
Dai presagi del primo conflitto mondiale alle scosse di assestamento della guerra fredda, il Novecento è stato forse il secolo più sanguinoso della storia. Eppure, grazie alle innovazioni tecnologiche e ai progressi scientifici il tenore di vita di buona parte dell'umanità era notevolmente migliorato e l'economia sembrava aver imboccato la via della crescita costante e inarrestabile. C'erano tutte le premesse perché si potesse auspicare una diffusione della pace e della democrazia in un mondo "globalizzato". Come spiegare l'incredibile portata e intensità delle ondate di violenza che hanno messo a ferro e fuoco i cinque continenti, trasformando gli ultimi cento anni in una tragica stagione di massacri, genocidi e innumerevoli conflitti etnici e religiosi che si protraggono, con immutata ferocia, anche nel Terzo millennio? Questo studio è una riscrittura dell'età contemporanea in cui l'autore ricerca le radici dei conflitti e delle esplosioni d'odio che hanno sconvolto il ventesimo secolo, fino a individuare alcuni tratti comuni a tutte le guerre del Novecento. "La guerra del mondo narrata in queste pagine conclude Ferguson - si ostina a non finire: finché gli esseri umani si prefiggeranno la distruzione dei propri simili, finché temeremo, e nel contempo desidereremo, di vedere devastate le nostre metropoli, questa guerra è destinata a continuare, abbattendo le frontiere della cronologia."
Da sempre il Mediterraneo - il "mare fra le terre" - è stato un crocevia di popoli, culture, lingue, religioni, che ne hanno fatto il cuore pulsante del Vecchio Mondo. A segnare la storia del "grande mare", il nome con cui era noto nella tradizione ebraica, non sono stati, secondo lo storico britannico David Abulafia, il clima, i venti o le correnti, ma gli uomini (navigatori, mercanti, missionari, condottieri, crociati, pellegrini, pirati), che, mettendo in contatto le regioni più remote di questo vasto bacino, lo hanno reso "forse il più dinamico luogo di interazione tra società diverse sulla faccia del pianeta". Anziché richiamarsi a un'astratta e statica "identità mediterranea", l'autore pone l'accento sul cambiamento di una regione che nel corso dei millenni ha visto sorgere e tramontare imperi e civiltà, è stata teatro di feroci battaglie per il monopolio politico e commerciale, e che infine, prima con la scoperta della rotta atlantica e poi con l'apertura del canale di Suez, ha perso sempre più importanza nelle relazioni e nei commerci internazionali, per trovare la sua nuova e insospettata vocazione nel turismo di massa e diventare, più recentemente, il complesso scenario di incessanti flussi migratori. Al centro di questa affascinante ricostruzione non ci sono soltanto gli eventi e i personaggi più importanti della storia economica, politica e militare, ma anche figure solo apparentemente di fondo...
Il 1° settembre 1939, varcando il confine polacco, la Germania di Hitler iniziò a dispiegare in tutta la sua devastante potenza la macchina bellica che aveva allestito con una feroce politica di corsa al riarmo e ad attuare - in nome della pretesa superiorità della "razza ariana" - l'aberrante progetto di sterminare milioni di esseri umani, innanzitutto gli ebrei. Nel capitolo conclusivo della trilogia dedicata all'ascesa e al declino del Terzo Reich, Richard J. Evans affronta gli anni cruciali che vanno dal 1939 al 1945. Alla luce di un'imponente mole documentaria - carte ufficiali, ma anche e soprattutto private (pagine di diario, lettere di soldati al fronte, memoriali di sopravvissuti ai lager) - l'autore rivisita le fasi salienti del conflitto attraverso le parole di chi, per scelta o per costrizione, di quegli eventi fu testimone oculare: dalle iniziali vittorie lampo dell'esercito tedesco alla guerra aerea contro la Gran Bretagna e all'invasione dell'Unione Sovietica, dalla disfatta della Wehrmacht a Mosca e a Stalingrado alla progressiva ma inesorabile ritirata delle truppe del Führer da tutti i fronti e all'insensata ecatombe della battaglia di Berlino.
