
La storiografia sulla politica di massa può essere scandita in un "prima" e un "dopo" George Mosse, uno storico divenuto celebre soprattutto per i suoi lavori sull'immagine dell'ebreo, sulla cultura dell'Europa occidentale e sulle origini intellettuali del Terzo Reich. Il peculiare approccio di Mosse emerge anche in questa nota e controversa intervista del 1979 su Aldo Moro, riproposta nel presente volume, con un ampio corredo critico. Mosse collega l'esperienza politica dello statista, la sua cultura, le sue analisi, i suoi problemi, alle grandi trasformazioni e sfide della democrazia occidentale, in particolare alla crisi del sistema di governo parlamentare che si è manifestata in tutta la sua gravità nel corso del XX secolo. Quella di Moro, spiega Mosse, era una reale consapevolezza della fragilità dei sistemi democratici contemporanei, strettamente legati alla necessità di tenere in considerazione le aspirazioni, le speranze, i miti delle masse. Ciò si era tradotto nell'elaborazione di una originale e personale soluzione alternativa, connessa a un'idea dello Stato come un processo, come qualcosa continuamente in fieri, un organismo sensibile ai mutamenti. Per Mosse, nel pensiero e nell'azione di Moro era costante la volontà di integrare e far partecipare quanto più possibile le masse italiane, di dare loro un senso di rappresentanza... Prefazione di Renato Moro. Nota critica di Donatello Aramini.
Luigi Sturzo non è stato un “costituzionalista di professione” bensì un uomo politico con vasti interessi culturali che ha avuto la ventura di vivere in una posizione pubblica preminente non solo come Segretario nazionale del Partito Popolare negli anni della crisi dello Stato liberale, ma anche, come senatore a vita, nella stagione della affermazione della democrazia costituzionale. La ricognizione critica delle sue posizioni sulla Costituzione repubblicana è stata affrontata da Nicola Antonetti richiamando la profonda concezione sturziana dei nessi tra etica e politica e le ragioni specifiche della lunga polemica contro la «partitocrazia», riprendendo, infine, le sue prospettive per le riforme costituzionali da quella del sistema bicamerale a quella per lo sviluppo di un modello politico degli assetti regionali. Diviene possibile, rivisitando tali posizioni, risalire al costituzionalismo di Sturzo e comprendere l’innovazione apportata alla tradizione del cattolicesimo politico anche attraverso la ripresa di modelli istituzionali propri della cultura anglo-americana.
Personaggio fascinoso, che la letteratura ha contribuito a mitizzare, Costanza d'Altavilla, regina di Sicilia e imperatrice del Sacro romano impero, deve molta della sua fama al figlio, quel Federico II protagonista, nel duecento, delle lunghe e sanguinose lotte fra impero e papato. La sua storia è carica di tanti interrogativi e di altrettanti misteri ai quali, anche per pregiudizi ideologici, si sono date delle risposte spesso approssimate. A tali interrogativi e ai relativi misteri l'autore, seguendo un rigoroso percorso di ricerca, in questa biografia offre delle risposte e delle chiavi interpretative che ci restituiscono un'immagine nuova e non convenzionale di una donna, tradizionalmente raccontata come capace di dominare gli eventi ma, in realtà, estremamente fragile che, suo malgrado, è stata costretta a essere attore non secondario della storia del Meridione d'Italia.
La corte del re Luigi XVI sta per essere travolta dallo scandalo del secolo, passato alla storia come "l'affare della collana". L'intrigo, ordito da una nobildonna decaduta, assetata di denaro e bramosa di scalare i vertici dell'alta società parigina e di avere un ruolo a corte, coinvolge nelle sue trame l'ambizioso cardinale Rohan, il sedicente mago e alchimista Cagliostro, fidatissimo amico dell'alto prelato, e la stessa regina Maria Antonietta, spianando la strada alla Rivoluzione dell'89. L'affare della collana non resta confinato fra le mura dei tribunali, ma diventa subito di pubblico dominio. Le arringhe degli avvocati vanno a ruba come bestseller, molti scrittori si arricchiscono con pamphlet scandalistici venduti in migliaia di copie. La Francia si appassiona alla vicenda e si divide fra innocentisti e colpevolisti. Ma il debole re Luigi non ne coglie appieno la portata e lascia che le cose seguano il loro corso, accelerando così il tramonto e la fine della monarchia francese.
