Nessuno più di Hannah Arendt si è reso conto che "le grandi crisi politiche del Novecento - lo scoppio della guerra totale nel 1914; l'ascesa dei regimi totalitari in Russia e in Germania, con il relativo annientamento di intere classi e razze di esseri umani; l'invenzione della bomba atomica...; la Guerra fredda; la Corea; il Vietnam e via dicendo tutti gli altri eventi che precipitano come le cascate del Niagara della storia - potevano essere viste come altrettanti sintomi di un generale collasso morale. Ma il nocciolo duro e controverso della diagnosi arendtiana sta nell'attribuire questo collasso morale non all'ignoranza o alla malvagità degli uomini, incapaci di far proprie le antiche verità morali, ma all'inadeguatezza di queste stesse verità morali intese come norme o criteri di giudizio su ciò che gli uomini sono ormai in grado di fare. Questa è la sola conclusione generale che Arendt si sia mai permessa di trarre: la generalità del collasso, la generalità del cambiamento che ha travolto tutto ciò che la nostra lunga tradizione di pensiero ha sempre considerato sacrosanto". Così Jerome Kohn, curatore del volume, commenta gli interventi contenuti in Responsabilità e giudizio, nove tra saggi, appunti, riflessioni ad alta voce e discorsi pubblici nei quali la Arendt intenta un vero e proprio processo alla parola "coscienza", bersagliandola di domande che, pur seppellite nel nostro passato, continuano ad assillare lo spirito.
E' questo non solo l'ultimo libro di Hannah Arendt ma anche il coronamento finale della sua "vita activa". Rimasto incompiuto, si sarebbe dovuto comporre di tre parti: restano le prime due e un abbozzo della terza. La prima, dedicata al Pensare, si domanda dove si trovi l'io che pensa, quali siano il suo spazio e il suo tempo, concludendo che esso si pone tra passato e futuro, tra la memoria del non più e l'attesa del non ancora. Qui, nel presente del pensare, l'angelo della storia ferma talvolta il suo volo e ci fa essere liberi. Ed è proprio alla libertà che è dedicata la seconda parte, quella che studia una nozione sconosciuta ai greci antichi: il Volere. Solo il cristianesimo si pose infatti il problema di come conciliare la fede in un Dio onnipotente con le esigenze del libero arbitrio. E dal cristianesimo tale questione arriva sino all'epoca moderna, allorché la volontà si scontra con la legge di causalità, o quando ci si sforza di farla convivere con le leggi della storia. In appendice gli appunti della terza parte, dedicata al Giudicare.
In occasione del centesimo anniversario dalla nascita di Hannah Arendt, una raccolta antologica di saggi centrati sulla questione fondamentale del totalitarismo, ripresi dai due volumi dell'Archivio Arendt. Il volume comprende i seguenti testi: "Che cosa resta? Resta la lingua"; "Ripensando a Franz Kafka"; "Colpa organizzata e responsabilità universale"; "L'immagine dell'inferno"; "Le tecniche delle scienze sociali e lo studio dei campi di concentramento"; "Le uova alzano la voce"; "A tavola con Hitler"; "Umanità e terrore; "Comprensione e politica"; "La natura del totalitarismo"; "Religione e politica"; "Gli ex comunisti"; "Una replica a Eric Voegelin"; "Sogno e incubo"; "L'umanità nei tempi oscuri: riflessioni su Lessing".
Tra il 1965 e il 1966 Hannah Arendt tenne due corsi universitari, il primo alla New York School for Social Research e il secondo all'Università di Chicago, intitolato "Proposizioni morali fondamentali". Il corso alla New School fu suddiviso in quattro lunghe lezioni. Questo volume contiene il testo delle lezioni tenute a New York, a cui sono state aggiunte in nota le variazioni più rilevanti del corso di Chicago.
I saggi tradotti in questo volume discutono, nel quadro di un'ampia riflessione sul significato dell'agire politico, alcune delle questioni più controverse del nostro tempo: l'autonomia della cultura ebraica nel mondo moderno, il problema dell'esilio, la fondazione dello Stato di Israele, la possibilità della pace in Medio Oriente.
In questo secondo volume dell'Archivio Arendt sono raccolti diciassette saggi, contemporanei agli anni della grande riflessione arendtiana sul totalitarismo. Dall'indice: Gli intellettuali e la religione; Le tecniche delle scienze sociali e lo studio dei campi di sterminio; I postumi del dominio nazista: reportage dalla Germania; Le uova alzano la voce; A tavola con Hitler; Umanità e terrore; Comprensione e politica; La natura del totalitarismo; Heidegger la volpe; Comprendere il comunismo; Religione e politica; Gli ex comunisti; Una replica a Eric Voegelin; Sogno e incubo; L'Europa e la bomba atomica; La minaccia del conformismo; L'interesse per la politica nel recente pensiero filosofico europeo.
La violenza ha sempre svolto un ruolo importante negli affari umani. In questo breve saggio la Arendt dà ragione della sua affermazione ripercorrendo i fatti della nostra storia recente: dal Black Power americano alle manifestazioni studentesche degli anni Sessanta. Il rapporto fra violenza, potere, forza e autorità; i limiti della violenza; la differenza tra violenza collettiva e individuale; le sue cause e le sue origini. Questi sono solo alcuni degli argomenti trattati. Una radiografia del fenomeno in tutte le sue espressioni, variazioni e implicazioni, alla quale non mancano il tono di una passione politica e morale.
"I saggi qui raccolti sono variazioni sul tema della frattura che si apre nell'esistenza e nella cultura quando l'essere umano non può aprirsi al mondo e quindi al presente. I vari tipi di crisi, dell'autorità, della libertà, dell'istruzione, persino del pensiero, sono riportati alla fondamentale lacuna dell'agire. Questa assume l'aspetto decisivo di una interruzione della tradizione. (...) Un aforisma di René Char fa da epigrafe ideale di questo libro: "La nostra eredità non è preceduta da alcun testamento". Non c'è modo migliore di illuminare il paradosso tipicamente moderno, per cui ogni generazione, in una cultura educata nella storia più di ogni altra, dimentica le motivazioni di quelle che l'hanno preceduta." (Introduzione di A. Dal Lago)