Nel terzo e conclusivo volume della sua "Storia degli ebrei italiani", Riccardo Calimani ripercorre due secoli, il XIX e il XX, cruciali per il destino della comunità ebraica del nostro Paese, disegnando un complesso itinerario in cui si susseguono e si intrecciano la chiusura dei ghetti, la progressiva estensione dei diritti civili, un lento ma costante processo di integrazione e, quasi in parallelo, l'insorgere di un nuovo antisemitismo di stampo razzista, che culminerà nella tragedia delle cosiddette "leggi razziali" e della Shoah. All'inizio dell'Ottocento, in un'Italia ancora in bilico tra Rivoluzione e Restaurazione e ampiamente frammentata, si manifestano i primi, timidi segnali di emancipazione delle minoranze ebraiche. Poi, dopo l'unità, il posto degli ebrei nella società muta radicalmente, perché essi iniziano a partecipare con grande passione alla costruzione di un Paese cui sentono di appartenere a pieno titolo, dopo il tributo di sangue versato sui campi di battaglia del Risorgimento e della Grande Guerra. Nel contempo la Chiesa di Pio IX, che addebita l'oltraggio di Porta Pia a un complotto di forze anticattoliche, ridà fiato alla propaganda antigiudaica e rilancia contro gli ebrei le infamanti accuse di deicidio e di omicidio rituale, fornendo nuovi alibi e argomenti all'antisemitismo moderno. Ma la pagina nera - vergognosa e incancellabile - della storia degli ebrei italiani sono le cosiddette "leggi razziali" promulgate dal regime fascista nel 1938...
Mentre la pallida luce dell'alba si diffondeva sulla Manica, un corpo d'invasione composto da centotrentamila unità si apprestava a sbarcare sulle coste della Normandia. Era il 6 giugno 1944, il D-Day, "il giorno più lungo", che avrebbe cambiato il corso della seconda guerra mondiale e della storia del Novecento. "È suonata l'ora per la quale siamo nati" proclamava il "New York Times", l'ora che lasciava intravedere l'inizio della fine della Germania nazista. Ma per i soldati stivati nei mezzi da sbarco, paralizzati dal freddo e dalla paura, che a migliaia sarebbero caduti sulle spiagge presto divenute celebri di Omaha e Utah, l'assalto alla Fortezza Europa era solo all'inizio. Sarebbe trascorso un altro anno prima che nella Berlino circondata dall'Armata rossa il cadavere di Hitler bruciasse in uno squallido cortile. Un anno di combattimenti atroci, di battaglie epocali e di luoghi destinati a rimanere per sempre nella memoria e nella coscienza dell'Occidente: il porto di Cherbourg, la valle del Rodano, i boschi delle Ardenne, le lanche del Reno, la foresta di Hürtgen. La strada verso il cuore del Terzo Reich sarebbe stata ancora lunga e lastricata di incomprensioni, dissidi strategici, rivalità personali oltreché di innumerevoli vite spezzate. Un lungo cammino che avrebbe confermato, ancora una volta, che la guerra non è mai lineare, ma è un'impresa caotica, disordinata, fatta di errori e di slanci, di successi e di rovesci.
La «Narrazione cronologica» di Niceta Coniata racconta, suddividendoli in 19 libri, gli eventi accaduti a Bisanzio nel secolo circa che precede la conquista della città da parte dei Crociati. Essa è pubblicata dalla Fondazione Valla in tre volumi dal titolo «Grandezza e catastrofe di Bisanzio». La lacuna del primo volume della serie (uscito nel 1994 e da molto tempo non più disponibile) viene ora colmata da questa edizione completamente nuova, che - in linea con i voll. II (1999) e III (2014) - presenta a fronte e traduce il testo greco stabilito da Jan-Louis van Dieten. In questa prima parte della narrazione (corrispondente ai libri I-VIII) la caduta della città, e del mondo dorato e crudele che essa racchiude, è ancora lontana, e le vicende storiche si intrecciano a quelle dei foschi sovrani che Niceta descrive con particolare vivacità: dominano il lusso, il potere, le grandi cerimonie. Ma Niceta oscuramente avverte il presagio di una catastrofe imminente.