L'Odissea di Omero e le Storie di Erodoto: due tra le più antiche opere di viaggio della letteratura occidentale, entrambe espressione del mondo greco, eppure straordinariamente diverse l'una dall'altra. Il poema di Ulisse tratteggia l'itinerario simbolico e introspettivo di un uomo alla ricerca di se stesso, ed è la grande metafora che sta alle radici della letteratura occidentale e del nostro immaginario collettivo. Le Storie, invece, anche se permeate di informazioni favolose e poco veritiere, sono i resoconti delle ricerche e delle esplorazioni che Erodoto ha effettivamente compiuto lungo le rotte e le strade del Mediterraneo e dell'Antico Oriente. In Omero, il mondo selvaggio, al di là dei confini dell'Egeo occidentale, popolato da maghe seduttrici, giganti cannibali e Ciclopi, è modello negativo di barbarie, contrapposto ai valori della civiltà greca: a questi Ulisse, tra mille peripezie, e non senza indugiare, desidera infine fare ritorno. In Erodoto, l'orizzonte geografico si allarga a luoghi lontani e meravigliosi - la Libia, l'Iran, il Caucaso - e ai popoli che li abitano. Lo storico li osserva con l'atteggiamento di un moderno antropologo, che non crede all'esistenza di valori assoluti e civiltà superiori, ma sa che "se si proponesse a tutti gli uomini di scegliere, tra tutte, le usanze migliori, ciascuno dopo un'attenta riflessione indicherebbe le proprie". Con e-book scaricabile fino al 30-06-2014.
Alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale, i più immorali pensavano soltanto di ricavare dei guadagni per potersi adeguatamente arricchire. Gli idealisti, invece, credevano di offrire all'Italia l'opportunità di conquistare peso e prestigio internazionale, in modo da restituirle quel ruolo che vagheggiavano ma che, dopo i fasti della Roma dei Cesari, era rimasto incartato nei libri della storia classica. Negli ultimi dieci anni, prima di quel 1914, i soldati erano cresciuti alle direttive del generale Paolo Spingardi, ottimo oratore parlamentare e del generale Alberto Pollio, ottimo scrittore. L'uno e l'altro - con tutto lo stato maggiore coltivavano il mito di Napoleone del quale leggevano con avidità biografie, recensioni, commenti strategici e valutazioni tattiche. Al momento dell'entrata in guerra, l'esercito italiano venne affidato a Luigi Cadorna che, se avesse ottenuto risultati proporzionali alla sua presunzione, avrebbe conquistato il globo terracqueo. I guai maggiori di chi combatteva per l'Italia vennero dagli stessi italiani che dimostrarono di non aver maturato alcuna idea e che, tuttavia, a quel nulla, si aggrapparono con convinzioni incrollabili. Si armarono di ordini assurdi. Pretesero di mandare le truppe all'assalto anche quando ogni logica l'avrebbe sconsigliato. Instaurarono un regime di oppressione che sarebbe risultato odioso per una qualunque dittatura. E provocarono la morte di un numero imprecisato di loro uomini.
Il 22 febbraio 1943 i fratelli Scholl furono giustiziati per alto tradimento del popolo tedesco in quanto appartenenti al gruppo della Rosa Bianca. Solo quattro giorni prima erano stati arrestati all'Università di Monaco mentre distribuivano volantini. Avevano 24 e 21 anni. Il loro non fu il gesto eroico di un momento. Le lettere e i diari, che coprono un arco di sei anni, ci introducono nel cuore di Hans e di Sophie e ci fanno scoprire un indomabile desiderio di vita che neppure il drammatico contesto del nazismo e della guerra poté soffocare. Quell'ora buia fu la circostanza nella quale sbocciò il fiore di una umanità straordinaria resa feconda dall'esperienza di qualcosa capace di rendere la vita piena di letizia. Fino al sacrificio di sé.
E se la storia degli Stati Uniti l'avessero scritta gli indiani, gli schiavi, i minatori, gli operai, gli immigrati, le donne? È quanto si è chiesto Howard Zinn affrontando questo libro e ripercorrendo i cinque secoli di vita del Nuovo Mondo. L'arrivo di Colombo sul continente, visto attraverso gli occhi degli arawak, apre un emozionante racconto che rivela le condizioni dei nativi durante la conquista del West, le proteste contro gli obiettivi imperialistici della Guerra ispano-americana, le lotte per la fine della schiavitù, la nascita dei sindacati e i primi scioperi, le rivolte prodotte dalla vertiginosa crescita economica dell'Ottocento e dall'ascesa degli Stati Uniti al rango di superpotenza. Il viaggio prosegue nel Ventesimo secolo attraverso il suo carico di guerre e rivoluzioni, speranze e disinganni. Zinn descrive la resistenza popolare all'aggressiva politica estera del governo, le grandi battaglie per i diritti civili e l'emancipazione femminile, le conquiste e le delusioni del pacifismo, le vicen de dei movimenti di contestazione fino alle soglie cupe del presente, con la guerra al terrorismo e il conflitto in Iraq. Corredata da un pratico glossario e accompagnata da testimonianze dirette di schiavi fuggitivi, attivisti politici e reduci di guerra, l'appassionante ricostruzione di Zinn scava nelle multiformi contraddizioni della democrazia americana.
