al Bello; Agostino, che lotta con il problema della Creazione e fonda la nuova visione della Scrittura come umile e sublime a un tempo; Gregorio, il Papa narratore, esegeta e poeta, Alberto Magno, Tommaso d'Aquino e poi Dante, che si avvicina sempre più al platonismo man mano che si addentra nel Paradiso. Pagina dopo pagina prende forma l'albero genealogico dell'unico dialogo platonico conosciuto nel medioevo, con l'origine verso il basso, ma con un occhio puntato verso il tronco biblico e i rami frondosi del Bello e del Sublime. Boitani racconta questa vicenda cruciale della cultura occidentale con tutto l'entusiasmo - Platone direbbe la mania - di cui è capace, ricostruendo un'avventura intellettuale unica nella storia.
Non sappiamo di preciso come nasce la poesia, ma sin dai tempi più antichi i poeti e i pensatori hanno individuato tre fonti particolari: l'ispirazione, la meraviglia e l'incanto. La prima si è sempre detta divina, qualcosa che proviene da un altrove misterioso e remoto e che rende l'uomo un invasato, preda di quella che Platone chiamava mania. Più complessa è la meraviglia, fonte della filosofia secondo Platone, origine, attraverso il mito, anche della poesia secondo Aristotele. Ma è l'incanto, il più magico e più sfuggente degli elementi: lo stregare, il dismagar. Da Orfeo all'Odissea, da Pindaro a Boezio, da K?lid?sa a Du Fu, la malia domina le albe provenzali e il risveglio di Romeo e Giulietta, le poesie che celebrano l'allodola, la canzone di Mignon, Leopardi e Keats, Tjut?ev e Rilke. La poesia incanta: prima di piombare nel silenzio da cui proviene, si fa musica.
"Non importa quanto la vita vi sia rimossa, imitata, distorta, presa in giro, esagerata. Se l'opera letteraria non dice qualcosa ai viventi è muta". Piero Boitani introduce il lettore alla grande letteratura in un viaggio di conoscenza ricco di suggestioni, come un cammino attraverso il vivere.
«E dovunque si estende la potenza romana sulle terre domate, sarò letto dalla gente, e per tutti i secoli, grazie alla fama, se c'è qualcosa di vero nelle profezie dei poeti, vivrò.» Libri che «non hanno finito mai di dire quel che hanno da dire», i classici sono davvero «infinitamente futuri». Qui Piero Boitani ci consegna pagine acuminate in cui interroga fra l'altro l'Iliade, il poema della forza e della guerra, anzi di un conflitto cosmico, ma anche della pietà che rende l'uomo civile; l'Odissea, il primo e più affascinante romanzo del mondo; Lucrezio, il quale, dopo che i greci hanno scoperto la meraviglia, il pensiero e la scienza, ne ha fatto poesia straordinaria; Virgilio, che consacra la storia del piccolo villaggio divenuto capitale del mondo; Tacito, che denuncia con forza la natura imperialistica del potere romano; Ovidio, che con le Metamorfosi, poema del continuo divenire, crea il primo grande classico post-moderno.
Libri che «non hanno finito mai di dire quel che hanno da dire», i classici sono davvero «infinitamente futuri». Qui Piero Boitani ci consegna pagine acuminate in cui interroga fra l'altro l'Iliade, il poema della forza e della guerra, anzi di un conflitto cosmico, ma anche della pietà che rende l'uomo civile; l'Odissea, il primo e più affascinante romanzo del mondo; Lucrezio, il quale, dopo che i greci hanno scoperto la meraviglia, il pensiero e la scienza, ne ha fatto poesia straordinaria; Virgilio, che consacra la storia del piccolo villaggio divenuto capitale del mondo; Tacito, che denuncia con forza la natura imperialistica del potere romano; Ovidio, che con le Metamorfosi, poema del continuo divenire, crea il primo grande classico post-moderno.
Il riconoscimento - l'agnizione dei latini, l'anagnorisis dei greci - è uno dei più grandi scandali della letteratura: ha luogo nell'azione drammatica, nel romanzo, nell'opera, nel cinema, e spesso scrittori maggiori e minori ne hanno fatto uso strumentale all'unico scopo di portare a conclusione la propria opera. È anche, però, un elemento centrale, come già rilevava Aristotele, della tragedia e della narrazione complessa, perché mette in scena l'affiorare della conoscenza: non in un processo teorico astratto, ma nella carne stessa, nei sentimenti, nell'intelligenza, degli esseri umani. Questo libro esplora le scene e i temi del riconoscimento dalla letteratura antica a quella medievale e moderna: da Omero e dalla sua Odissea all'Antico e al Nuovo Testamento; da Eschilo, Euripide e Sofocle a Shakespeare, da Dante a T. S. Eliot; dal "Conte di Montecristo" di Dumas al "Giobbe" di Roth, dal "Giuseppe e i suoi fratelli" di Mann all'"Ulisse" di Joyce. In ogni capitolo a un testo antico fa riscontro una serie di testi moderni, mentre la teoria del riconoscimento segue il percorso parallelo da Platone e Aristotele ai Padri della Chiesa e a Freud. Riconoscere, dice Euripide, è un dio: il deflagrare della conoscenza tra persone che si amano, o si odiano, possiede la forza, la sublimità, l'ilarità che per pochi attimi ci fa provare la vertigine del divino.
In principio furono le stelle. Se il primo a vedere "astri infiniti splendere nel buio" è Omero, poeti e scrittori di tutte le letterature sono stati rapiti dall'incanto del cielo stellato. Su tutti, Dante, che nella "Commedia" si volge alle stelle all'inizio e alla fine del poema, e al termine di ciascuna cantica. Trapuntano dovunque le volte delle chiese e delle moschee, illuminano mille capolavori della pittura, da Giotto a van Gogh e a Rothko. Ispirano musiche sublimi, da Händel a Haydn, da Verdi a Wagner, come pure folgoranti sperimentazioni contemporanee. Ma il racconto delle stelle intesse di vibrante bellezza anche civiltà lontane, dalla Persia all'India, alla Cina. Sapienti e visionarie, queste pagine esplorano i pensieri e i sogni, gli interrogativi, i fantasmi, i terrori, le speranze che l'umanità ha consegnato alle stelle attraverso il tempo.