Gli ultimi due secoli di storia della comunità ebraica romana, la più numerosa e antica d'Italia, sono caratterizzati dai profondi - e talvolta drammatici - mutamenti nelle relazioni fra la maggioranza cristiana della Città Eterna e questa piccola minoranza, che, nel volgere di convulsi decenni, ha conosciuto l'emarginazione e l'inclusione, l'integrazione e, in seguito, la discriminazione e lo sterminio. Nella prima metà dell'Ottocento, i timidi segnali di emancipazione degli ebrei visibili nelle società europee più avanzate si manifestano anche a Roma, dove per una breve stagione la repubblica si sostituisce al dominio pontificio. E solo dopo l'unità d'Italia che nella nuova capitale del regno si avverte chiaramente un'impetuosa ondata di cambiamento: gli ebrei iniziano a partecipare con grande passione alla costruzione del Paese che, in virtù del tributo di sangue da essi versato sui campi di battaglia del Risorgimento e della Grande Guerra, considerano a pieno titolo la loro patria. La Chiesa di Roma, tuttavia, sconfitta ma non rassegnata, addebitando l'oltraggio di Porta Pia a un complotto di forze anticattoliche rilancia la propaganda antigiudaica e rinnova contro gli ebrei le tradizionali accuse di deicidio e di omicidio rituale, fornendo argomenti e alibi sia ai ricorrenti episodi di violenza antigiudaica sia all'antisemitismo moderno, che condanna senza appello l'ebreo alla sua presunta identità razziale, negandogli ogni reale possibilità di assimilazione. Esito e culmine di questa martellante campagna d'odio è la pagina nera - vergognosa e incancellabile - delle cosiddette «leggi razziali», promulgate dal regime fascista nel 1938 come atto di adesione all'ideologia del Terzo Reich hitleriano, che sanciscono l'esclusione degli ebrei dal corpo vivo della società italiana. Accolte dapprima con indifferenza e senza un'esplicita protesta della Santa Sede, dopo l'8 settembre 1943 tali leggi spianano la strada alla deportazione ad Auschwitz e alla morte di oltre 2000 ebrei romani. E anche se molti italiani e una parte del clero si riscattano, creando a proprio rischio e pericolo una vasta rete di solidarietà a favore dei perseguitati in fuga, molte ombre continuano a gravare sul silenzio di Pio XII (a cui Riccardo Calimani dedica un'ampia e lucida analisi), che non condannò mai apertamente lo sterminio, pur essendone informato da diversi prelati dei Paesi in cui venne perpetrato. La segreta, ma ferma speranza dell'autore è che questo racconto «sia fonte di ispirazione, affinché tutti i popoli, nessuno escluso, in ogni parte del mondo, sappiano trovare la via della concordia e della giustizia, e possano vivere insieme su questa terra, se non con gioia, almeno in pace fra loro»
È universalmente noto che le prime grandi civiltà ebbero origine nella regione che si estende fra le coste orientali del Mediterraneo e l'Himalaya: qui, nella valle dell'Indo e in Mesopotamia, vennero fondate le prime grandi metropoli e edificati i primi vasti imperi. Non altrettanto noto, invece, è che questa stessa regione ha costituito per millenni il crocevia della civiltà. Lungo il suo fitto reticolo di strade che collegavano città costiere e remote località dell'interno, e che già a fine Ottocento prese il nome di «Vie della Seta», battute da mercanti, conquistatori, pellegrini e nomadi provenienti da ogni dove, si sono scambiate materie prime, merci e manufatti, ma anche morte, violenza e malattie, e soprattutto idee nei campi più disparati, dalla scienza alla filosofia; e lungo le sue rotte commerciali hanno visto la luce le grandi religioni (giudaismo, cristianesimo, islam, buddhismo e induismo), che, in paradossale antitesi con quanto accadde più tardi e continua ad accadere oggi, hanno convissuto a lungo in pace e armonia. In contrasto con la narrazione dominante che celebra il trionfo politico, culturale e morale dell'Occidente quale artefice e custode della «vera» civiltà, con il suo monumentale affresco Peter Frankopan ci invita a guardare alla storia con occhi diversi e a riconsiderare il ruolo cruciale svolto in passato da popoli e luoghi finora pressoché ignorati o relegati sullo sfondo, e in procinto di tornare prepotentemente alla ribalta. Se infatti nei secoli dell'età moderna le nuove vie d'acqua che hanno messo in contatto il Vecchio e il Nuovo Mondo hanno mutato gli schemi di interazione globale, spostando sull'Europa occidentale il baricentro politico ed economico mondiale, oggi risulta sempre più evidente che le Vie della Seta stanno per rinascere a nuova vita. Questa volta a percorrerle non saranno i tessuti, l'oro, il grano, i cavalli, gli schiavi, ma le immense ricchezze minerarie - petrolio, gas naturale e altre risorse energetiche - che hanno costituito la posta in gioco nel confronto fra le potenze nel corso del Novecento. E le drammatiche turbolenze che negli ultimi decenni hanno scosso la «spina dorsale dell'Asia», irradiando morte e smarrimento nel resto del pianeta, devono essere lette come i segnali dell'imminente ritorno del centro di gravità del mondo in quella che è stata per millenni la sua sede naturale. Se, come sostiene Frankopan, l'età dell'Occidente volge al termine, diventa più urgente che mai un radicale cambiamento di prospettiva che ci aiuti a comprendere la storia di queste popolazioni e di queste terre, per affrontare in modo consapevole e senza isterismi un processo che sembra ormai irreversibile.