Di tutte le civiltà che esistevano nell'anno Mille, quella dell'Europa occidentale sembrava la peggior candidata per un futuro radioso. Paragonati agli imperi scintillanti di Bisanzio o dell'Islam, i regni frammentati affacciati sull'Atlantico sembravano poveri, impauriti e poco sviluppati. Ma l'anarchia di quegli anni non era il presagio per la fine del mondo, ma la fucina di un ordine radicalmente diverso. "Millennium" è la storia di quell'anarchia. È l'avvincente panoramica dei secoli che precedono e seguono l'anno Mille, dell'epoca di Guglielmo il Conquistatore, di Papa Gregorio VII e degli abati di Cluny, di vichinghi, monaci e servi della gleba, dei castelli e dell'invenzione della cavalleria, della prima crociata lanciata da Urbano II, oltre che del primo conflitto tra Stato e Chiesa. È la narrazione di come la cultura dell'Europa - irrequieta, creativa e dinamica - è stata forgiata dalle convulsioni di quello straordinario periodo. Edizione tascabile di "Millennium. La fine del mondo e la nascita della cristianità".
Italia figlia benedetta della Provvidenza, o piuttosto Italia incorreggibile pecora nera del Vecchio Continente? Da quando è nata tra alti clamori sconvolgendo l'equilibrio geopolitico europeo - la più giovane delle grandi nazioni occidentali è una fucina di ambizioni e frustrazioni, slanci e sconfitte. "Fin dal principio, la nazione italiana è stata difficile da definire e ancora più difficile da costruire; e malgrado gli sforzi di poeti, scrittori, artisti, pubblicisti, rivoluzionari, soldati e politici di vario colore, la fede nell'ideale dell'Italia non ha avuto lo sviluppo auspicato da tanti patrioti. È d'altronde possibile che l'insistenza con cui il progetto di "fare gli italiani" è stato perseguito fino alla seconda guerra mondiale abbia finito col risultare controproducente, contribuendo a erodere la credenza nei valori nazionali collettivi. Al principio del nuovo millennio, l'Italia continua ad apparire un'idea troppo malcerta e contestata per poter fornire il nucleo emotivo di una nazione, o almeno di una nazione in pace con se stessa e capace di guardare con fiducia al futuro." Christopher Duggan ricostruisce oltre due secoli di storia italiana, dalla deludente invasione napoleonica di fine Settecento ai nostri giorni.
Fra' Salimbene da Parma, il francescano che ha conosciuto papi e imperatori, vescovi e predicatori, e su ognuno ha da raccontare aneddoti, maldicenze e pettegolezzi; Dino Compagni, il mercante di Firenze che ha vissuto in prima persona i sussulti politici d'un comune lacerato dai conflitti al tempo di Dante; Jean de Joinville, il nobile cavaliere che ha accompagnato Luigi il Santo alla crociata, testimone imperturbabile di sacrifici, eroismi e vigliaccherie; Caterina da Siena, che parlava con Dio e le cui lettere infuocate facevano tremare papi e cardinali; Christine de Pizan (si chiamava in realtà Cristina da Pizzano), la prima donna che ha concepito se stessa come scrittrice di professione, si è guadagnata da vivere ed è diventata famosa scrivendo libri; Giovanna d'Arco, che comandò un esercito vestita da uomo e pagò con la vita quella sfida alle regole del suo tempo. È possibile incontrare uomini e donne del Medioevo, sentirli parlare a lungo e imparare a conoscerli? È possibile se hanno lasciato testimonianze scritte, in cui hanno messo molto di se stessi. È il caso di cinque su sei dei nostri personaggi; della sesta, Giovanna d'Arco, che era analfabeta o quasi, possediamo lo stesso le parole, grazie al processo di cui fu vittima e protagonista.
"C'è una parola che sembra la più conveniente a definire la fase in cui viviamo e che intendo far mia per orientare alla scrittura e alla lettura. È la parola percezione. Questa parola difficile è diventata ultimamente una pacifica protagonista del lessico giornalistico e della cronaca d'ogni giorno. Nella realtà 'virtuale' che ci penetra e ci avvolge, conta quello che uno 'percepisce' non il fatto in se stesso, e sembra anzi grazioso far spallucce al 'fatto in sé'. I fatti con cui abbiamo a che fare sono - sarebbero - le nostre percezioni. Viviamo come se veri fossero, quindi sono veri per noi. Se è così, allora è andata proprio in questo modo. Per 'loro' - un buon numero di uomini e di donne, per diverse generazioni, fino a noi - l'Italia c'era, era vera, come spazio pubblico del loro anche individuale esserci e vivere. Racconterò questo, una storia dell'Italia via via percepita e raccontata nell'Otto e nel Novecento". È da questa prospettiva, dalla testimonianza di intellettuali, patrioti e politici che hanno partecipato alla costituzione della nazione, dai testi che hanno costruito il romanzo collettivo della nostra identità, che Mario Isnenghi tesse la storia d'Italia, a partire da Alessandro Manzoni fino alla cronaca degli ultimi decenni.