
Sergio Donadoni, professore emerito dell'Università la Sapienza di Roma e accademico dei Lincei, presenta in questo saggio la storia dell'Egitto dall'epoca tarda al periodo tolemaico. Partendo dalla situazione dell'Egitto e del Mediterraneo all'inizio del primo millennio, passando per le dinastie libiche, nubiane e saitiche, gli assiri e l'età persiana, giunge all'età tolemaica. Qui ne analizza i personaggi, la vita economica, politica e religiosa.
Facendo tesoro delle inchieste giudiziarie e con la testimonianza diretta di Alberto Franceschini, fondatore delle Br, si può chiarire la storia e individuare la rete del terrorismo rosso, a partire dagli inizi, dai legami con la Resistenza, il Pci, e i personaggi di spicco legati al mondo cattolico. Per poi capire che cos'è e cosa è stata la rete clandestina parallela, accertata in documenti e testimonianze. Questo libro ha il merito di riavviare la macchina della verità e i meccanismi della memoria per cercare di comprendere quanto e perché è successo. Senza dietrologie, rimanendo ai fatti e alle parole. Perché il passato ritorna, se vogliamo decifrarlo.
A partire dall'8 settembre 1943, nelle terre che costituivano i confini orientali d'Italia - l'Istria e la Dalmazia - si consumò una duplice tragedia. I partigiani jugoslavi di Tito instaurarono un regime di terrore che prefigurava la "pulizia etnica" di molti decenni dopo e trucidarono migliaia di italiani gettandoli nelle cavità carsiche chiamate foibe. Il trattato di Parigi del 1947 ratificò poi il passaggio di Istria e Dalmazia alla Jugoslavia, scatenando l'esodo del novanta per cento della popolazione italiana (circa 300.000 persone), che abbandonò la casa e gli averi e cercò rifugio in Italia o emigrò oltreoceano. Lo storico Raoul Pupo disegna oggi un quadro completo di quelle vicende.
"Tutto mi riporta al campo. Qualunque cosa faccia, qualunque cosa veda, il mio spirito torna sempre nello stesso posto... Non si esce mai, per davvero, dal Crematorio." Sono parole di Shlomo Venezia, ebreo di Salonicco, di nazionalità italiana; è uno dei pochi sopravvissuti del Sonderkommando di Auschwitz-Birkenau, una squadra speciale selezionata tra i deportati con l'incarico di far funzionare la spieiata macchina di sterminio nazista. Gli uomini del Sonderkommando accompagnavano i gruppi di prigionieri alle camere a gas, li aiutavano a svestirsi, tagliavano i capelli ai cadaveri, estraevano i denti d'oro, recuperavano oggetti e indumenti negli spogliatoi, ma soprattutto si occupavano di trasportare nei forni i corpi delle vittime. Un lavoro organizzato metodicamente all'interno di un orrore che non conosce eccezioni: il pianto disperato di un bimbo di tre mesi, la cui madre è morta asfissiata dal gas letale, richiama l'attenzione del Sonderkommando, lo scavare frenetico tra i corpi inanimati, il ritrovamento e subito dopo lo sparo isolato della SS di guardia che ammutolisce per sempre quel vagito consegnandolo alla storia. Per decenni l'autore ha preferito mantenere il silenzio, ma il riaffiorare di quei simboli, di quelle parole d'ordine, di quelle idee che avevano generato il mostro dello sterminio nazista ha fatto sì che dal 1992 abbia incominciato a parlare, e quei racconti sono la base della lunga intervista che è all'origine di questo libro. Prefazione di Walter Veltroni.
La caduta dell’Impero Romano è stato un processo lento e complicato, iniziato – ben prima del sacco di Roma – con l’avvicinarsi ai confini di quelle stesse tribù che avevano invaso la Cina, e proseguito attraverso gli anni di Costantino e Teodosio. Comincia così per l’Italia un lungo periodo oscuro: le città vengono abbandonate, eserciti barbari percorrono il Paese depredandolo, devastandolo e seminando terrore. Fino al fatidico Anno Mille si susseguono secoli di ferro e di sangue, di lutti e di invasioni. È il momento più difficile da raccontare nella storia italiana: le fonti sono poche e insicure, e gli avvenimenti “di casa nostra” non si possono isolare da quelli del resto d’Europa; come dicono gli autori: “Forse mai il nostro continente è stato così unito e interdipendente come in quest’epoca afflitta da mancanza di strade e di mezzi di trasporto e di comunicazione”. Indro Montanelli e Roberto Gervaso ci presentano i ritratti dei protagonisti nei quali cogliere i segni del costume, della civiltà e del suo evolvere: Attila, Alarico, Odoacre, Galla Placidia, Gregorio il Grande, Carlomagno e gli Ottoni, i Santi, i Padri e i riformatori della Chiesa. Il passaggio dall’Impero ai Comuni, la società feudale, il rapporto città-campagna, lo scontro tra la nobiltà guerriera legata alla terra e la nascente borghesia urbana: questi gli elementi del grande mosaico che ci ritroviamo a osservare, e il risultato è uno strumento d’informazione chiaro e al contempo una lettura appassionante.