Innescata dallo scoppio della bolla immobiliare nel 2006 e culminata il 15 settembre 2008 nel crack della Lehman Brothers, la prima grave crisi finanziaria dell’era globale ha investito violentemente ogni parte del mondo, dalle borse del Regno Unito e dell’Europa fino alle fabbriche dell’Asia, del Medio Oriente e dell’America latina, e ha determinato un radicale riassetto della governance internazionale. Negli Stati Uniti e nei paesi occidentali ha provocato un generale impoverimento del ceto medio, un ripensamento della natura della democrazia capitalistica e, con un effetto domino la cui prima conseguenza è stata l’esplosione di una serie di crisi geopolitiche lungo tutto il perimetro esterno dell’Unione europea, dalla Tunisia alla Crimea, ha portato alla guerra in Ucraina, al collasso della Grecia, alla Brexit e alla vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali americane del 2016.
Con la sua poderosa ricostruzione del decennio di crisi finanziarie appena trascorso e delle risposte economiche, politiche e geopolitiche che a esse sono state date, Adam Tooze ci mostra che per comprendere gli sconvolgimenti epocali in corso è necessaria una profonda riflessione su alcuni temi di fondo: il carattere casuale e caotico dello sviluppo economico e le rotte imperscrutabili del debito; le invisibili trame che legano paesi e regioni in rapporti di interdipendenza acutamente asimmetrici, frutto di una incolmabile e crescente disparità in termini di capacità di investimento e di potere politico e militare; le modalità con cui le crisi finanziarie hanno interagito con il successo planetario di Internet e dei social network; la sofferenza della classe media americana, l’ascesa della Cina e le lotte globali per i combustibili fossili.
Alla luce di questo nuovo scenario, Tooze valuta, con le armi dello storico, la portata di eventi che si configurano come una delle grandi crisi della modernità, al pari della prima guerra mondiale, e formula alcune domande cruciali – come si accumulano rischi enormi, poco compresi e poco controllabili? siamo entrati nella crisi ingenuamente, come sonnambuli, o spinti da forze oscure? di chi è la colpa del disastro che ne è derivato? in che modo le passioni politiche del popolo influenzano il processo decisionale dell’élite? e in che modo i politici sfruttano tali passioni? – riguardo alle reali prospettive di un ordine mondiale liberale, stabile e coerente.
«Se qualcuno viene per ucciderti, alzati e uccidilo per primo» recita una frase del Talmud, il testo fondamentale dell'ebraismo. E fin dalla sua nascita, nel 1948, Israele pare aver fatto di questo insegnamento la propria parola d'ordine, forse a causa del trauma della Shoah e della sensazione, condivisa dai suoi leader e cittadini, che il Paese e l'intero popolo ebraico siano in costante pericolo di annientamento. Per tutelare la propria sicurezza, Israele ritiene quindi che la prevenzione e la deterrenza siano le armi vincenti, tanto che molto spesso i suoi capi politici hanno scelto di ricorrere agli omicidi mirati di potenziali nemici, affidandone l'incarico a quello che, probabilmente, è il più formidabile apparato di intelligence al mondo. Proprio nei meandri dei servizi segreti israeliani si è addentrato l'analista militare Ronen Bergman, che per anni ha cercato di penetrare la pesante cortina di riservatezza che avvolge l'attività del Mossad (la temutissima agenzia di raccolta informazioni), dell'IDF (le forze di difesa) e dello Shin Bet (il servizio di sicurezza interna). Scontrandosi a ogni passo con la rigida censura militare e con un'ovvia omertà, Bergman ha realizzato centinaia di interviste e raccolto materiale davvero scottante. Grazie alle sue fonti - uomini di Stato quali Shimon Peres, Ehud Barak, Ariel Sharon e Benjamin Netanyahu, capi di agenzie di intelligence, ma anche molti agenti operativi che hanno chiesto l'anonimato -, ha potuto ricostruire nel dettaglio le tante operazioni volte a contrastare il terrorismo suicida dell'intifada palestinese o a eliminare personaggi di spicco di organizzazioni terroristiche antisraeliane come Hamas, Hezbollah o il Movimento per il Jihad islamico in Palestina. Come in un'autentica spy story, fra intercettazioni, travestimenti e agguati mortali di spietata temerarietà, costati la vita anche a cittadini innocenti, "Uccidi per primo" racconta le fasi cruciali e le sofisticatissime tecniche di una campagna di esecuzioni extragiudiziali (senza tacere i brucianti interrogativi etici che essa pone) la cui escalation ha plasmato il volto attuale di Israele, del Medio Oriente e del mondo intero.
Carlo I, noto con l'appellativo di «Magno», è stato senz'altro una delle figure più straordinarie che abbiano mai governato un vasto impero europeo. Proclamatosi consapevolmente non solo «re dei Franchi», ma nuovo «imperatore» del Sacro Romano Impero, fu un uomo capace di imprese eccezionali. Per i successori e posteri non è stato facile raccoglierne l'eredità, nel corso dei secoli più volte reinterpretata, copiata, sovvertita. La sua figura è stata celebrata anche in tempi moderni da sovrani e ideologi, come il Kaiser Guglielmo II e Adolf Hitler, e dopo la seconda guerra mondiale è stata reinventata come icona dell'attuale Europa. Ma dietro al mito c'è una vita e un uomo, che oggi Janet L. Nelson, studiosa dell'età medievale, dopo un attento lavoro sulle fonti riporta alla luce. Accostandosi a questo personaggio da angolature inconsuete e seguendone l'intero percorso di vita fin dalla prima infanzia, l'autrice lascia che a parlare siano i documenti coevi - testimonianze di contemporanei che ci consentono di avanzare ipotesi sulle sue opinioni e motivazioni - e gli stessi diplomi reali, fonti insospettabili di simboli e metafore che possono essere decifrati. L'accuratezza delle ricerche, che non tralascia la vasta produzione storiografica esistente, svela il ritratto di un governante spinto da un'energia fisica fuori dal comune e da una formidabile curiosità intellettuale, una personalità complessa, «un signore della guerra, un uomo di pace e un giudice» che promise «per ciascuno la legge e la giustizia», un difensore della Chiesa romana, ma soprattutto un uomo in carne e ossa, che ebbe numerose mogli e concubine, e generò almeno diciannove figli, uno dei quali complottò persino per ucciderlo. Il libro di Janet L. Nelson raccoglie tutto ciò che sappiamo su Carlo Magno e riesce in modo incomparabile a creare un senso di affinità e vicinanza con un personaggio storico le cui gesta non saranno mai dimenticate.
Le fotografie raccolte in questo vero e proprio album furono scattate da due SS tra il maggio e il giugno 1944, in occasione della deportazione massiccia a Birkenau degli ebrei d'Ungheria. Permettono di rappresentare ciò che significò per milioni di persone l'arrivo in questo immenso centro di morte: molti degli uomini, delle donne e dei bambini ritratti nell'Album furono uccisi nelle ore immediatamente successive agli scatti. Oltre alle circostanze della scoperta dell'album, completamente riprodotto con le indicazioni e i testi originali dei due ufficiali nazisti, i testi raccolti descrivono l'organizzazione del campo e in che modo venisse applicata quella "soluzione finale" concepita dai nazisti per condurre a buon fine la loro criminale opera di distruzione. Le foto sono state ritrovate da una detenuta, Lili Jacob, pochi giorni prima della liberazione, che riconobbe se stessa e i fratelli sterminati nel campo. Alcune vennero esibite durante il processo Eichmann a Gerusalemme e in quello di Francoforte, il cosiddetto "Processo Auschwitz".