Con la fine delle invasioni barbariche e l’inizio dell’era comunale, l’Italia aveva ritrovato un ruolo da protagonista nella storia europea, sia sul piano politico sia su quello economico e culturale. Gli ultimi anni del Quattrocento, però, cambiano nuovamente gli equilibri continentali: la calata di Carlo VIII nel 1494 segna la fine dell’effimera libertà italiana. La nostra storia torna così a essere un riflesso di quella altrui, e per ricostruirla gli autori sono costretti a rintracciarne le fila nelle vicende di Francia, Spagna, Germania. Un panorama europeo sul quale soffia il vento della Riforma; nel 1517 Lutero espone le proprie novantacinque Tesi, ma il clima di rinnovamento culturale e spirituale che ne deriva non giunge fino a noi: l’Italia subisce il contraccolpo della Controriforma, e per secoli si trova sprofondata in un oscurantismo senza precedenti. A campeggiare tra le pagine di questo volume sono dunque le grandi figure che fecero la rivoluzione – Lutero, Calvino, Huss, Wycliff, Zuinglio – ai quali si affiancano i protagonisti dello straordinario tramonto italiano: Ariosto, Tasso, Mantegna, Galileo Galilei, Savonarola e Giordano Bruno, sul cui rogo – nel 1600 – si chiude la narrazione. Il risultato è, come sempre, una storia affascinante, che malgrado racconti un periodo drammatico non rinuncia a una vena di ironia. Come ha scritto Montanelli: “Non siamo mai stati tanto seri come nello scrivere queste giocosità”.
Dall’omicidio di Umberto I per mano dell’anarchico Bresci fino al “Natale di sangue” di Fiume, la scena politica italiana è dominata da un unico uomo, l’ultimo di quei notabili che avevano guidato il Paese dopo l’unificazione: Giovanni Giolitti. È lui a fermare l’involuzione autoritaria in cui rischiavamo di cadere dopo il regicidio, e a lui si devono il nostro primo miracolo economico, la nascita della grande industria e un’intelligente politica sociale.
Giolitti guida l’Italia attraverso un ventennio ricco di sfide, in cui i nuovi schieramenti – socialisti, cattolici, anarchici, liberali – si sono ormai consolidati e danno vita ad accesi scontri, l’attività sindacale prende corpo grazie alla nascita della Confederazione generale del lavoro, e per la prima volta viene realizzato il suffragio universale maschile che permette alle masse di entrare attivamente nella vita dello Stato. Ma sono anni travagliati, rigati di sangue: la conquista della Libia, la Prima guerra mondiale, l’impresa fiumana di D’Annunzio e dei suoi legionari. Crisi profonde, che segnano la sconfitta non solo di una classe politica, ma di tutto il sistema liberal-democratico, mentre la società si riscopre mutata dall’esperienza della trincea.
Indro Montanelli dipinge davanti ai nostri occhi non solo il ritratto di un uomo politico, ma anche quello di tutta una civiltà spinta dalla storia sull’orlo del baratro dittatoriale.
Alla fine della Grande guerra l’Italia è una nazione provata da disoccupazione e inflazione, in preda alle violenze di opposti estremismi, divisa tra chi sogna futuri rivoluzionari e chi desidera ordine e stabilità. A guidarla c’è una classe dirigente ormai giunta alla fine della propria parabola, convinta che il desiderio di normalizzazione sia più forte della spinta eversiva e perciò sorda alle richieste dei reduci; una struttura politica impreparata ad affrontare la svolta drastica che è già nell’aria, e che in molti credono di piegare ai propri scopi o peggio fingono di non vedere. È il momento favorevole per un uomo nuovo, dotato di grande fiuto e pronto a tutto pur di conquistare il potere: Benito Mussolini. Armato di una spregiudicatezza e di una capacità di trascinare le masse mai viste prima, è il protagonista assoluto di questo volume, che ne ricostruisce la vicenda: la formazione, la militanza socialista, la direzione dell’“Avanti”, la svolta a Destra, la fondazione dei Fasci di azione rivoluzionaria, la marcia su Roma, l’omicidio Matteotti e il discorso del Bivacco.
Montanelli affronta gli anni – turbolenti e decisivi per il futuro del nostro Paese – che vanno dalla nascita dei Fasci all’instaurazione della dittatura, raccontandoli con la precisione del cronista e la passione di chi li ha vissuti in prima persona. Il risultato è un saggio affascinante, fondamentale per capire il delicato passaggio che ha segnato la fine delle neonate istituzioni democratiche.
Milano raccontata al centro della propria storia e del proprio sviluppo, dalle fondamenta antiche alla città di sant'Ambrogio, dalla capitale del ducato dei Visconti e degli Sforza fino alla stagione dell'Unità, della grande borghesia e del decollo economico. Un evocativo percorso lungo i secoli del capoluogo lombardo, attraverso i segni che il tempo ha depositato nel suo tessuto urbano. Il Castello Sforzesco, il Duomo, la Ca' Granda, il Teatro alla Scala, le università, le case editrici, le banche: i simboli delle diverse vocazioni di una metropoli che ha fatto della condivisione e dell'assimilazione i tratti distintivi della propria identità. Alcuni fra i più qualificati esperti di storia milanese ci guidano in un viaggio lungo le stagioni di una città dalla grande anima, alla scoperta di un patrimonio di idee sostenuto da una "acuta responsabilità civile e da una tenace e operosa fede religiosa", in dialogo tra loro: un codice genetico che ha permesso a Milano di ricoprire per molti anni il ruolo di guida del nostro Paese, un patrimonio umano a cui attingere per ritrovare un autentico senso di appartenenza e di cittadinanza. Prefazione di Lorenzo Ornaghi.
Nel 1508 papa Giulio II affidò a Michelangelo Buonarroti, allora celebre scultore ma con poca esperienza come pittore, un compito immane: affrescare la grande volta della Cappella Sistina, le cui pareti erano già state dipinte da grandi pittori del secolo precedente come Botticelli, Ghirlandaio, Perugino. Dopo quattro anni di fatiche, scontri, esperimenti, Michelangelo stupì il mondo con la Creazione, la Caduta di Adamo ed Eva, il Diluvio, le Sibille, i Profeti, gli Ignudi, oscurò la gloria dei suoi predecessori e fu consacrato, a trentasette anni, come il più grande artista del suo tempo. Il libro di Ross King racconta da vicino quei quattro anni.
È il novembre del 1918, e il mondo di Rosa Tiefenthaler è andato in frantumi. L'Impero austroungarico in cui è nata e vissuta non esiste più: con poche righe su un Trattato di pace la sua terra, il Sudtirolo, è passata all'Italia. "Il nostro cuore e la nostra mente rimarranno tedeschi in eterno", scrive Rosa sul suo diario. Colta e libera per il suo tempo, lo tiene da quasi vent'anni, dal giorno del suo matrimonio con l'amato Jakob. Mai avrebbe pensato di riversare nelle sue pagine una così brutale lacerazione. Ne seguiranno molte altre. In pochi anni l'avvento del fascismo cambia il suo destino. Cominciano le persecuzioni per lei e per la sua famiglia, colpevoli di voler difendere la loro lingua e la loro identità: saranno arrestati, incarcerati, mandati al confino. E Rosa assiste impotente al naufragio di tutte le sue certezze. Intorno a lei, troppi si lasciano sedurre da un sogno pericoloso che si sta affacciando sulla scena europea: quello della Germania nazista. Non potrà impedire che Hella, la figlia minore, sia presa nel vortice dell'ideologia fatale di Hitler. E presto dovrà affrontare la scelta impossibile tra l'oppressione e l'esilio. Nata austriaca, vissuta sotto l'Italia, morta all'ombra del Reich, Rosa è il simbolo dei tormenti di una terra di confine. Su quella frontiera è cresciuta Lilli Gruber, sua bisnipote, che oggi attinge alle parole del suo diario. E racconta una pagina di storia personale e collettiva in questo libro teso sul filo del ricordo.
"Più piste sono aperte da questo libro, sconosciute o quasi fino ad oggi: l'identità, la carriera e il comportamento 'sul campo' degli inquisitori; il Santo Uffizio e le donne; l'Inquisizione e la fede popolare; l'Inquisizione e il sesso, immenso terreno completamente inesplorato." Così Bartolomé Bennassar presenta alcuni dei temi trattati in questo volume, vero e proprio testo spartiacque che - nato dalla raccolta di una straordinaria quantità di documenti processuali, carteggi dei tribunali, rapporti degli inquisitori - ha dato vita a una visione del tutto nuova dell'Inquisizione: non solo istituzione avente come obiettivo la difesa della religione e della Chiesa, ma vero e proprio instrumentum regni in mano alla monarchia spagnola. Con una prosa lucida e rigorosa, Bennassar ripercorre la nascita, lo sviluppo e il tramonto dell'Inquisizione nei suoi tre secoli e mezzo di attività; ne esamina protagonisti, procedure e bersagli - ebrei, musulmani, eretici, cristiani "peccatori", streghe; racconta episodi chiave e si sofferma sulle sue conseguenze etiche e sociali. Restituendoci così il quadro inedito di un organismo religioso diventato un potentissimo, e inquietante, strumento politico.